di don Gabriele D'Avino
Senza precedenti, nella “rossa” Reggio Emilia, l’iniziativa del Comitato “Beata Giovanna Scopelli” di sabato 3 giugno. Le piazze e le strade italiane sono ormai abituate a veder sfilare l’omaggio alla perversione e alla sovversione dell’ordine creato con i gay pride che sono l’appuntamento scontato della retorica relativista cara alla democrazia; ma le stesse piazze e strade non sono invece più abituate a vedere quel che hanno visto sabato: una processione di riparazione dei peccati, specialmente quelli pubblici garantiti dalla libertà d’espressione.
Alcune centinaia di fedeli cattolici (350? 450? C’è chi parla di 600), partiti da Porta Santo Stefano e guidati da alcuni sacerdoti della Fraternità San Pio X, hanno percorso diverse centinaia di metri in quella che, da alcune critiche faziose definita una “manifestazione d’intolleranza”, è stata invece in senso stretto un atto liturgico, un atto cioè della Chiesa, così come previsto dal Rituale Romano.
Sul modello della processione prevista per le Litanie maggiori e minori nel tempo che precede l’Ascensione, una processione penitenziale si svolge con la presenza di un celebrante in paramenti viola preceduto dalla croce, dalle lanterne e dall’incenso, e seguito dai fedeli; il canto delle litanie dei santi è previsto appunto per invocare la protezione celeste scongiurando i castighi giustamente meritati dall’umanità per le proprie colpe soprattutto pubbliche, che questa preghiera vuole giustamente riparare. Durante la processione si sono aggiunte la recita dei misteri dolorosi del rosario, le litanie del Sacro Cuore di Gesù e l’atto di riparazione al Sacro Cuore di S.S. Pio XI: il tutto sotto l’attento sguardo dei giornalisti e in compagnia di innumerevoli scatti fotografici…
La “riparazione” si spiega con la dottrina cattolica della virtù di giustizia, la quale, lesa dal peccato, esige una contropartita che può essere il castigo del colpevole (eterno o temporale) o appunto un atto che ripari l’ordine violato dal peccato. Il peccato pubblico, nella fattispecie, era la manifestazione omosessuale svoltasi poi il pomeriggio per le stesse strade, i cui organizzatori (presenti ai bordi della processione) hanno con disappunto dovuto notare il gran concorso di popolo che certamente non potevano aspettarsi.
Ringraziamenti e vivissimi complimenti vanno dunque al comitato “Beata Giovanna Scopelli” per l’impeccabile organizzazione, l’ottimo sistema di comunicazione in occasione della pressione mediatica dei giorni precedenti all’evento, e il coraggio per aver suscitato questa grande risposta dei fedeli venuti da tante parti d’Italia.
Non può non aver colpito, invece, l’assordante silenzio della gerarchia ecclesiastica locale, che già nei giorni precedenti si era distinta per aver rifiutato non solo ogni partecipazione ufficiale alla processione, ma anche per aver rifiutato di “accoglierla” in cattedrale e, addirittura, sul sagrato di essa! Ma la regalità sociale di Nostro Signore Gesù Cristo, lo sappiamo, non è un concetto caro alla chiesa conciliare; inutile, dunque, pretendere dai vescovi diocesani di oggi ciò che i vescovi diocesani degli anni ’60, durante il concilio, già hanno rifiutato a Cristo e alla sua Chiesa…
In definitiva, quindi, l’atto di sabato nient’altro è stato che la manifestazione di questa regalità sociale; la Chiesa cattolica che prega con i suoi ministri e i suoi fedeli rende a Dio un omaggio pubblico tanto più gradito, quanto più grande è l’offesa alla sua legge, e, al giorno d’oggi, quanto più difficile risulta porsi in contrapposizione (ancora una volta: pubblica) al pensare comune, al politicamente corretto che non rifiuta nessun comportamento per degradante che sia, nessuna espressione ideologica per falsa che sia.
Ciò che la Chiesa vuole riparare in circostanze come questa, precisiamo, non sono soltanto i singoli atti di sodomia, che Dio può perdonare a chiunque ne sia sinceramente contrito; non soltanto la manifestazione pubblica della presunta bontà di tali atti; ma, in realtà, la precisa idea gnostica che regge tutto quest’edificio: la pretesa satanica, cioè, che l’ordine voluto da Dio possa essere sovvertito dall’uomo. Che una creatura, insomma, possa essere uguale a Dio. Il gay pride, lo si vede bene, non è solo una ridicola parata da circo che esalta un peccato qualunque; dietro iniziative del genere c’è l’antico serpente che suggerì ad Eva di voler esser come Dio.
Anzi, per risalire più indietro ancora, c’è Lucifero che disse “Non serviam”.
La bella processione di Reggio Emilia sabato 3 giugno, invece, era lì che, con le preghiere della Chiesa, gridava a gran voce: “Quis ut Deus?”.