di Francesco Agnoli
L’antefatto della Riforma di Lutero è la crisi della Chiesa tra Trecento e Quattrocento.
La Chiesa dell’epoca, dunque, versava in pessime condizioni. Non stupisca: ha anch’essa, nella sua componente umana, i suoi giorni e le sue notti.
La crisi era dovuta a motivi interni, rilassatezza dei costumi, ai vescovi che pensavano a viaggiare e alla bella vita, all’incuria di molti sacerdoti, alla mentalità rinascimentale e cortigiana penetrata nel tempio di Dio…, e, soprattutto, a motivi esterni: in molti paesi d’Europa, in quegli anni, vescovi ed abati non erano scelti dal papa di Roma, ma dai sovrani, che volevano controllare tutto e aggiungere al potere politico quello spirituale. Erano quindi più che uomini di Chiesa, uomini di potere.
Ci sarebbe dunque voluto, sicuramente, un riformatore. Come lo era stato Francesco d’Assisi, per esempio, o come sant’Ignazio di Loyola.
Riformatore è colui che riconosce il male che vive nella Chiesa, e si adopera non contro di Essa, ma perché Essa sia più fedele al suo compito, alla sua costituzione divina. Il riformatore cattolico non inventa una nuova dottrina, non propone una ricetta sua, ma lucida e rispolvera il senso profondo del Vangelo e della Tradizione, nella fedeltà alla Chiesa di sempre. Con umiltà.
Lutero, invece, fece tutt’altro: non fu un riformatore, ma un rivoluzionario. Non cercò di eliminare i guasti, le aberrazioni, gli errori, ma propose una religione nuova, una nuova teologia ed una nuova antropologia. Indicò non Cristo, ma le sue personali opinioni.
Ricordiamolo brevemente i fatti: la sua stessa vocazione era stata incerta, poco spontanea, e la vita religiosa, abbracciata senza adeguata consapevolezza, si rivelò, per lui, insopportabile. Lutero infatti entrò in convento in seguito ad un voto: o, come dicono i più, in seguito alla paura di essere colpito da un fulmine (“prometto di entrare in convento se avrò salva la vita…”) , oppure, come sembra ad altri storici, dopo un duello in cui aveva ucciso lo sfidante, per non finire sotto i rigori della legge. In ogni caso una vocazione poco autentica.
Inoltre Lutero era uomo passionale, irascibile, impetuoso: cercò, certamente, di cambiarsi, di farsi violenza, con penitenze e preghiera; forse con troppe penitenze e preghiere, ma con pochi risultati. Lutero infatti, non riusciva ad accettare la sua limitatezza, la sua miseria, tipica della condizione umana. Ha scritto di lui J. Maritain: “Si appoggiava, per giungere alla virtù, alle sue sole forze, fidandosi dei propri sforzi, delle sue penitenze, delle opere della sua volontà, molto più che della grazia. Praticava così quel pelagianesimo di cui accuserà i cattolici, e da cui in realtà lui stesso non riuscirà ad affrancarsi. Praticamente egli era, nella vita spirituale un fariseo che conta nelle sue opere, come fa fede il suo raggrinzimento di scrupoloso. Si rimproverava come peccato ogni involontaria impressione della sensibilità, e si studiava di acquistare una santità da cui fosse esclusa la minima traccia della debolezza umana” (“I tre riformatori”).
L’insuccesso, dunque, vissuto con orgoglio, scatenò la sua ribellione e generò la sua nuova antropologia: io non riesco a fare il bene, l’uomo non riesce a fare il bene, ogni uomo è solo cattivo. Questo è il caposaldo del pensiero luterano: il pessimismo antropologico. Lo stesso concetto sostenuto, nello stesso periodo, da Niccolò Machiavelli.
Ma se l’uomo non è capace di opere di bene, allora, come può salvarsi?
Se le opere buone non contano nulla, concluse Lutero, l’unica cosa che ci può salvare è la Fede, la misericordia di Dio (la sola Fides, in contrapposizione con il pensiero di san Giacomo fides sine operibus morta est).
Di qui la sua celebre proposizione luterana: “Pecca fortiter sed crede fermius”, cioè “pecca pure fortemente, ma credi più fermamente”. Di qui la sua critica alle indulgenze: non solo alla corruzione, ma alla possibilità stessa che ad una azione buona (ad esempio un’elemosina per costruire una chiesa o un ospedale, come spesso si faceva) corrispondesse un perdono dei peccati. Di qui la seconda parte della sua vita: non più rigore e penitenza eccessivi, ma, come ammetteva lui stesso, e come testimoniano disegni e ritratti dell’epoca, gozzoviglie, dissolutezza, vino… Scriveva: “Cerca subito la compagnia dei tuoi simili, mettiti a bere, giocare, racconta sconcezze, cerca di divertirti. Bisogna…pure talvolta fare un peccato in odio e disprezzo al diavolo, per non lasciargli l’occasione di creare in noi degli scrupoli per dei nonnulla: se si ha troppa paura di peccare, si è perduti..ah! se potessi alfine trovare qualche buon peccato per schernire il diavolo” . Così colui che in passato si è esaurito nelle veglie e nei digiuni, si dà poi alle gozzoviglie, abbandona l’abito sacerdotale, sposa una ex monaca, Caterina von Bora, da cui avrà sei figli e dispensa, chi lo circonda – lui che dalla legge si era sentito schiacciato, perché non ne aveva compreso lo spirito-, dalla legge stessa: invita sacerdoti e suore ad abbandonare il celibato e autorizza il suo protettore, il principe Filippo d’Assia, a prendersi un seconda moglie, oltre a quella legittima e vivente, per togliergli ogni scrupolo di coscienza.
Ridotto l’uomo a peccatore senza possibilità alcuna di bene, appeso solo al filo della fede, Lutero si rese ben conto di aver così ucciso la libertà. E lo scrisse apertamente nel suo “De servo arbitrio”: “Quanto a me, io lo confesso: se la cosa fosse possibile, non vorrei che mi fosse dato il libero arbitrio o che a mia disposizione fosse lasciato alcunché, con cui poter tendere alla salvezza, non solo perché non avrei la capacità di resistere e conservarlo fra tante avversità e pericoli e fra tanti assalti diabolici, poiché, essendo un solo demonio piú forte di tutti gli uomini, nessuno degli uomini si salverebbe, ma perché, anche se non ci fossero pericoli, avversità, demoni, io sarei costretto a travagliarmi continuamente nell’incertezza e a dare pugni nell’aria: infatti la mia coscienza, anche se vivessi e operassi eternamente, mai potrebbe conseguire una tranquilla certezza di quanto dovesse fare per soddisfare Dio. E, qualunque opera avessi compiuto, sussisterebbe sempre lo scrupolo se ciò piacesse a Dio, o se Egli richiedesse qualcosa di piú, cosí come prova l’esperienza di tutti coloro che si sono dati alle opere e come io ho dovuto apprendere in tanti anni con grave mia sofferenza. Ma ora, poiché Dio ha avocato a sé la mia salvazione, escludendola dal mio arbitrio, e ha promesso di salvarmi non a motivo delle mie opere e del corso della mia vita, ma per la sua grazia e misericordia, io sono tranquillo e sicuro che Egli mi sarà fedele e non mi mentirà, e inoltre cosí possente e grande, che nessun demonio, nessuna avversità potranno piegarlo o strapparmi a Lui” (Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1964, vol. VIII, pagg. 1145-1146).
Da questa concezione, ne derivava un’altra, sebbene non ancora così esplicita come sarebbe accaduto con Calvino: non contando nulla le buone opere, o meglio non essendo possibile che un uomo faccia qualcosa di buono, ne consegue che l’uomo è predestinato, alla salvezza o alla dannazione, indipendentemente dalla sua stessa vita, per giudizio insindacabile di Dio.
Un altro concetto fondamentale introdotto da Lutero per abbattere la necessità della Chiesa, fu la riduzione dei sacramenti a due, e la proclamazione del libero esame: ogni uomo può leggere e interpretare liberamente la Bibbia, senza mediazione alcuna. Un tale principio si rivelò, però, devastante: se ogni uomo può leggere come vuole le Sacre Scritture, infatti, è giocoforza che nascano infinite interpretazioni ed infinite sette. Così nel tempo sorsero calvinisti, socianiani, evangelici, battisti, anabattisti, episcopaliani… mormoni, avventisti, testimoni di Geova… Ovunque sedicenti profeti si alzarono per dire di aver compreso il vero senso della Bibbia (nascosto sino ad allora, sino ad almeno 15 secoli dopo la venuta di Cristo), ed iniziarono, in base al libero esame, a proporre la data per la fine del mondo, a distruggere dogmi e a crearne altri…
In verità Lutero sosteneva che ognuno poteva leggere la Bibbia personalmente, senza papa e senza Chiesa, ma poi propose la sua lettura come l’unica possibile: “Io non ammetto, scrive nel giugno del 1522, che la mia dottrina possa essere giudicata da alcuno, neanche dagli angeli. Chi non riceve la mia dottrina non può giungere alla salvezza” . Chi lo contraddiceva veniva attaccato violentemente, come i teologi di Lovanio, definiti “asini grossolani, delle scrofe maledette, dei sacchi di bestemmie, dei porci epicurei, eretici e idolatri, delle pozze marcie, la brodaglia maledetta dell’inferno”.
A tutto ciò si aggiunga il carattere durissimo di Lutero: per lui il papa era l’Anticristo e i cattolici i suoi “servi” (“maledetto, dannato, vituperato sia il nome dei papisti”); i contadini ribelli andavano trattati con ferocia: “Verso i contadini testardi, caparbi, e accecati, che non vogliono sentir ragione, nessuno abbia un po’ di compassione, ma percuota, ferisca, sgozzi, uccida come fossero cani arrabbiati...” (“Scritti politici”, Utet, Torino 1978, p. 515); quanto agli ebrei: “In primo luogo bisogna dare fuoco alle loro sinagoghe o scuole; e ciò che non vuole bruciare deve essere ricoperto di terra e sepolto, in modo che nessuno possa mai più vederne un sasso o un resto”; inoltre occorre “allo stesso modo distruggere e smantellare anche le loro case, perché essi vi praticano le stesse cose che fanno nelle loro sinagoghe. Perciò li si metta sotto una tettoia o una stalla, come gli zingari” (“Degli ebrei e delle loro menzogne”, Torino 2000, pp. 188-190); quanto alla ragione, essa viene definita più volte “la prostituta del diavolo” ed è dichiarata contraria, opposta alla fede; le streghe “bisogna ammazzarle tutte” ; Copernico è “un astrologo da quattro soldi” e “un insensato”.
Nei suoi “Discorsi a tavola”, Lutero racconta che un giorno gli era stato mostrato un bambino minorato mentale. Egli propose subito di sopprimerlo: gli appariva un essere inutile, “che non faceva nient’altro che mangiare, e mangiava come quattro contadini o braccianti”. Era, a suo modo di vedere, “solo una massa di carne, nella quale non albergava alcuna anima, se non forse, il diavolo. Ai principi presenti al suo discorso, Lutero disse: “Se io fossi il principe o il signore qui, annegherei di persona il bambino nel fiume”.
Perché allora Lutero ebbe tanto successo? Sicuramente perché seppe utilizzare il pretesto della corruzione della Chiesa, per la sua rivoluzione, ma soprattutto perché seppe arruolare i principi tedeschi prima e altri sovrani poi. Alcuni signori tedeschi prima, infatti, poi i re di Svezia, Danimarca, Inghilterra… furono coloro che permisero al protestantesimo di decollare, schierandosi dalla sua parte, con uno scopo ben preciso: diventare protestanti significava abolire la Chiesa cattolica dalle proprie terre, incamerarne i beni, sommare nella propria figura il potere temporale e quello spirituale!
Se dunque nel campo religioso Lutero portò l’anarchia e l’individualismo, in campo politico generò le Chiese di Stato e le chiese nazionali. Fuori dalle chiese, in Inghilterra, vi è ancora oggi una scritta: “Church of England”. Inconcepibile per il pensiero cattolico…
Fu la divisione dell’Europa, la fine del sogno imperiale, di unire popoli diversi per lingua, cultura e tradizioni, ma fondati sulla stessa fede.
Si potrebbe dire molto altro, ma manca lo spazio. Urge dunque una conclusione. Il protestantesimo oggi è in crisi totale. Dove sopravvive davvero, come negli Usa, è molto cambiato, e si è riavvicinato moltissimo al cattolicesimo (rinnegando il servo arbitrio, rivalutando l’importanza delle opere, la sacralità di ogni vita…).
Fonte: www.libertaepersona.org