Annunciazionedi don Pierpaolo Maria Petrucci

E’ dogma di fede che la Madonna fu sempre Vergine: prima, durante e dopo il parto. Così insegna infallibilmente il concilio Lateranense I del 649: “La Santa Madre di Dio e sempre vergine immacolata Maria… ha concepito senza seme per opera dello Spirito Santo e ha partorito senza corruzione, permanendo indissolubile, anche dopo il parto, la sua verginità”. (D. 256) Tale dogma, già difeso da S. Ambrogio nel sinodo di Milano del 390, fu insegnato espressamente dal papa S. Leone I (Epistola dogmatica ad Flavianum) e riaffermato da Paolo IV (D. 993).

 

I teologi insegnano che esso si riferisce innanzi  tutto all’integrità fisica prima durante e dopo il parto. Questo punto importante del dogma sembra essere messo in discussione attualmente da alcune autorità ecclesiastiche e per questo teniamo a ribadirlo[1]. Il dogma comprende poi anche “la “Virginitas mentis”, cioè il costante proposito della verginità, e la “Virginitas sensus”, cioè l’immunità dagli impulsi disordinati della concupiscenza sensuale (Ott, Compendio di teologia dogmatica 1964, p. 339). Per questi motivi il V° concilio di Costantinopoli del 553 attribuisce alla Madonna il titolo di “Sempre Vergine”.

La Sacra Scrittura

Il profeta Isaia, sette secoli prima, aveva annunciato che la Vergine, rimanendo tale, “concepirà e darà alla luce un figlio” (Is 7,14). L’evangelista S. Luca narra la concezione verginale di Gesù al momento dell’Annunciazione (Lc 1,26-38) e lascia supporre il parto verginale con parole molto delicate scrivendo che Maria SS. subito dopo la nascita di Gesù “Lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia”, (Lc 2,7)

La nascita miracolosa del Signore ci fa pensare all’uscita di Gesù dal sepolcro chiuso e alla sua entrata nel cenacolo a porte chiuse e va riferita al miracolo della compenetrazione dei corpi.  Bossuet, celebre predicatore, la paragonerà ad un raggio di luce che attraversa un cristallo, non soltanto senza lederlo ma rendendolo ancora più spendente.

Le ragioni di convenienza

Molte ragioni di convenienza aiutano a capire l’importanza della Verginità di Maria SS. Il Verbo di Dio, come il verbo nella mente umana, cioè l’idea, è concepito senza la minima alterazione della mente divina. Allo stesso modo  il Verbo doveva essere concepito dalla madre senza ombra di alterazione. Nato nell’eternità  senza corruzione del Padre, doveva nascere nel tempo senza la corruzione della madre, tanto più che veniva per togliere la corruzione del peccato.

Questa concezione miracolosa era necessaria anche perché bisognava che l’umanità di Cristo fosse concepita senza il peccato originale, che si trasmette per via di generazione naturale. Il fine dell’Incarnazione è poi quello di farci diventare figli di Dio, filiazione che non procede “da carne o da sangue” e di cui l’esemplare doveva essere Gesù Cristo. Si addiceva poi che, potendo agire in tal modo, il Signore onorasse così sua madre. (Roschini, Diz. Di Mariologia ed Studium 1961 p. 487; cfr. S. Th III q 28 a.2).

Il Figlio di Dio fatto uomo, essendo l’unigenito del Padre, doveva anche essere l’unigenito della madre. Il seno purissimo di Maria fu come un santuario in cui lo Spirito Santo formò il corpo di Gesù. Maria SS. fu sposa dello Spirito Santo per la generazione e a lui, per questo, doveva essere fedele per sempre, custodendo preziosamente il gran dono della verginità che aveva conservata miracolosamente.

L’esegesi: risposta alle obiezioni

Il dogma della Verginità di Maria è fondato sulla Sacra Scrittura e sulla Tradizione e non può essere messo in discussione da alcune interpretazioni arbitrarie di certi testi del Nuovo Testamento, al di fuori dalle buone regole della esegesi.  Rispondiamo in qualche riga ai passaggi spesso utilizzati dagli avversari.

Il figlio primogenito

S. Luca, parlando della nascita di Gesù, afferma che Maria “diede alla luce il suo figlio primogenito” (Lc 2,7, Mt 1,25). Da ciò non si può dedurre che, dopo Gesù, ella abbia avuto altri figli. Nel giudaismo infatti anche il figlio unico era designato con il nome di primogenito poiché portava con sè particolari diritti e doveri. Nell’epistola agli Ebrei (1,6) l’unico figlio di Dio viene detto primogenito. Un epitaffio giudaico scoperto in Egitto e datato dell’anno 5° dopo Cristo (25° di Augusto) chiama “primogenito” il figlio di una donna morta di parto. (op. cit. Diz. di Mariologia p. 487)

I “fratelli” di Gesù

Nei Vangeli si parla dei “fratelli di Gesù” come in Mt 12,47; 13,55; Gv 2,12 ecc. Una buona esegesi ci fa capire che con questo termine si intendono dei suoi parenti prossimi. Gli evangelisti infatti erano semiti di temperamento e di educazione e benché la lingua in cui ci è giunto il Nuovo testamento sia il greco comunemente parlato, la Koiné, essa conserva l’impronta semitica di coloro che la hanno utilizzata. Gli scrittori sacri poi imitano spesso le forme arcaiche della versione greca dell’Antico Testamento detta dei Settanta che era per loro familiare.  Ora la parola fratello ha in ebraico un significato molto ampio. Esso potrà essere preso nel suo senso esatto ed indicare figli della stessa madre ma anche assumere quello di altri gradi di parentela (cugini, nipoti ecc.).

Ciò proviene della povertà di questa lingua per designare i termini di parentela. Per esempio non esiste un termine per designare i cugini. Se quindi Gesù aveva dei cugini, e poteva averne dalla parte di Maria SS. o di S. Giuseppe, li chiamavano suoi fratelli o sue sorelle.

In diversi casi nella traduzione greca della Bibbia si utilizza il termine fratello, per indicare un parente stretto come per esempio cugino, pur esistendo in greco il termine corrispondente. Abramo per esempio parla di Loth come di suo fratello quando in realtà era suo nipote (Gen. 3,8; Gen. 12,5) In 1 Paral. 23,22 è evidente che i figli di Cis, che vengono chiamati fratelli delle figlie di Eleazaro, sono in realtà loro cugini germani. (Vedere inoltre Lev. 10,4; II Re 10,13-14)

Non c’è da stupirsi quindi se, anche nel Nuovo Testamento greco, si utilizzi la parola fratello in questo senso, conservando l’uso semitico, senza ricorrere alla traduzione più precisa di cugino. Questo senso largo dell’espressione  “fratelli di Gesù” è fondata su argomenti scritturali molto forti.

San Marco (6,3) e S. Matteo (13,55) riportano una frase di alcuni uditori stupefatti, durante la visita di Gesù a Nazareth, che affermano: “Non è egli il falegname, il figlio di Maria e fratello di Giacomo, di Giuseppe, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle non sono qui tra noi?”. Ora fra le pie donne ai piedi della croce gli stessi evangelisti nominano “Maria madre di Giacomo e di Giuseppe” (Mc 15,40; Mt 17,56).
Tutto porta a credere che questi due nomi citati nello stesso ordine e nella stessa ortografia designino nei due passaggi le stesse persone. Segnalando Maria come madre di Giacomo e di Giuseppe è naturale pensare che gli evangelisti si riferiscano a due personaggi conosciuti dal racconto precedente. Quindi Giacomo e Giuseppe, nominati per primi nella lista dei fratelli di Gesù, hanno per madre una donna chiamata Maria ma che non è la Madonna. Quindi se ne può dedurre che neppur gli ultimi due citati nella lista, Simone e Giuda, siano suoi figli.

Un altro passaggio del Nuovo Testamento che indica con precisione che il termine fratello è utilizzato per significare un diverso grado di parentela è quello di S. Paolo nell’epistola ai Galati. Egli dichiara di essere salito a Gerusalemme e di non aver visto nessun altro apostolo se non Giacomo, fratello del Signore. (Gal 1, 17-19) Ora fra gli apostoli ve ne sono due che portano il nome di Giacomo: uno è Giacomo figlio di Zebedeo e fratello dell’apostolo Giovanni; l’altro è Giacomo figlio di Alfeo ed è di quest'ultimo che parla S. Paolo. Ma se era figlio di Alfeo è chiaro che non poteva esserlo di Giuseppe e di Maria.

Egisippo, autore palestinese del II° secolo, afferma chiaramente che questo Giacomo era cugino di Gesù. (Hist. Eccl. di Eusebio IV, XXII,4)

Durante tutta la storia dell’infanzia vediamo sempre Gesù solo fra Giuseppe e Maria. A 12 anni quando la Sacra Famiglia sale a Gerusalemme, Gesù appare ancora come il Figlio unico. Tutti coloro che il Vangelo chiama “fratelli di Gesù”  non sono mai chiamati “figli di Maria”. Mentre i suoi compatrioti parlando di Gesù lo chiameranno “il figlio di Maria” (Mc 6,3) Il fatto di impiegare l’articolo “il” mostra ancora che lo si poteva riconoscere in maniera inconfondibile, senza bisogno di distinguerlo da altri. In definitiva poi il fatto che Gesù morente sulla Croce affidi sua madre alla protezione di S. Giovanni, presuppone che Maria non avesse altri figli.

 


[1] Nella sua opera di 900 pagine Katholische Dogmatik. Für Studium und Praxis der Theologie ("Dogmatica cattolica. Per lo studio e la prassi della teologia", Freiburg. 5ª edizione, 2003), Mons. Müller ha dichiarato che la dottrina della Perpetua verginità di Maria non è "tanto relativa alle specifiche proprietà fisiologiche durante l'atto naturale del parto [...], ma piuttosto alla guarigione e all'azione salvatrice della grazia del Salvatore verso la natura umana." http://it.wikipedia.org/wiki/Gerhard_Ludwig_M%C3%BCller

La sua posizione è stata recentemente difesa da Mons Bux: «Il Catechismo della Chiesa Cattolica precisa che l’aspetto corporeo  della verginità è tutta nel fatto che Gesù sia stato concepito senza seme umano, ma per opera dello Spirito Santo. Essa è un’opera divina che supera ogni comprensione e possibilità umana. La Chiesa confessa la verginità reale e perpetua di Maria ma non si addentra in particolari fisici; né pare che i concili e i padri abbiano detto diversamente.”

http://vaticaninsider.lastampa.it/homepage/vaticano/dettaglio-articolo/articolo/lefebvriani-bux-mueller-vaticano-16564/

Area privata