di Daniele Casi

 “Sentiremo, prima o poi, un Cardinale, un Vescovo, un Teologo di vaglia, financo un Diacono permanente, dire una parola di fronte a questo fiume di parole?”. La domanda è corsa tante volte, in questi mesi, nei dialoghi con altrettanti amici 'cattolici perplessi' rispetto alla marea montante delle dichiarazioni quotidiane del Santo Padre che, pur non essendo, come recentemente ha precisato il suo Portavoce, “atti di Magistero”, sono diventate, nella massmediatica agorà contemporanea, quasi più paradigmatiche del Decalogo.

Le poche voci dissonanti rispetto al peana globale sono state, infatti, almeno qui in Italia, quelle di Sandro Magister, Giovanni Turco, Roberto de Mattei, Pietro De Marco, Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro. Tutti laici. Le cui riflessioni, però, sono state rapidamente archiviate senza dibattiti perchè si sa, quando serve, la regola manzoniana del “troncare e sopire” funziona meglio di ogni contraddittorio.

Perfino le (quasi deliranti) dichiarazioni[1] del politologo americano Edward Luttwak sulle responsabilità di Francesco nella recente tragedia di Lampedusa non hanno trovato praticamente alcuna eco.

Ieri, però, c'è stato il salto di qualità.
A seguito dell'articolo “Questo Papa non ci piace”[2], pubblicato mercoledì sul quotidiano “Il Foglio” dalla coppia Gnocchi&Palmaro, una telefonata del Direttore di Radio Maria, p. Livio Fanzaga, ha posto fine alla loro collaborazione con l'emittente in cui, da anni, tenevano due diverse trasmissioni: “Padre Livio – hanno dicharato i due giornalisti - ritiene che non si possa essere conduttori di Radio Maria e, contemporaneamente, esprimere critiche sul Papa. Pur non condividendo questa linea editoriale, ne prendiamo atto rimarcando comunque che le nostre critiche a Papa Francesco non contengono una sola riga che non si attenga alla dottrina cattolica e non sono state espresse dai microfoni della Radio”.

Il salto di qualità è stato dato, finalmente, dall'apparire sulla scena di un Sacerdote di Roma, autore di testi teologici ed editorialista di varie testate on-line che, evidentemente dotato di amore per la Verità e assoluta non curanza del proprio destino personale, commentando “l'editto di Erba” ha finalmente colmato il vuoto di cui in apertura lamentavamo l'assenza.

Stiamo parlando di don Ariel Levi di Gualdo che, stamattina, ha commentato su Facebook la vicenda senza preoccuparsi di usare paludamenti diremmo “clerically correct”.

Ecco, dunque il suo intervento che, risalendo dal particolare al generale, offre finalmente il punto di vista di un consacrato 'in piena comunione' rispetto al fenomeno 'Francesco' e ne addita l'autore a “quasi Cappellano” dei nostri laici 'eroi per caso'.

“E' molto sintomatico che gli autori di questo articolo siano stati aggrediti in malo modo e in maniera perlopiù scomposta da persone che non entrano nel merito ma che tendono ad appoggiare e difendere un pontefice con lo spirito appassionato, irrazionale e di parte col quale si difende un attore, un calciatore o una rock star di cui si è deciso di essere fans.

Il ministero petrino e la vera fede cattolica è però altra cosa, anche perché nello specifico, la parola ministero fa teologica rima con la parola mistero: Pietro, che è pietra edificante, è infatti base fondante del mistero della Chiesa. Pertanto non si tratta, come qualcuno ha scritto, di essere professorali, ma di essere semplicemente cattolici.

In passato, tra le varie meraviglie, si è detto che dopo l'elezione di questo Sommo Pontefice, sono aumentate anche le confessioni, si sono affollati i confessionali...bene!
Siccome però, dentro i confessionali ci stiamo noi e non i giornalisti, vogliamo parlare di queste confessioni e della qualità di queste confessioni?

Presto detto: abbiamo accolto - noi preti - pseudo penitenti che ci venivano a sfogare quanto piacesso loro questo pontefice e dopo avere premesso che non rubavano, non ammazzavano, non facevano del male a nessuno e che per questo non avevano in pratica bisogno alcuno di confessarsi e tanto meno con un uomo come loro, cominciavano a calarsi nel ruolo di censori per spiegare a noi, durante la celebrazione di un Sacramento: Papa Francesco si, Chiesa no. Papa Francesco si, preti no. Papa Francesco si, sacramenti no ... infine: Papa Francesco si, Dio no.

 Piazza San Pietro affollata?
E da Chi?

Presto detto: per una media di otto su dieci - ripeto: otto su dieci - di persone che non sono in grado, se avvicinate, di dire le prime cinque parole della professione di fede: "Credo in un solo Dio" e le prime sei parole del Padre Nostro: "Padre nostro che sei nei cieli".
Noi preti, non passa giorno che, persone alle quali mai passerebbe per la mente di entrare dentro una chiesa neppure per Pasqua e per Natale, ci vengono a dire: "Se i preti fossero come Papa Francesco! Lui è per i poveri, per la Chiesa povera, mica come voi" sottinteso ... brutti sporcaccioni.


Posso essere preoccupato dinanzi a una opinione pubblica mondiale che scinde il papato dalla Chiesa ma soprattutto il papato da Cristo e dalla Rivelazione?


Dinanzi a questo tremendo sfacelo, io ho l'obbligo di essere preoccupato e drammaticamente allarmato, dinanzi a orde di atei fieri e di anticattolici irredimibili, che seguiti da eserciti di pseudo cattolici ignoranti fieri della propria ignoranza in materia di fede e di dottrina, hanno finito col creare, sulla scia dei riflettori, una nuova religione pagano-mediatica: la religione del "papacecchismo".

E chiunque, in queste mia parole, voglia leggere un attacco al papato e all'augusto pontefice regnante ... beh, allora è proprio il caso di dire: vada a farsi benedire!

Inoltre, ai membri della nuova religione del "papacecchismo" ricordo che sul Vangelo sta scritto: "Guai a voi quando tutti diranno bene di voi".

Appoggio addolorato e solidale quanto hanno scritto Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro, preceduti da altri articoli di addolarata analisi fatti dal mio amico Roberto de Mattei”.

Ariel S. Levi di Gualdo - presbitero



[1]    http://www.ilgiornale.it/news/interni/sbarco-immigrati-luttwak-d-colpa-papa-956647.html

[2]    http://www.ilfoglio.it/soloqui/20109

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