di don Pierpaolo Petrucci
Il solo motivo che può autorizzare un cattolico a resistere all’autorità nella Chiesa è la fede.
In particolare, per quel che riguarda la liturgia, solo la fede può motivare il rifiuto del nuovo rito della messa ed il motivo fondamentale per cui ogni sacerdote e fedele non può accettare il Novus ordo è proprio perché «rappresenta, sia nel suo insieme come nei particolari, un impressionante allontanamento dalla teologia cattolica»[1]
Tale allontanamento dalla teologia cattolica è conseguenze di un avvicinamento, voluto e consentito, alla dottrina ed alla liturgia protestante come ha dichiarato lo stesso Paolo VI stesso che ha introdotto il nuovo rito: «Allo sforzo richiesto ai fratelli separati perché si riuniscano, deve corrispondere lo sforzo, altrettanto mortificante per noi, di purificare la Chiesa romana nei suoi riti, perché diventi desiderabile e abitabile»[2].
Di fatto, come è risaputo, Paolo VI domandò a sei pastori protestanti di prendere parte alla commissione incaricata di realizzare la nuova Messa. Uno di essi, Max Thurian, della comunità di Taizé, in occasione della pubblicazione del nuovo messale, potrà dichiarare: «In questa Messa rinnovata, non c’è niente che possa veramente disturbare i protestanti evangelici»[3].
Padre Bugnini non ha mai nascosto le sue intenzioni ecumeniche. Sulle colonne dell’ Osservatore Romano, dichiarò che la riforma liturgica è stata improntata al «desiderio di scartare ogni pietra che potesse costituire anche solo l’ombra di un rischio di inciampo o di dispiacere per i fratelli separati»[4]. Per questo ha ammesso riguardo alla nuova messa che si tratta «in certi punti, di una vera nuova creazione, dato che l’immagine della liturgia data dal Concilio Vaticano II è completamente differente da quella che la Chiesa cattolica ha avuto finora»[5].
Molti esponenti di rilievo del mondo protestante – che naturalmente avevano sempre rifiutato la Messa tradizionale – hanno affermato che vi è più nessuna difficoltà nell’utilizzare il nuovo rito per celebrare la cena protestante. Oltre al già citato Max Thurian, si possono menzionare, tra gli altri, G. Siegwalt (in Le Monde del 22 novembre 1970); O. Jordahn (conferenza del 15 giugno 1975 nell’abbazia di santa Maria Laach); infine, la Dichiarazione ufficiale del «Concistoro superiore della Chiesa della Confessione di Augusta, di Alsazia e di Lorena» dell’8 dicembre 1973.[6]
A nuova liturgia corrisponde una nuova fede per il rapporto intimo che vi è fra la lex orandi e la lex credendi[7] e la nuova architettura delle Chiese post-conciliari, ispirate e volute da questo cambiamento lo manifestano in maniera eclatante. Per questo la nuova messa è pericolosa per la fede e induce i fedeli che vi assistono a una professione esterna contraria alla fede.
La nostra fedeltà al rito tradizionale quindi non è motivata da un attaccamento nostalgico al latino, all’incenso, ai pizzi e merletti e neppure ad un certo rituale ma essenzialmente dal dovere di conservare la fede ed aiutare i fedeli a fare altrettanto.
Per questo non accetteremo mai il nuovo rito riformato, così vicino alla “messa” di Lutero, e per questo incoraggiamo i fedeli a fare tutti i sacrifici per assistere alla Messa di sempre e fuggire le nuove celebrazioni, incoraggiando i sacerdoti a celebrare unicamente secondo il rito tradizionale.
[1] A. Ottaviani – A. Bacci,op. cit.,Vaduz (Liechtenstein) 1970, p. 23.
[2] Citato in J. Guitton, Paolo VI segreto, San Paolo, Milano 1985 (quarta edizione 2002), p. 59.
[3] M. Thurian, in La Croix del 30 maggio 1969.
[4] Cfr. La Documentation Catholique, n. 1445 (1965), col. 604. In questo quadro appare del tutto verosimile, anche se non verificabile con assoluta certezza, l’informazione che mons. Bugnini (divenuto vescovo nel 1972) appartenesse alla massoneria: la massoneria, infatti, ha sempre predicato la parità di tutte le religioni, e dunque per un massone il nuovo rito della Messa si presenta molto meno sgradevole, sotto questo profilo, rispetto a quello tradizionale. I fatti sarebbero questi: nel 1975 mons. Bugnini fu denunciato come massone a Paolo VI; l’ecclesiastico che lo accusava forniva delle prove e minacciava di rendere la cosa pubblica. Paolo VI prese la cosa molto sul serio: per evitare lo scandalo sollevò immediatamente mons. Bugnini dalle sue funzioni di segretario della Congregazione per il culto divino e, nel gennaio 1976, lo nominò pronunzio a Teheran. Successivamente il nome di Annibale Bugnini è comparso nelle liste di prelati massoni pubblicate dalla stampa (liste pubblicate da Panorama, n. 538 del 10 agosto 1976, e poi nell’Osservatore Politico di Mino Pecorelli il 12 settembre 1978). Su questo caso, si può consultare l’inchiesta del dott. C. A. Agnoli, La massoneria alla conquista della Chiesa, ed. Eiles, Roma 1996.
[5] A. Bugnini, Dichiarazione alla stampa (4 gennaio 1967), in La Documentation Catholique, n. 1491 (1967), col. 824.
[6] Catéchisme catholique de la crise dans l’Eglise, Mathias Gaudron, Le Sel 2007 p. 178
[7] La legge della preghiera è quella della fede