don Michel Gleize
Argomenti pro e contro
Sembrerebbe di sì
1. Primo argomento: la canonizzazione di Giovanni Paolo II è stata ufficialmente annunciata dalla Santa Sede ed è prevista per domenica 27 aprile 2014. La canonizzazione è un atto riservato al Sommo Pontefice, solo lui può decidere di proporre un esempio di santità a tutta la Chiesa e se lo fa dobbiamo concludere che la canonizzazione di questo santo è possibile: poiché Papa Francesco ha deciso di canonizzare Giovanni Paolo II, egli è dunque canonizzabile.
2. Secondo argomento: per essere canonizzato un fedele defunto deve prima di tutto essere beatificato e Giovanni Paolo II è già stato beatificato da Benedetto XVI, quindi Giovanni Paolo II può essere canonizzato.
Sembrerebbe di no
3. Terzo argomento: Giovanni Paolo II non fu santo. Se nessun atto potrà riconoscere come santo colui che non lo fu, nessun atto potrà riconoscere Giovanni Paolo II come santo; poiché la canonizzazione è proprio l’atto attraverso il quale il Papa riconosce ufficialmente la santità di un fedele defunto, Giovanni Paolo II non potrà essere canonizzato. A riprova della prima premessa Giovanni Paolo II è stato spesso occasione di rovina per la fede e la religione dei fedeli, sia nelle parole che negli atti pubblici.
4. Quarto argomento: i miracoli attribuiti a Giovanni Paolo II sono dubbi. Nessun atto potrebbe riconoscere che goda la gloria del Paradiso qualcuno per l’intercessione del quale è dubbio siano stati compiuti miracoli, quindi nessun atto potrebbe riconoscere che Giovanni Paolo II goda la gloria del Paradiso; poiché la canonizzazione è l’atto attraverso il quale il Papa riconosce ufficialmente la gloria celeste di un fedele defunto, Giovanni Paolo II non potrà essere canonizzato.
Inizio della risposta
5. La canonizzazione è l’atto attraverso cui il Papa dichiara la santità e la gloria celeste di un fedele defunto, cioè le fa conoscere dopo aver verificato che esistono. Così come «lo Spirito Santo infatti, non è stato promesso ai successori di Pietro per rivelare, con la sua ispirazione, una nuova dottrina, ma per custodire con scrupolo e per far conoscere con fedeltà, con la sua assistenza, la rivelazione trasmessa dagli Apostoli, cioè il deposito della fede»[1], anche il potere di canonizzare non è stato dato al Papa perché renda santi e gloriosi coloro che non lo sono, ma perché dichiari e renda pubbliche, fedelmente, la gloria celeste e le virtù eroiche di chi effettivamente merita la prima avendo esercitato le seconde.
6. La retta ragione rischiarata dalla fede è in grado di constatare l’assenza delle virtù eroiche nella vita di Giovanni Paolo II. Infatti queste virtù eroiche sono le virtù soprannaturali infuse portate al grado più alto e come tali sono connesse nella carità, cioè tutte suppongono la carità, che è la loro fonte, e in uno stesso fedele devono esistere e crescere tutte insieme, infine la carità presuppone la fede: eppure è noto che Giovanni Paolo II non ha esercitato la virtù soprannaturale della fede al più alto grado, poiché le sue parole e le sue azioni costituiscono a volte un omissione grave, a volte, se non proprio la negazione aperta, almeno la messa in dubbio di numerose verità di fede. Altrettanto è noto, per le stesse ragioni, che Giovanni Paolo II non ha praticato la virtù soprannaturale di pietà al più alto grado[2]. La vera fede e la vera pietà non possono essere esercitate che nella vera Chiesa fondata da Gesù Cristo, la Chiesa Cattolica Romana. Sant’Agostino dice: «Un uomo si può salvare solo all’interno della Chiesa cattolica. Al di fuori della Chiesa cattolica può tutto, fuorché la salvezza: può avere la dignità episcopale, può possedere i sacramenti, può cantare l’alleluia, può rispondere amen, può custodire il Vangelo, può avere il dono della fede e predicare nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, ma da nessuna parte potrà trovare la salvezza se non nella Chiesa cattolica. […] può pure versare il suo sangue, ma non può ricevere la corona»[3]. Possiamo seriamente pensare di elevare sugli altari un Papa che si sia espresso su queste gravi questioni come ha fatto Giovanni Paolo II?
7. Infatti, rivolgendosi ai luterani, Giovanni Paolo II riprende gli insegnamenti della nuova ecclesiologia, opposta in maniera evidente a quella della Tradizione della Chiesa: «Per questo, con gratitudine, posso rivolgermi a voi con le stesse parole del Concilio Vaticano II sulle Chiese e le comunità cristiane che non sono in piena comunione con Roma. Nonostante le differenze che ancora esistono tra voi e la Chiesa cattolica in materia di morale e di disciplina, che noi consideriamo ostacoli per una piena comunione, il Concilio afferma con chiarezza che queste Chiese e comunità cristiane “quantunque crediamo che abbiano delle carenze nel mistero della salvezza non sono affatto spoglie di significato e di peso. Poiché lo spirito di Cristo non ricusa di servirsi di esse come di strumenti di salvezza, di cui il valore deriva dalla stessa premessa della grazia e della virtù che è stata affidata alla Chiesa cattolica”[4]»[5].
8. Restando nello spirito di tali insegnamenti, Giovanni Paolo II considera uno degli atti migliori del suo pontificato l’apertura della Porta Santa a San Paolo Fuori le Mura, il 18 gennaio 2000: «A spingere quella porta c’erano non solo le mie mani, ma anche quelle del Metropolita Athanasios in rappresentanza del Patriarca Ecumenico di Costantinopoli e quelle del Primate Anglicano George Carey. Nelle nostre persone era rappresentata l’intera cristianità, addolorata per le divisioni storiche che la feriscono, ma in ascolto al tempo stesso dello Spirito di Dio che la spinge verso la piena comunione»[6]. Come è possibile dire che le comunità scismatiche o eretiche rappresentano la cristianità? Come, senza evitare un grande scandalo, associare i responsabili di queste comunità a un atto cultuale esemplare?
9. Ripetendo, sette anni più tardi, la riunione interreligiosa di Assisi del 1986, il Papa polacco dichiara ancora: «Eccoci raccolti per rivolgere al Signore della storia le nostre preghiere, ciascuno a modo suo e secondo la propria tradizione religiosa, implorando da Lui, che soltanto può assicurarlo, il prezioso dono della pace. […] Ognuno di noi è venuto qui mosso dalla fedeltà alla propria tradizione religiosa, ma nel contempo nella consapevolezza e nel rispetto della tradizione altrui, poiché siamo qui convenuti per lo stesso scopo, quello di pregare e di digiunare per la pace. La pace regna tra noi. Ciascuno accetta l’altro com’è, e lo rispetta come fratello e sorella nella comune umanità e nelle personali convinzioni. Le differenze che ci separano rimangono. Ed è questo il punto essenziale e il senso di questo incontro e delle preghiere che verranno dopo: far vedere a tutti che soltanto nella mutua accettazione dell’altro e nel conseguente mutuo rispetto, reso più profondo dall’amore, risiede il segreto di un’umanità finalmente riconciliata, di un’Europa degna della sua vera vocazione.
Alle guerre e ai conflitti vogliamo contrapporre con umiltà, ma anche con vigore, lo spettacolo della nostra concordia, nel rispetto dell’identità di ognuno. Mi sia consentito, a questo proposito, citare il primo versetto del Salmo 132: “Ecco quanto è buono e quanto è soave che i fratelli stiano insieme”»[7]. Se le differenze religiose, dogmatiche e disciplinari non impediscono la preghiera comune e la riconciliazione dell’umanità, queste ultime si realizzeranno per forza su un piano dove l’unica vera religione cattolica è considerata come una delle tante rispettabili opzioni e ciò coincide esattamente con lo spirito dell’indifferentismo denunciato da Pio XI, quando evocò coloro che nutrono la speranza «che i popoli, per quanto dissenzienti gli uni dagli altri in materia di religione, pure siano per convenire senza difficoltà nella professione di alcune dottrine, come su un comune fondamento di vita spirituale. Perciò sono soliti indire congressi, riunioni, conferenze, con largo intervento di pubblico, ai quali sono invitati promiscuamente tutti a discutere: infedeli di ogni gradazione, cristiani, e persino coloro che miseramente apostatarono da Cristo o che con ostinata pertinacia negano la divinità della sua Persona e della sua missione. Non possono certo ottenere l’approvazione dei cattolici tali tentativi fondati sulla falsa teoria che suppone buone e lodevoli tutte le religioni, in quanto tutte, sebbene in maniera diversa, manifestano e significano egualmente quel sentimento a tutti congenito per il quale ci sentiamo portati a Dio e all’ossequente riconoscimento del suo dominio.
Orbene, i seguaci di siffatta teoria, non soltanto sono nell’inganno e nell’errore, ma ripudiano la vera religione depravandone il concetto e svoltano passo passo verso il naturalismo e l’ateismo; donde chiaramente consegue che quanti aderiscono ai fautori di tali teorie e tentativi si allontanano del tutto dalla religione rivelata da Dio»[8].
10. I santi ci hanno lasciato, essenzialmente, esempi di carità missionaria, Giovanni Paolo II ci ha lasciato un contro esempio di umanitarismo e indifferentismo ecumenista
11. Giovanni Paolo II ha reso nota[9] al patriarca scismatico di Costantinopoli la sua volontà di «relegare nell’oblìo le antiche scomuniche e di incamminarsi sulla via della ricomposizione della piena unità». A suo parere la Chiesa Cattolica e le comunità ortodosse sono «come Chiese sorelle, responsabili insieme della salvaguardia della Chiesa unica di Dio, nella fedeltà al disegno divino, in modo del tutto speciale per quanto riguarda l’unità».
Di quale unità si tratta, dal momento che la Chiesa è una in maniera indefettibile? L’unità della Chiesa non deve essere ricomposta, sono gli scismatici che devono reintegrarla, poiché l’unità della Chiesa corrisponde all’unità della Chiesa Cattolica, dalla quale gli scismatici ortodossi sono esclusi; solamente il Vicario di Cristo ha la responsabilità suprema di questo triplo legame di unità di fede, di culto e di governo che definisce la società ecclesiastica. Parlare come ha fatto Giovanni Paolo II, significa aprire la via a un latitudinarismo già condannato dai suoi predecessori: Pio XI rigetta l’audacia di coloro che sostengono che «messe totalmente da parte le controversie e le vecchie differenze di opinioni che sino ai giorni nostri tennero divisa la famiglia cristiana, con le rimanenti dottrine si dovrebbe formare e proporre una norma comune di fede, nella cui professione tutti si possano non solo riconoscere, ma sentire fratelli; e che soltanto se unite da un patto universale, le molte chiese o comunità saranno in grado di resistere validamente con frutto ai progressi dell’incredulità»[10].
Coloro che cooperassero a una tale impresa «darebbero autorità ad una falsa religione cristiana, assai lontana dall’unica Chiesa di Cristo»[11].
12. Giovanni Paolo II non ha esitato a celebrare i vespri a Roma insieme al capo della comunità anglicana, dichiarando in questa occasione che «questa preghiera ecumenica rivela la realtà della nostra fraternità in Cristo e ci sprona ad affidare al suo amore misericordioso l’avvenire della nostra unità e il rafforzamento dei legami che già ci uniscono (Cfr. Ut unum sint, n° 26). […] Siamo riuniti in una preghiera comune davanti al nostro unico Padre, ringraziandolo riconoscenti per la nostra comunione reale, anche se imperfetta. Prendiamo coscienza di tutto ciò che ci unisce e acquistiamo il coraggio necessario per lavorare con sempre più ardore e superare le divisioni che perdurano (Cfr. Ut unum sint, n° 22)»[12].
In una dichiarazione comune il Papa e il capo degli anglicani ringraziano Dio «per il fatto che in numerose parti del mondo gli anglicani e i cattolici si riconoscono gli uni gli altri come fratelli e sorelle in Cristo ed esprimono questa riconoscenza attraverso la preghiera, l’azione e la testimonianza comuni»[13]. A partire dal 1535, centinaia di cattolici inglesi, religiosi e laici, furono martirizzati nel sobborgo di Tyburn, a Londra, dove era eretta costantemente la forca per eseguire le condanne a morte, e per questo motivo furono in seguito beatificati o dichiarati venerabili; solamente sotto il regno di Elisabetta I, ebbero luogo 189 esecuzioni (62 laici, 111 sacerdoti secolari e 16 religiosi). La nuova teologia ecumenista di Giovanni Paolo II è condannata dal sangue di costoro, tra i quali si annovera anche il gesuita Edmund Campion, che dichiarò al ministro anglicano venuto ad assisterlo: «Signore, voi ed io non abbiamo la stessa religione» e gli ingiunse di lasciarlo pregare da solo[14].
13. Giovanni Paolo II altrove stima che «anche il dialogo tra luterani e cattolici ha dato un importante contributo al superamento delle antiche polemiche e all’avvicinamento a una visione comune»[15] e in un’altra occasione ha tenuto il seguente discorso: «l'anno giubilare, quale evento spirituale, offre ai cattolici e ai luterani varie possibilità da sfruttare insieme. Il vespro ecumenico ce ne ha donato un’anticipazione, che abbiamo sperimentato in occasione dell’elevazione di santa Brigida di Svezia a compatrona d'Europa. Quando, in quell'occasione, abbiamo reso grazie a Dio con Inni e Salmi ho percepito lo “spazio spirituale”, nel quale i cristiani stanno insieme al cospetto del loro Signore (cfr. Ut unum sint, n. 83). Lo spazio spirituale comune è più grande di alcune barriere confessionali che ci dividono alle soglie del terzo millennio. Se i cristiani, nonostante le loro divisioni, sapranno sempre di più unirsi in preghiera comune attorno a Cristo, crescerà la loro consapevolezza di quanto sia limitato ciò che li divide a paragone di ciò che li unisce (cfr. Ut unum sint, n. 22)»[16]. Noi però pensiamo che ciò che divide i cattolici dai protestanti è la realtà del santo sacrificio propiziatorio della messa, definito dal Concilio di Trento; la realtà della mediazione universale della Santissima Vergine Maria, insegnata da San Pio X in Ad diem illum e da Pio XII in Ad caeli reginam; la realtà del sacerdozio cattolico, definita dal santo Concilio di Trento e insegnata da Pio XII; la realtà del primato di giurisdizione del vescovo di Roma definita dai santi concili di Costantinopoli IV, Lione II, Firenze e Vaticano I.
14. Giovanni Paolo II ha dichiarato al gran rabbino della sinagoga di Roma: «ciascuna delle nostre religioni, nella piena consapevolezza dei molti legami che la uniscono all’altra, e in primo luogo di quel “legame” di cui parla il Concilio, vuole essere riconosciuta e rispettata nella propria identità, al di là di ogni sincretismo e di ogni equivoca appropriazione»[17]; e ha detto agli ebrei: «Sì, per mezzo della mia voce la Chiesa cattolica, […], riconosce il valore della testimonianza religiosa del vostro popolo»[18]. Giovanni Paolo II non ha mai richiamato gli ebrei alla conversione a Cristo, ma addirittura ha esplicitamente escluso una tale intenzione dal suo discorso, come testimonia un suo intervento durante un colloquio tra ebrei e cristiani: «il vostro colloquio può aiutare a impedire l’incomprensione e il sincretismo, la confusione delle vicendevoli identità di credenti, l’opera e il sospetto del proselitismo»[19] ; «C’è bisogno di precisare, soprattutto per coloro che rimangono scettici, a volte anche ostili, che questo riavvicinamento non deve essere confuso con un certo relativismo religioso e ancor meno con una perdita d’identità? […] Che Dio doni ai cristiani e agli ebrei di incontrarsi sempre più, di avere degli scambi in profondità e a partire dalla propria identità, senza mai dimenticarla da una parte e dall’altra, ma cercando veramente la volontà del Dio che si è rivelato!»[20].
15. Giovanni Paolo II ha detto: «Credo che noi, cristiani e musulmani, dobbiamo riconoscere con gioia i valori religiosi che abbiamo in comune e renderne grazie a Dio. […]; noi crediamo che Dio ci sarà giudice misericordioso alla fine dei tempi e noi speriamo che dopo la risurrezione egli sarà soddisfatto di noi e noi sappiamo che saremo soddisfatti di lui. […] Cristiani e musulmani, generalmente ci siamo compresi male, e qualche volta, in passato, ci siamo opposti e anche persi in polemiche e in guerre. Io credo che Dio c’inviti oggi, a cambiare le nostre vecchie abitudini. Dobbiamo rispettarci e anche stimolarci gli uni gli altri nelle opere di bene sul cammino di Dio»[21]. Come l’ebraismo in seguito alla venuta di Gesù Cristo, la religione di Maometto nega sia il mistero della Trinità, sia quello dell’Incarnazione redentrice e il dottore angelico, con tutta la Tradizione della Chiesa, vi vede un’idolatria pura e semplice, senza alcun motivo di credibilità che possa raccomandarla agli occhi della retta ragione[22].
16. Giovanni Paolo II ha affermato: «Lo Stato non può rivendicare una competenza, diretta o indiretta, sulle convinzioni religiose delle persone. Esso non può arrogarsi il diritto di imporre o di impedire la professione e la pratica pubblica della religione di una persona o di una comunità. In tale materia è dovere delle autorità civili assicurare che i diritti dei singoli e delle comunità siano ugualmente rispettati, e salvaguardare, in pari tempo, il giusto ordine pubblico. Anche nel caso in cui uno Stato attribuisca una speciale posizione giuridica a una determinata religione, è doveroso che sia legalmente riconosciuto ed effettivamente rispettato il diritto di libertà di coscienza di tutti i cittadini, come pure degli stranieri che vi risiedono anche temporaneamente, per motivi di lavoro o altri. […] Il retto ordine sociale esige che tutti - singolarmente e comunitariamente - possano professare la propria convinzione religiosa nel rispetto degli altri»[23]. Ha inoltre aggiunto: «È da auspicare che l'autentica libertà religiosa sia concessa a tutti in ogni luogo, e a questo scopo la chiesa si adopera nei vari paesi, specie in quelli a maggioranza cattolica, dove essa ha un maggiore influsso. Ma non si tratta di un problema della religione di maggioranza o di minoranza, bensì di un diritto inalienabile di ogni persona umana»[24]. Questa frase esprime il rifiuto esplicito della regalità sociale di Cristo, colpito dalla condanna di san Pio X in Vehementer nos: «Riproviamo e condanniamo la legge votata in Francia riguardo la separazione tra Chiesa e Stato come profondamente ingiuriosa nei confronti di Dio, che essa rinnega ufficialmente, ponendo il principio che la Repubblica non riconosce alcun culto»[25].
13. La retta ragione illuminata dalla fede è in grado di dubitare che i miracoli richiesti per attestare la beatitudine celeste e confermare la virtù eroica di un santo non siano stati dimostrati in maniera sufficiente per quanto riguarda Karol Wojtyla. In effetti, il discernimento del solo miracolo invocato fino ad oggi per la beatificazione lascia fortemente a desiderare: da un lato, il legame tra questa guarigione e l’invocazione di Giovanni Paolo II non è stata sufficientemente dimostrata, dall’altro la diagnosi di una malattia di Parkinson lascia spesso spazio al dubbio e in questo caso non è stato sufficientemente stabilito che la guarigione sia definitiva né che sia inesplicabile naturalmente[26].
Risposte alle obbiezioni
14. La risposta al primo e al secondo argomento è stata data nel principio della risposta: nessun Papa può decidere di canonizzare chi non è santo. Se lo facesse, un tale atto potrà rivestire l’ingannevole apparenza di una canonizzazione ma non ingannerà coloro che lasceranno che l’insegnamento costante, rappresentato da tutte le canonizzazioni compiute in conformità con il pensiero della Chiesa, illumini la retta ragione; in particolare tutti i santi martiri, vittime delle persecuzioni scismatiche, eretiche, giudaiche o idolatre, sono la condanna sempre attuale all’ecumenismo professato dal Papa polacco.
15. Siamo d’accordo con il terzo e il quarto punto, tenendo conto delle precisazioni fatte fino a questo momento.
[1] Concilio Vaticano I, costituzione Pastor aeternus, capitolo 4, DS 3070.
[2] Per maggiori dettagli, il lettore potrà fare riferimento al libro di don Patrick de La Rocque, Jean-Paul II. Doutes sur une béatification, edizioni Clovis, e agli studi pubblicati sulla rivista The Remnant (traduzione francese «Exposé des réserves sur la prochaine béatification de Jean-Paul II» in DICI n° 233, 16 aprile 2011). Aggiungiamo infine lo studio intitolato «Doutes sur la canonisation de Jean XXIII et de Jean-Paul II» edito da DICI n° 284, 18 ottobre 2013 e lo studio di Daniel Le Roux, Pierre M’aimes-tu?, Fideliter, 1988.
[3] Sant’Agostino, Discorso ai fedeli della Chiesa di Cesarea, n° 6 in PL 43/695.
[4] Decreto Unitatis redintegratio, n° 1.
[5] «Discorso per l’incontro con i vescovi della Chiesa Luterana di Danimarca a Roskilde (6 giugno 1989)» in DC 1988, p. 688-689.
[6] «Discorso agli Eminentissimi Cardinali ed ai Membri della Curia Romana per gli auguri natalizi (21 dicembre 2000)» in DC 2240, p. 56-57.
[7] «Discorso ai vescovi, ai rappresentanti delle Chiese e Comunità Ecclesiali Cristiane, dell'Ebraismo e dell'Islam nel Sacro Convento di San Francesco ad Assisi (Perugia, 9 gennaio 1993)» in DC 2066, p. 166-167.
[8] Pio XI, enciclica Mortalium animos, in Enseignements pontificaux de Solesmes, L'Eglise, t. 1, n° 855.
[9] «Dichiarazione comune del Santo Padre Giovanni Paolo II e di Sua Santità Bartholomaios I nella solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo (29 giugno 1995)» in DC 2121, p. 734-735.
[10] Pio XI, enciclica Mortalium animos, in Enseignements pontificaux de Solesmes, L'Eglise, t. 1, n° 863.
[11] Pio XI, ibidem, n° 865.
[12] Omelia in presenza del primate della Comunità anglicana, dottor Carey, «5 dicembre 1996, Celebrazione dei Vespri nella Chiesa dei Santi Andrea e Gregorio al Celio» in DC 2152, p. 85.
[13] «Dichiarazione comune di Giovanni Paolo II e dell'Arcivescovo di Canterbury, George Leonard Carey (5 dicembre 1996)» in DC 2152, p. 88-89.
[14] Evelyn Waugh, Edmond Campion, Amiot Dumont, 1950, p. 176.
[15] «Celebrazione ecumenica della Parola (Duomo di Paderborn, 22 giugno 1996)» in DC 2142, p. 662-663.
[16] Discorso «Al Presidente della Federazione Luterana Mondiale (9 dicembre 1999)» in DC 2219, p. 109
[17] Discorso «Alla comunità israelitica di Roma (Sinagoga, 13 aprile 1986)» in DC n° 1917, p. 438.
[18]«Incontro con i rappresentanti della comunità ebraica dell'Alsazia a Strasburgo (9 ottobre 1988)» in DC n° 1971, p. 1027.
[19]Discorso «Ai partecipanti al colloquio teologico internazionale cattolico-ebraico (6 novembre 1986)» in DC n° 1931, p. 34.
[20]Discorso «Ai delegati delle Conferenze episcopali per i rapporti con l’ebraismo» in DC n° 1827, p. 340.
[21] «Incontro con i giovani musulmani a Casablanca in Marocco (19 agosto 1985)» in DC 1903, p. 945.
[22] Il lettore potrà fare riferimento allo studio di Edouard Pertus, Connaissance élémentaire de l’Islam, supplemento al n° 65 dell’Action Familiale et Scolaire, 1985.
[23] Messaggio in occasione della «XXI Giornata Mondiale della Pace 1988, La libertà religiosa, condizione per la pacifica convivenza» in DC 1953, p. 2.
[24] «Enciclica Redemptoris missio del 7 dicembre 1990, n° 39 » in DC 2022, p. 168.
[25] «Lettera enciclica Vehementer nos dell’11 febbraio 1906» in Actes de saint Pie X, Editions de La Bonne Presse, t. 2, p. 141.
[26] Per maggiori dettagli il lettore potrà fare riferimento agli studi citati nella nota 29.
Fonte: La Tradizione Cattolica, n° 1 - 2014