di don Christian Thouvenot
"Qui si poniscono gli sodomiti cherci" (chierici), miniatura trecentesca del canto XV dell'Inferno dantesco
Accesso al dossier sui divorziati risposati, il problema dell’omosessualità e il sinodo sulla famiglia.
DICI è un organo di informazione che si vuole cattolico. A questo titolo, quasi ripugna abbordare soggetti di cui San Paolo voleva che non fosse fatta parola tra i cristiani: «Siate dunque degli imitatori di Dio, come figli beneamati: camminate nella carità, su esempio del Cristo, che ci ha amati e si è consegnato lui stesso a Dio per noi come una oblazione e un sacrificio dal gradevole profumo. Che non si senta neanche dire che vi siano tra di voi fornicazioni, impurità di qualche sorta, cupidigie, così come si confà a dei santi» (Ef. 5,1-3).
Dal momento che il grande apostolo forma nei suoi discepoli degli altri Cristi, non può ammettere che si trovino ancora tra di loro degli schiavi delle passioni carnali e dello spirito di cupidigia… «Sappiatelo bene, né un impudico, né un impuro, né un uomo cupido - il quale è un idolatra - ha un’eredità nel regno di Cristo e di Dio» (ibid. 5,5).
Il mondo contemporaneo tuttavia ha riallacciato, ormai da lungo tempo, con le perversioni più degradanti, dimenticando la sorte che fu riservata a Sodoma e Gomorra[1]. È così che la pederastia, la bestialità e altre numerose perversioni sessuali si spandono nelle società moderne, a mano a mano che regrediscono il pudore, la fedeltà, la continenza e tutte le virtù capaci di temperare la concupiscenza.
Contro la legge naturale e divina
Di fronte agli attacchi contro il matrimonio cristiano e adesso contro il matrimonio naturale (l’unione stabile di un uomo e una donna in un focolare in vista di generare ed educare i propri figli), la Chiesa Cattolica ricorda senza stancarsi le verità della morale evangelica: «Non errate in questo: né gli impudichi, né i ladri, né gli avari, né gli ubriaconi, né i calunniatori, né i rapaci possederanno il regno di Dio» (1 Cor. 6,10).
Il peccato di omosessualità è un grave disordine il cui atto specifico è classificato dalle Scritture tra i peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio, così come l’omicidio, l’oppressione della vedova e dell’orfano. I peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio sono quelli per i quali la malizia e in particolare la perturbazione dell’ordine sociale che provocano chiamano, già da quaggiù, una giusta vendetta da parte di Dio[2].
In altre parole, ciò significa la gravità del peccato di omosessualità, pur se banalizzato, se non incoraggiato da ogni sorta di organismi e altri mezzi di comunicazione. Che si pensi alle associazioni LGBT, ai film, alle mode, sfilate e parate (gay pride) che inondano ogni anno le strade delle metropoli mondiali.
La Chiesa cattolica non sfugge a questa pressione venuta dal mondo depravato e dai suoi costumi corrotti. Fin qui, era riuscita a ricordare il carattere contro natura e l’ignominia di questo genere di peccato. Il nuovo catechismo, nel 1992, poteva ancora scrivere al numero 2357: «Appoggiandosi alle Sacre Scritture, che le presenta come delle gravi depravazioni[3], la Tradizione ha sempre dichiarato che gli atti omosessuali sono intrinsecamente disordinati[4]. Sono contrari alla legge naturale. L’atto sessuale è chiuso alla trasmissione della vita. Non procedono da una vera complementarietà affettiva e sessuale. Non potrebbero essere approvati in alcun caso».
Profonde divisioni tra i padri sinodali
La preparazione del sinodo sulla famiglia ha dato paradossalmente una tribuna ai promotori o ai partigiani della banalizzazione dell’omosessualità. Il 13 ottobre 2014, il portavoce generale del sinodo, il cardinale ungherese Peter Erdo, facendo rapporto di un documento reso publico davanti a 200 giornalisti, intitolato Relatio post disceptationem, descriveva la stima per «i doni e le qualità» che le persone omosessuali avevano da «offrire alla comunità cristiana» (Relatio n° 50). Rigettando ogni assimilazione con il matrimonio tra uomo e donna, così come le pressioni internazionali a favore dell’ideologia del genere (ibid. n° 51), il sinodo «prende atto che esistono dei casi dove il sostegno reciproco fino al sacrificio costituisce un aiuto prezioso per la vita dei partner»! (n°52). Durante la stessa conferenza stampa, mons. Bruno Forte, segretario speciale del sinodo e verosimilmente autore dei paragrafi scandalosi, precisava: «Penso che il documento cerchi degli aspetti positivi laddove si possono trovare questi elementi in seno a tali unioni. È facile rigettare una cosa, ma riconoscere e valorizzare tutto quello che è positivo, anche in seno a queste esperienze, è un esercizio di onestà intellettuale e di carità spirituale».
Così, per la prima volta nella sua storia, la Chiesa per una via ufficiale inclina all’accoglienza delle persone omosessuali in quanto tali. La sfida non consiste ormai più nella sua conversione e l’appello alla penitenza, nel combattimento contro tendenze disordinate e peccaminose, ma nella capacità di «accogliere queste persone garantendo loro uno spazio di fraternità nelle nostre comunità» sebbene in atto e pubblicamente, esse vivano immerse in questo tipo di vizio.
Lo scandalo fu immenso e le reazioni a questo rapporto intermediario non tardarono a farsi sentire. Intervistato su Radio Vaticana, il 13 ottobre, mons. Stanislas Gadecki, arcivescovo di Poznan e presidente della Conferenza episcopale di Polonia, non ha avuto paura di dichiarare: «Questo documento è inaccettabile». Anche i vescovi africani hanno espresso il loro profondo disaccordo; su Twitter, il cardinale William Fox Napier, arcivescovo di Durban, si è vivamente opposto agli articoli sull’omosessualità, alla qual cosa il cardinale Kasper ha risposto, in un’intervista con dei giornalisti, che i vescovi africani «non dovrebbero dirci che cosa fare». Qualche mese più tardi, il cardinale Napier ebbe a tornare sul disprezzo condiscendente del cardinale Kasper che «considera che i vescovi africani sono troppo sottomessi a dei tabù e troppo reticenti per affrontare la questione della poligamia e del matrimonio tra persone dello stesso sesso».
Fatto sta che il 18 ottobre, il rapporto finale sul sinodo si sforzava di spegnere il fuoco usando il compromesso. Si apprendeva che il paragrafo sugli invertiti era stato sottomesso al voto, raccogliendo 118 suffragi favorevoli e 62 disapprovazioni. Il padre Federico Lombardi, direttore dell’ufficio stampa della Santa Sede, doveva sottolineare che anche se i paragrafi «non hanno raggiunto la maggioranza qualificata, sono stati approvati con maggioranza». Così Papa Francesco stesso aveva espresso la speranza che i paragrafi rigettati fossero egualmente pubblicati, in vista di «prolungare il dibattito».
Mons. Huonder sconfessato dai suoi confratelli
Il 31 luglio 2015, un vescovo svizzero ha coraggiosamente ricordato l’insegnamento morale della Chiesa in questa materia durante una conferenza intitolata “Il matrimonio: dono, sacramento e missione”. Mons. Vitius Huonder, vescovo di Coria, si esprimeva in Germania, a Fulda, nel quadro del Forum Deutscher Katholiken. Poiché aveva avuto la “sfortuna” di citare le Sacre Scritture (Lév. 18,22 e soprattutto Lév. 20,13): «Se un uomo dorme con un altro uomo come si dorme con una donna, hanno entrambi compiuto un atto abominevole, saranno puniti con la morte: il loro sangue ricadrà su di essi», venne fatto oggetto di una vera e propria “fatwa mediatica”, sarebbe a dire una campagna di pressione organizzata da alcuni gruppi della lobby omosessuale portati avanti dai media e da molte pubbliche personalità. Mons. Huonder ebbe ben da predicare la pacificazione, precisare che aveva citato una decina di altri passaggi della Scrittura tratti dall’antico come dal nuovo Testamento, che aveva ripreso in sostanza l’insegnamento del catechismo e che non intendeva evidentemente chiedere la morte degli invertiti, ma non servì a nulla. Il presidente del partito cristiano-democratico bollò le dichiarazioni del vescovo di Coira come inaccettabili.
Peggio ancora, la conferenza dei vescovi svizzeri sconfessò rapidamente il suo confratello nell’episcopato, il quale venne fatto oggetto di denunce e ricevette minacce di morte. Il presidente di questa conferenza, mons. Markus Buchel, vescovo di Saint-Gall, dichiarò di rallegrarsi «di ogni relazione nella quale dei partner si accettano a vicenda in quanto figli amati da Dio» (sic). E aggiunge «le nostre conoscenze attuali sull’omosessualità in quanto investimento affettivo e orientamento sessuale non liberamente scelto erano sconosciute all’epoca della Bibbia». Da ciò deriva che la Chiesa d’oggi ha il dovere di accompagnare le persone omosessuali nel loro percorso di vita: «un cammino nel quale possono integrare la loro particolare forma di relazione e la loro sessualità in quanto dono di Dio nella loro vita» (sic).
Non si potrebbe preparare in un modo migliore la strada al riconoscimento e alla “benedizione” di queste unioni, considerando anche che il presidente della conferenza episcopale aggiunge che la Chiesa deve «trovarsi un nuovo linguaggio, appropriato alle situazioni e alle persone»[5].
Infine, mons. Charles Morerod, vescovo di Ginevra, Friburgo e Losanna, dichiarava al giornale “Le Temps” del 12 agosto, che «il fatto di essere omosessuale, soprattutto per una scelta personale, non è né un crimine né un peccato». E spiega che la maggior parte delle persone omosessuali, se si sono scoperte tali, senza volontà deliberata, non hanno dunque responsabilità morale (!). La storia ricorderà dunque che si è dovuto attendere il XXI secolo affinché degli uomini di Chiesa tentassero di giustificare teologicamente i comportamenti più ignominiosi. Mons. Morerod afferma che la morale cristiana non è praticabile integralmente che da quelli che hanno la fede, ma dimentica di ricordare che anche senza la fede tutti gli uomini possono giudicare della giustezza delle proprie inclinazioni. Che cosa è diventata la legge naturale? La virtù di castità, parte della virtù cardinale della temperanza, non obbliga forse tutti gli uomini dotati di ragione?
Che cosa succederà al prossimo sinodo?
Mossi dal timore o dalla mancanza di coraggio, incoraggiati anche – purtoppo – dalle parole di Papa Francesco che invitavano a dare prova di accoglienza e di misericordia nei confronti delle persone omosessuali («se una persona è gay e cerca il Signore con buona volontà, chi sono io per giudicarla?»[6]), soggiogati dallo “spirito del Concilio” che ha voluto proclamare un nuovo umanesimo centrato sul culto dell’uomo e della persona[7], ormai degli uomini di Chiesa disconoscono i doveri della loro carica. Sembrano aver dimenticato l’esistenza della morale naturale più elementare, come se fintanto che la fede non fosse accettata dai nostri contemporanei, fosse vano il predicar loro i buoni valori.
Il peggio è che, come insegna San Paolo ai Romani, senza la fede in Gesù Cristo tutti gli uomini sono nel peccato ed esposti alla minaccia della collera divina. Il mondo attuale, che ha rigettato il suo Salvatore, la sua Legge d’amore e i suoi comandamenti è ricaduto nel paganesimo più vergognoso, quello del quale l’Apostolo delle nazioni non ha temuto di descrivere le «passioni di ignominia: le loro donne hanno cambiato l’uso naturale in quello che è contro natura; allo stesso modo gli uomini, invece di usare della donna secondo l’ordine della natura, hanno, nei loro desideri, bruciato gli uni per altri, avendo commercio infame tra loro e ricevendo, in una mutua degradazione, il giusto salario della loro perdizione» (Rm 1 24-27)[8].
Ma se sono colpevoli coloro che vi si abbandonano, più colpevoli ancora sono «coloro che approvano quelli che fanno tali cose» (ibid. 1,32). Poiché «guai a coloro che chiamano il male bene, e il bene male e che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre» (Is. 5,20).
Possa il prossimo sinodo, sotto l’autorità del Sovrano Pontefice, dissipare i fumi di Satana che oscurano la luce della fede e della ragione. È prima di tutto ai pastori del gregge che il Cristo ha detto: «Voi siete la luce del mondo. Una città costruita su un monte non può essere nascosta: e non si accende una lampada per metterla sotto il moggio ma la si mette sul candeliere, ed essa illumina tutti coloro che sono nella casa» (Mt 5,14-15).
Fonte: FSSPX/MG – DICI n° 320, 11/0
[1] La distruzione di Sodoma e Gomorra è raccontata nel libro della Genesi, capitoli 18 e 19.
[2] Padre Dominique Prümmer, o.p., Manuale di teologia morale, Herder 1961, t. 1, n° 360.
[3] Cf. Gn 19,1-29 ; Rm 1,24-27 ; 1 Cor 6,9-10 ; 1 Tim 1,10.
[4] Congregazione per la dottrina della fede, dichiarazione «Persona humana», 29 dicembre 1975, n° 8.
[5] Cath.ch – APIC, 9 agosto 2015.
[6] Conferenza stampa del 28 luglio 2013.
[7] Cf. Paolo VI, discorso di chiusura del concilio Vaticano II, 7 dicembre 1965 : «La religione del Dio che si fa uomo si è incontrata con la religione dell’uomo che si fa Dio (…). Riconosceteci almeno questo merito, voi, umanisti moderni, che rinunciate alla trascendenza delle cose supreme, e sappiate riconoscere il nostro nuovo umanesimo; anche noi, noi più di chiunque, abbiamo il culto dell’uomo».
[8] Dal canto suo anche il catechismo di San Pio X parla della malizia del peccato di impurità: «È un peccato molto grave e abominevole davanti a Dio e agli uomini; avvilisce l’uomo alla condizione degli animali privi di ragione, lo porta a molti altri peccati e vizi e provoca i più terribili castighi in questa vita e nell’altra». Gran Catechismo di San Pio X, I comandamenti di Dio, Dominique Martin Morin, 1967, p. 97.