A nessuno sfuggirà l'importanza di questo articolo di Arnaldo Xavier da Silveira, quanto alla professione della fede, non soltanto nelle parole o negli scritti ma anche nelle attitudini e nei gesti. Ognuno potrà intravedere le conseguenze che si possono trarre applicandoli, per esempio alla nuova liturgia: altare ridotto ad una tavola, sacerdote che gira le spalle al tabernacolo (quando questo non è relegato in un angolino della chiesa), comunione data da laici, nelle mani; nuova architettura delle chiese che assomigliano più a sale di conferenze ecc.
Per non parlare di certi gesti pubblici della suprema autorità della Chiesa: preghiera insieme a rappresentanti delle false religioni, bacio del corano o ancora visita a piedi scalzi della moschea con preghiera in direzione della Mecca.
La conclusione si impone: la fede deve essere professata con tutta la nostra persona: scritti, atti e coerenza di vita, altrimenti invece di propagarla la si distrugge nella propria anima e in quella degli altri.
I – Il Magistero ordinario può insegnare con atti e gesti
Il Magistero ordinario della Chiesa, esercitato dal Papa e dai Vescovi,
poggiante sulle romesse di Nostro Signore,
si realizza non solo con le parole scritte e orali,
ma anche con atti e fatti,di natura estremamente varia e ricca.
Arnaldo Xavier da Silveira
1. Con il presente articolo do inizio alla pubblicazione di alcuni studi sul Magistero ordinario della Chiesa. Non è mia intenzione affrontare l’argomento in modo ampio e completo, come fosse un trattato. Ritengo che oggi il Magistero ordinario sia il grande sconosciuto, rispetto al quale autori rinomati difendono tesi sorprendenti che si discostano totalmente dalla regola della fede. Nel panorama generale dei dibattiti teologici dei nostri giorni, soprattutto alla vigilia del cinquantenario dell’apertura del Concilio Vaticano II, spero che, con l’intercessione della Santa Vergine, queste note contribuiscano a delucidare alcuni aspetti importanti e poco conosciuti della vera dottrina della Ecclesia docens.
2. Inizio questa serie di lavori trattando un punto delicato. Da molto tempo si è introdotto in ambito cattolico l’idea errata che qualsiasi insegnamento del Papa o dei Vescovi abbia valore magisteriale solo se fissato con parole, scritte o orali. In questa concezione: un atto simbolico del Papa o una cerimonia in San Pietro o una prassi liturgica diffusa nel mondo intero, non stabilite con un documento scritto o una dichiarazione esplicita, non avrebbero il valore di insegnamento del Magistero ordinario.
3. Dopo aver impostato il tema da affrontare (ai punti 1 e 2), divido l’argomento in tre capitoli: nel primo, “I – Uno studio degli anni ’60 sull’eresia per mezzo di atti e gesti” (punti 4-7), indico un mio vecchio lavoro sull’eresia espressa senza parole, solo con fatti, dove tuttavia non trattai la questione della professione di fede e dell’insegnamento con lo stesso modo; nel secondo, “II – Della professione di fede, non con parole, ma con atti e fatti” (punti 8-18), aggiungo ragioni e autorità che spiegano che senza parole è possibile manifestare il pensiero, e quindi la fede; nel terzo, “III- Come si esercita il magistero ordinario della Chiesa” (punti 19-29), dimostro che l’esternazione di idee per mezzo di atti e gesti può costituire Magistero autentico.
I - Uno studio degli anni ’60 sull’eresia per mezzo di atti e gesti
4. In Catolicismo, mensile di cultura cattolica della diocesi di Campos, RJ, pubblicai, nel dicembre del 1967, un breve articolo dal titolo “Atos, gestos, atitudes e omissões podem caracterizar o herege” (Atti, gesti, attitudini o omissioni possono caratterizzare l’eresia).
5. Tale lavoro si basava sulla Sacra Scrittura, sugli insegnamenti del Magistero, sul Diritto Canonico e su grandi moralisti e canonisti della neo-scolastica. In esso si dimostrava che “un semplice cenno del capo, un gesto della mano o una espressione del volto, possono indicare un pensiero in maniera inequivocabile. In linea generale, una presa di posizione politica o il silenzio di una autorità o un’attitudine pubblica, possono esprimere, a seconda delle circostanze, che chi li compie ha la tale o la tal’altra idea” (p. 4, colonna 3).
6. La preoccupazione principale, in quella esposizione, era di cercare di smascherare i modernisti travestiti da cattolici, come esposto da San Pio X nella sua Enciclica Pascendi Dominici Gregis: «i fautori dell'errore già non sono ormai da ricercarsi fra i nemici dichiarati; ma (…) si celano nel seno stesso della Chiesa, tanto più perniciosi quanto meno sono in vista. Alludiamo (…) a molti del laicato cattolico e, ciò ch'è più deplorevole, a non pochi dello stesso ceto sacerdotale, i quali, sotto finta di amore per la Chiesa (…) si gettano su quanto vi ha di più santo nell'opera di Cristo». (§ 2)
7. Col questo obiettivo di denunciare i modernisti travestiti, l’articolo trattava principalmente della possibilità di manifestazione dell’eresia per mezzo di atti, gesti, ecc. Studiava le gravi e delicate questioni dell’eresia interna ed esterna, della ostinazione nell’errore, degli ammonimenti riguardo all’eresia espressi da San Paolo e di diverse altre cose connesse. Ma non approfondiva l’altro aspetto della questione: la manifestazione di fede tramite atti, gesti, ecc.
II - Della professione di fede, non con parole, ma con atti e fatti
8. Sebbene l’argomento, tanto in teoria quanto in pratica, sia in generale poco conosciuto in ambito cattolico, è evidente che, in questo caso, anche per la manifestazione di fede vale ciò che è valido per la manifestazione dell’eresia. Se l’errore può esternarsi con atti, gesti, attitudini, omissioni, è evidente che anche la verità e la fede possano esprimersi inequivocabilmente con atti, gesti, attitudini, omissioni, silenzi, fatti, simboli, segni, cerimonie e diversi altri mezzi che la condizione umana ci offre per manifestare esternamente, senza parole scritte o orali, ciò che pensiamo internamente.
9. Potrebbe essere superfluo addurre dei testi della Sacra Scrittura, della storia della Chiesa, di moralisti e canonisti, per sostenere questa affermazione, e tuttavia, poiché si potrebbero trovare delle obiezioni a questa tesi, permetteteci di esporre meglio alcuni fatti e nuove ragioni teologiche che la sostengono.
II.a - Nei Vangeli e nella storia della Chiesa
10. Nella predicazione di Nostro Signore, sono così tanti gli esempi di insegnamenti offerti per mezzo di atti o fatti, senza l’impiego di parole, che sarebbe sufficiente dare un’occhiata ai Santi Vangeli per rendersi conto della solidità della tesi qui esposta. Egli riprese e al tempo stesso perdonò San Pietro con un’occhiata; rimase zitto di fronte a Pilato con un silenzio così eloquente da ispirare secoli di omiletica; sempre col silenzio, accettò il balsamo col quale lo ungeva Maddalena, provocando perfino la reazione di Giuda; e molto altro ancora.
11. È di una forza singolare l’esempio dei martiri che non vollero sacrificare agli dei.
12. Nella Sacra Liturgia sono abbondanti, e perfino essenziali per il culto divino, i gesti e gli atti densi di dottrina. Basti pensare alle genuflessioni, alle inclinazioni del busto e all’atto di incensare.
13. Lo stesso dicasi nella vita dei santi. Un giorno San Francesco d’Assisi chiamò a sé i suoi discepoli più stretti annunciando loro un sermone. Postisi in fila, entrarono in città e percorsero un lungo tratto, per poi ritornare direttamente al convento. I discepoli chiesero allora del sermone promesso e San Francesco rispose che la vera predica era costituita dal loro semplice passaggio per la città.
II.b - Della professione di fede tramite dei “fatti”, in San Tommaso d’Aquino
14. Circa le cerimonie della vecchia legge.
San Tommaso, si chiede se dopo la Passione di Cristo i riti della vecchia legge potessero essere osservati senza peccato mortale, scrive che “Tutte le cerimonie sono altrettante professioni di quella fede, che costituisce il culto interiore di Dio. Ora, l'uomo può professare la sua fede interiore con gli atti e con le parole: e in entrambi i casi, se professa della falsità, pecca mortalmente” (Sum. Th., I-II, q. 103, a. 4, co.). E conclude: “Dunque la pratica della circoncisione e delle altre cerimonie [della vecchia legge] costituiscono peccato mortale” (ibidem, s. c.).
15. Sul falso culto del vero Dio.
Chiestosi se possa esserci qualcosa di pernicioso nel culto del vero Dio, San Tommaso insegna: “è una menzogna esprimere con segni esterni il contrario della verità. Ma una cosa, come viene espressa con le parole, può esserlo anche con dei gesti: e il culto esterno della religione, l'abbiamo già visto, consiste proprio in codeste espressioni. Perciò se dal culto esterno viene espresso qualche cosa di falso, si tratta di un culto condannabile” (Sum. Th., II-II, q. 93, a.1, co.).
16. Sul vizio della menzogna.
San Tommaso osserva che “chi cercasse di esprimere una falsità con i gesti, non sarebbe immune dalla menzogna” (Sum. Th., II-II, q. 110, a. 1, ad 2).
17. Sul martirio.
San Tommaso insegna che “la verità della fede non implica soltanto l'atto interno del credere, ma anche l'esterna professione di essa. E questo non si fa solo con le parole, ma anche mediante i fatti con i quali uno mostra di aver la fede”. E subito dopo aggiunge: “tutte le azioni virtuose, in quanto si riferiscono a Dio, sono altrettante proteste di fede; di quella fede la quale ci fa conoscere che Dio vuole da noi quelle opere buone, e che ci ricompenserà per esse. In tal senso queste possono esser causa del martirio” (Sum. Th., II-II, q. 124, a. 5, co.). – Ma dopo dice: “soffre come cristiano non solo chi soffre per aver confessato la fede con le parole; ma anche chiunque per Cristo incontra la morte per aver compiuto un'opera buona qualsiasi, o per evitare un peccato: perché tutto questo si riduce a una professione di fede” (ibidem, ad 1).
18. Si noti che San Tommaso distingue sempre alla confessione di fede che si fa con parole scritte o orali, ciò che si fa con i “fatti”. In latino, facta è il participio passato sostantivato del verbo facio – facere, fare. Così, in questo contesto, i “fatti” sono ciò che si fa, che è stato fatto, e non gli accadimenti estranei all’azione umana, come i terremoti o le tempeste. – Pertanto, i “fatti” di San Tommaso corrispondono a ciò che indichiamo come atti, gesti, ecc.
III - Come si esercita il Magistero ordinario della Chiesa.
19. Sia nella dottrina, sia nella pratica quotidiana dei fedeli, è relativamente ben nota la natura del Magistero straordinario. La sua concezione, apparentemente molto semplice, è divenuta attuale e indiscussa tra i veri cattolici con la definizione del Concilio Vaticano I. La proclamazione ex cathedra di una verità di fede o morale, fatta dal Papa che usa la pienezza della sua autorità apostolica, in forma solenne e con la volontà di definire e rivolta a tutta la Chiesa, è valida di per sé, indipendentemente dall’approvazione di chicchessia, e viene intesa dai cattolici come infallibile, anche da chi possiede una formazione semplice o media. – L’Immacolata Concezione è una delle devozioni più diffuse. – Tutti sanno che la Madonna fu assunta in Cielo anima e corpo. Si è anche consolidata la convinzione che un concilio ecumenico possa definire dei dogmi, a cui tutti dobbiamo credere. Mutatis mutandis, al concilio si applicano le stesse condizioni d’infallibilità di una definizione ex cathedra del Papa, come fissato dal Vaticano I.
20. L’insegnamento del Magistero straordinario è un atto speciale, che chiude la discussione su una determinata dottrina con una soluzione definitiva. Può essere paragonato al raggio che concentra tutta la sua luminosità in un determinato momento e con un unico impulso. Può paragonarsi ad un intervento chirurgico. Il Magistero ordinario, invece, non concentra la sua luce in un unico fascio, ma la sua luminosità si diffonde nel tempo e nello spazio. Corrisponde ad un trattamento clinico, che ha però un’azione chirurgica.
21. La definizione solenne del Concilio Vaticano I sull’infallibilità del Magistero ordinario si presenta così: “Con fede divina e cattolica deve credersi tutto ciò che è contenuto nella Parola di Dio scritta o tramandata, e che è proposto dalla Chiesa come divinamente rivelato sia con giudizio solenne, sia nel suo Magistero ordinario universale”. – Il Vaticano I, nel proclamare l’infallibilità del Papa e del Magistero ordinario universale, studiò le condizioni per le quali questo Magistero ordinario è infallibile, ma non giunse a definirle perché fu interrotto dalla guerra franco prussiana del 1870.
22. Le promesse solenni di Nostro Signore – “Andate e insegnate a tutte le genti”, “starò con voi fino alla consumazione dei secoli”, “chi ascolta voi ascolta me” – furono espresse solo per gli Apostoli e i loro successori, il Papa e i Vescovi, che costituiscono la Sacra Gerarchia. Valgono, in modo eminente, per il Magistero ordinario, che insegna giorno per giorno, nella vita ordinaria che si estende fino ai Vescovi degli angoli più remoti della terra. Valgono per un discorso solenne del Sommo Pontefice in una commemorazione in San Pietro, per le encicliche, per i decreti e le condanne più gravi delle Congregazioni romane, come per le lettere pastorali e i sermoni dei Vescovi in tutto il globo.
III.a - Approfondimento della nozione di insegnare
23. Recentemente, negli ambienti cattolici si è introdotta una grave confusione fra insegnare e “dialogare”. L’insegnamento è la trasmissione di una verità come tale, cioè non limitata alla proposizione vaga e indefinita di un’idea che possa essere intesa come una semplice nozione generica che l’ascoltatore può accettare o no.
Chiaramente, l’insegnamento può e deve attribuire gradi diversi di certezza e di imperatività alle verità che vengono insegnate. Alcune comportano l’infallibilità e pertanto non è possibile negarle. Altre non implicano l’autorità della Chiesa a questo grado estremo, ma si presentano come verità che sarebbe temerario negare. Altre ancora sono trasmesse con un grado minore di certezza o di probabilità, costituendo, per esempio, deduzioni dai dogmi o dai principi maggiori, che tuttavia la Chiesa insegna senza giungere ad attribuire ad esse una sicurezza dottrinale maggiore. Tutto questo è comunque insegnamento e non mero dialogo, non una semplice proposizione di temi per dello scambio di idee.
24. Si impone qui un chiarimento circa le omissioni e i silenzi. Entrambi contengono una dottrina o un insegnamento quando comportano l’obbligo di agire o parlare, mentre l’insegnante non agisce né parla. Se l’obbligo di agire o parlare fosse morale, l’omissione o il silenzio costituirebbero l’espressione di un male, di un errore, di un’eresia. - Se, al contrario, si trattasse di un’imposizione ingiusta di una autorità o di un ambiente sociale, richiedente qualcosa di diverso dal retto agire, allora l’omissione o il silenzio rappresenterebbero una resistenza ad un’ingiusta imposizione e costituirebbero l’espressione di una rettitudine morale, o della fede, tali quindi da costituire un insegnamento. È questo il caso del martire che si rifiuta di incensare un idolo o di professare un’eresia.
25. Occorre distinguere una semplice manifestazione del pensiero di un Vescovo, per esempio, da un atto di insegnamento. Se questi, nella sua stanza, si inchina riverente davanti ad un’immagine di Gesù crocifisso, allora si ha solo un atto di pietà personale, col quale egli esprime la sua devozione senza traccia alcuna di insegnamento. Se invece egli pratica questo stesso gesto davanti ad un’assemblea di fedeli, pubblicamente, in modo che tutti vedano, è chiaro che così sta trasmettendo una dottrina, un insegnamento, con forza maggiore o minore secondo le circostanze, come se esprimesse con parole quello stesso che il suo gesto esteriorizza.
III.b - L’insegnamento del Magistero ordinario per mezzo di atti o gesti
26. Da quanto esposto, si comprende che il Magistero ordinario della Chiesa, esercitato dal Papa e dai Vescovi, poggiante sulle promesse di Nostro Signore, si realizza non solo con le parole scritte o orali, ma anche con atti e fatti dalla natura estremamente varia e ricca. E questo appare chiaro, per esempio, ogni volta che un membro della Gerarchia, pubblicamente, in circostanze che manifestano l’intenzione di trasmettere degli insegnamenti, pratica dei gesti, celebra delle cerimonie, ricorre a dei simboli, ecc. che portano in sé i segni di veri atti del magistero.
27. Citando Aristotele, San Tommaso dice che la prudenza risiede nel principe “in qualità di arte architettonica”, come virtù che regge l’atto del governare, per il quale egli applica al caso concreto i principi speculativi (Sum. Th., q. 47, art. 12, co). – Ci sono oggi pastori della buona dottrina che, per mancanza di prudenza, disdicono con atti e gesti ciò che insegnano in teoria. – Notando, una volta, che un certo gerarca parlava diritto e agiva storto, il P. Congar concludeva che ciò che conta sono i fatti e non le parole. – Diciamo che questa conclusione vale sul terreno pratico, come vittoria effettiva dell’orientamento di sinistra; vale sul terreno morale, perché facilmente il cattivo esempio del pastore prevale sul suo retto parlare; e vale anche sul terreno magistrale, perché al cospetto d’insegnamenti contraddittori i fatti tendono a segnare più profondamente lo spirito dei fedeli.
28. Gran parte di questo magistero esercitato con atti, gesti, cerimonie ecc., è quello che, in tempi di normalità e di fervore, porta i bambini ad apprendere ciò che negano i preti austriaci del cosiddetto Appello alla Disobbedienza, epigoni del matrimonio dei preti, dell’ordinazione delle donne e di tanti altri errori. Riteniamo che questo sia di somma importanza in relazione con quanto affermato da Benedetto XVI nella sua omelia del Giovedì Santo, il 5 aprile del 2012, nella Santa Messa del Crisma: “gli elementi fondamentali della fede, che in passato ogni bambino conosceva, sono sempre meno noti”. – Si noti, con particolare attenzione, che in questa frase lapidaria, che ha la forza e la portata per orientare la Pastorale e perfino la Teologia dogmatica di tutto il futuro della Chiesa, Sua Santità usa il passato: “in passato ogni bambino conosceva”. - Negli ampi studi sul Concilio Vaticano II, che si stanno sviluppando in modo straordinario in questa vigilia della commemorazione del suo cinquantenario, questa frase storica di Benedetto XVI dovrebbe costituire un elemento di base per tutti i teologi veramente cattolici.
29. Un’osservazione finale. Il Papa e i Vescovi non proclamano la verità solo con gli scritti e le prediche personali, ma anche con l’approvazione espressa o tacita che danno a ciò che viene insegnato sotto la loro autorità.
Svilupperemo questo tema in un prossimo studio di questa nostra serie sul “Magistero ordinario, il grande sconosciuto”, per il quale invochiamo, come sempre, la benedizione di Maria Santissima.
Arnaldo Xavier da Silveira
Pubblicato sul sito dell'Autore - Bonum certamem 25.05.2012