Editoriale di Don Régis de Cacqueray, Superiore del Distretto di Francia della Fraternità San Pio X, su Fideliter n. 209, settembre-ottobre 2012
Nel suo motu proprio Ecclesia Dei adflicta del 2 luglio 1988, che seguì le consacrazioni dei nostri quattro vescovi da parte di Mons. Marcel Lefebvre, il Papa Giovanni Paolo II scriveva: «La radice di questo atto scismatico è individuabile in una incompleta e contraddittoria nozione di Traditione. Incompleta, perché non tiene sufficientemente conto del carattere vivo della Tradizione, “che - come ha insegnato chiaramente il Concilio Vaticano II - trae origine dagli Apostoli, progredisce nella Chiesa sotto l'assistenza dello Spirito Santo: infatti la comprensione, tanto delle cose quanto delle parole trasmesse, cresce sia con la riflessione e lo studio dei credenti, i quali le meditano in cuor loro, sia con la profonda intelligenza che essi provano delle cose spirituali, sia con la predicazione di coloro i quali con la successione episcopale hanno ricevuto un carisma certo di verità”.
« Ma è soprattutto contraddittoria una nozione di Tradizione che si oppone al Magistero universale della Chiesa, di cui è detentore il Vescovo di Roma e il Corpo dei Vescovi. Non si può rimanere fedeli alla Tradizione rompendo il legame ecclesiale con colui al quale Cristo stesso, nella persona dell'apostolo Pietro, ha affidato il ministero dell'unità nella sua Chiesa.»
Secondo questa grave accusa di Giovanni Paolo II, il fondo della divergenza tra la Roma conciliare e Mons. Lefebvre, starebbe sulla nozione di «Tradizione», in quanto il fondatore della Fraternità avrebbe avuto di essa una comprensione solo «incompleta e contraddittoria», incompleta perché non avrebbe tenuto sufficientemente conto del «carattere vivo della Tradizione» e contraddittoria perché sarebbe stata in opposizione al «Magistero universale della Chiesa». L’appunto del papa defunto, d’altronde, ricorda gli accesissimi dibattiti che si erano prodotti durante il Concilio tra teologi novatori e prelati tradizionali su questa questione della Tradizione. E i colloqui dottrinali del 2009-2011 fra Roma e la Fraternità hanno confermato fino a che punto questa questione fosse decisiva.
Se, da parte sua, la Roma conciliare ritiene che la nostra nozione di Tradizione sia incompleta e contraddittoria, da parte nostra pensiamo che il Concilio abbia imposto in realtà una nuova e falsa concezione della Tradizione, sia per l’influenza della scuola di Tubinga, sia per l’impulso di teologi come i padri Congar e Rahner. Certo, la Costituzione conciliare Dei Verbum, che tratta dell’argomento, procede solo in modo attutito. Procede per insinuazioni o usando formule a doppio senso, che non vennero colte dalla gran parte dei Padri del Concilio, ma furono abilmente disseminati perché, dopo il Concilio, ci si potesse appoggiare ad esse per promuovere un’idea del tutto diversa, un’idea evoluzionista, della Tradizione.
Tra le insidie o le volontarie imprecisioni che brulicano in questa costituzione conciliare, ci accontentiamo di segnalare l’introduzione dell’espressione «Tradizione vivente», che in seguito verrà ripresa e sfruttata così spesso nei testi del Magistero post-conciliare. E non siamo certo noi che ne esaltiamo l’importanza, poiché l’accusa di Giovanni Paolo II a Mons. Lefebvre era costituita esattamente dal rimprovero che la sua concezione della Tradizione era incompleta perché non teneva sufficientemente conto del suo «carattere vivo», e ai suoi occhi è proprio in questo che si trovava «la radice di questo atto scismatico»! Nella realtà di ciò che è seguito al Concilio, tutto l’interesse che avevano i novatori di introdurre l’espressione «Tradizione vivente», si è manifestata chiaramente. Non si è più considerata la Tradizione come il deposito delle verità ricevute da Dio con la Rivelazione, composta dagli Apostoli sia oralmente, sia per iscritto e chiusasi con la morte dell’ultimo di essi. Il carattere oggettivo della Tradizione è stato messo da parte a favore di un significato tanto nuovo quanto vago.
«… la Tradizione non è trasmissione di cose o di parole, una collezione di cose morte. La Tradizione è il fiume vivo che ci collega alle origini, il fiume vivo nel quale sempre le origini sono presenti. Il grande fiume che ci conduce al porto dell’eternità…» (Benedetto XVI, Udienza generale del 26 aprile 2006, La comunione nel tempo: la Tradizione, L’Osservatore Romano, 2 maggio 2006).
Se la «Tradizione vivente» di cui parla il Concilio è a doppio senso (debolezza stupefacente per un’espressione che si vuole magisteriale), il post-Concilio non permette più che la si possa considerare in maniera ortodossa. La realtà che essa riveste non designa l’oggettiva immutabilità del senso delle verità rivelate, che permane anche nelle formulazioni che le rendono più precise. Il nuovo magistero del Vaticano II concepisce la Tradizione da un punto di vista soggettivo: la Tradizione vivente rappresenta, sul piano collettivo del popolo di Dio, la continuità delle esperienze. Essa è, ci dice il Sommo Pontefice regnante: «la comunione dei fedeli intorno ai legittimi Pastori nel corso della storia, una comunione che lo Spirito Santo alimenta assicurando il collegamento fra l'esperienza della fede apostolica, vissuta nell'originaria comunità dei discepoli, e l'esperienza attuale del Cristo nella sua Chiesa» (Benedetto XVI, ibidem).
La Tradizione non è più l’insegnamento della verità rivelata, essa è la comunicazione di un’esperienza. E per esperienza, è chiaro che si deve intendere altro dall’adesione intellettuale ad una verità che come tale definisce la fede. D’altronde, già prima del Vaticano II (con la nuova teologia condannata da Pio XII nella Humani generis) si trova una confusione fra la fede e l’esperienza mistica dei doni dello Spirito Santo, anch’essa distinta malamente dall’esperienza religiosa naturale. E qui non si è molto lontani dal «senso religioso che sorge dal profondo», di cui parlava volentieri Giovanni Paolo II (Cfr. Il Segno di contraddizione).
Chi può negare che questa nuova concezione della Tradizione si fondi su dei presupposti difficilmente accettabili? E noi ci opponiamo ad essa perché è una concezione nuova che si distanzia enormemente da quella che fu sempre creduta e predicata nella Chiesa cattolica.