di don Pierpaolo Petrucci
Dopo l’elezione del Card. Bergoglio, i media hanno diffuso a livello internazionale l’immagine dell’incontro del “Vescovo” di Roma con il “Papa emerito”, creando indubbiamente, dopo le dimissioni di Benedetto XVI, un ulteriore disorientamento sulla figura del Vicario di Cristo
Vedere Benedetto XVI vestito di bianco e chiamarlo “Papa emerito” dopo la sua abdicazione dal Supremo pontificato genera indubbiamente confusione, come l’insistenza a denominare il Vicario di Cristo “Vescovo di Roma”, quasi a limitare il suo potere a quella diocesi o, al meglio, attribuirgli unicamente un primato di onore fra tutti gli altri vescovi, ciò che è contrario alla costituzione intima del Supremo pontificato come Gesù Cristo lo ha istituito.
Credo sia importante ricordare che il Card. Bergoglio è stato designato come Vescovo di Roma dai Cardinali che lo hanno eletto, ma dopo la sua accettazione è stato investito prima di tutto del Papato cioè del primato di governo su tutta la Chiesa e solo in seguito, dell’episcopato sulla città particolare di Roma. Ogni episcopato particolare infatti viene dal principale, anche quello di Roma.
Il Vescovo di Roma è il Papa cioè il Capo unico ed assoluto di tutta la Chiesa in quanto successore di San Pietro, per istituzione divina.
Così si esprime il Caietano: «Quando Pietro si appropriò la chiesa di Roma per collegarvi definitivamente il suo episcopato, prese una decisione che doveva essere all’origine di un nuovo diritto: il Vescovo di Roma sarebbe il suo successore… questa decisione è stata resa definitiva allo stesso tempo per la morte di San Pietro e per l’ordine di Cristo».[1]
Così afferma anche il Concilio Vaticano I: «Chiunque succede a Pietro in questa cattedra (di Roma) ottiene, secondo ciò che il Cristo ha lui stesso stabilito, il primato di Pietro sulla Chiesa universale».[2]
“Vescovo di Roma”; “Papa emerito”: in controluce a tali titoli è impossibile non scorgere la nuova concezione del Concilio Vaticano II sulla collegialità che trova il suo fondamento nella costituzione Lumen gentium al n° 22, in cui si stabilisce che nella Chiesa vi sono due soggetti del supremo potere di giurisdizione: il Papa ed il collegio dei vescovi.[3]
Secondo l’insegnamento del concilio infatti il potere di giurisdizione è ricevuto dai vescovi immediatamente da Dio, tramite la consacrazione.[4] Così essi entrano a far parte del collegio, soggetto giuridico di questo potere supremo e universale. Il vescovo di Roma, designato come capo del collegio tramite elezione, non vedrebbe così che attribuirsi un semplice primato di onore, che non aggiunge niente dal punto di vista della giurisdizione, posseduta già al pari degli altri vescovi, appunto per la consacrazione episcopale.
Ma il primato che il Vescovo di Roma esercita su tutta la Chiesa è una verità di fede divinamente rivelata.
Vero è che i vescovi ricevono tutti, compreso il Papa, il loro potere d’ordine direttamente da Dio tramite il rito della consacrazione, ma il solo a ricevere il potere di giurisdizione direttamente da Dio è il Papa, ed è lui che ne rende partecipi poi i vescovi che sceglie nel governo delle diocesi.
Pio XII nell’enciclica Mystici Corporis (1943) afferma chiaramente che i Vescovi governano la loro diocesi in nome del Cristo, «tuttavia quando lo fanno, non lo fanno affatto per diritto proprio, ma posti sotto la debita autorità del Romano Pontefice, benché godano di un potere di giurisdizione ordinario, dato loro immediatamente dallo stesso Pontefice».[5]
Solo il Papa possiede il pieno primato di governo su tutta la Chiesa. Egli può esercitarlo in maniera straordinaria nel Concilio insieme ai vescovi, ma anche in questo caso il potere di giurisdizione rimane unico poiché i decreti di un Concilio hanno valore unicamente nella misura in cui il Papa li fa suoi.
Così insegna chiaramente il Concilio Vaticano I: «È a questa dottrina così evidente delle Sacre Scritture, come è sempre stata compresa dalla Chiesa, che si oppongono apertamente le prave sentenze di coloro che pervertono la forma del governo istituita dal Cristo nella sua Chiesa, negano che solo San Pietro è stato dotato di un vero e proprio Primato di giurisdizione che lo mette alla testa di tutti gli altri apostoli, che siano presi isolatamente o tutti insieme riuniti»[6].
La nuova dottrina sulla collegialità sostiene invece che vi sono due soggetti del potere nella Chiesa che lo detengono in maniera permanente: il Papa solo e il Collegio dei vescovi unito al Papa.
Un tale insegnamento introduce il democratismo, rimette in discussione il primato di Pietro nella sua unicità e fa della chiesa un organismo bicefalo.
Già il Papa Bonifacio VIII condannava ante litteram tale errore con parole molto forti: «Colui dunque che presiede la Chiesa Romana è Successore di Pietro e perciò gode del potere di lui, altrimenti il Dio e Uomo Cristo Gesù, che siede alla destra del Padre, avrebbe lasciato la sua Chiesa o acefala, cioè senza qualcuno che tenesse le sue veci su tutta la terra, oppure come un mostro a più teste: ciò che non sarebbe soltanto da ritenersi contrario alla ragione anche in natura, quanto piuttosto eretico. E per questo la Sede Romana è Madre della fede, sola concede ai Concili l’autorità da loro ricevuta, stabilisce i diritti e fa le leggi».[7]
È sintomatico che, nella crisi che sta attraversando la Chiesa, sia proprio la Fraternità San Pio X, calunniata spesso come scismatica, a difendere più di chiunque il Papato nella sua concezione autentica che prescinde dall’umanità in cui si incarna. La ragione è semplice: le ragioni della nostra fede devono essere fondate ed aver come punto di riferimento, non opinioni personali, e neppure una persona, foss’anche costituita in autorità, ma il magistero perenne della Chiesa. Esso ci insegna che il Papa può essere soltanto uno strumento per il quale Gesù Cristo continua a guidare la barca di Pietro. Egli fonda la sua autorità e trova la sua ragion d’essere unicamente nella dipendenza di Colui di cui è Vicario per trasmettere il deposito ricevuto senza alterarlo.
Fonte: Editoriale de La Tradizione Cattolica, n° 2 - 2013
[1] Il Successore di San Pietro n. 288 e 289
[2] Pastor Aeternus Ds 3057
[3]«L’ordine dei vescovi, il quale succede al collegio degli apostoli nel magistero e nel governo pastorale, anzi, nel quale si perpetua il corpo apostolico, è anch’esso insieme col suo capo il romano Pontefice, e mai senza questo capo, il soggetto di una suprema e piena potestà su tutta la Chiesa, sebbene tale potestà non possa essere esercitata se non col consenso del romano Pontefice» Lumen gentium n. 22
[4] Lumen gentium n° 21
[5] DS 3804
[6] DS 3054
[7] Acta Bonifatii VIII, 11 oct. 1298, C.I.C.O. Fontes pp. 203-204