di Arnaldo Xavier da Silveira
1. Il mondo cattolico deve molto alle persone semplici che conservano la vera fede, come anche agli scrittori e agli uomini d’azione antimodernisti che negli ultimi decenni hanno ampiamente sviluppato le dottrine e le attività in difesa del sacro deposito della Tradizione.
Nei vari campi della teologia e soprattutto nell’ecclesiologia e nella liturgia, l’approfondimento dei principi tradizionali è stato notevole; e anche nell’ambito pratico della vita cattolica, gli antimodernisti hanno lottato con un’eroica audacia che in futuro verrà ricordata con evidenza nella storia della Chiesa.
Divergenze nei mezzi antimodernisti
2. Non sono pochi, tuttavia, i disaccordi nati, nella teoria come nella pratica, tra gli antimodernisti. Alcuni accettano incondizionatamente il concilio Vaticano II, altri no. Alcuni si definiscono tradizionalisti, altri rifiutano questa qualifica [1]. Alcuni dicono che Papa Onorio fosse eretico, altri lo negano, e analoghe differenze si riscontrano in relazione a numerosi fatti della storia della Chiesa. Molti adottano alcune teorie dottrinali moderniste, al punto da allontanarsi dall’ortodossia, pur continuando a dirsi tradizionalisti. E così, seguendo i diversi modi di vedere, giungono spesso a gravi antipatie personali.
3. Nell’attuale momento storico, non sembra possibile conciliare posizioni tanto diverse e perfino opposte tra loro. C’è da sperare che, col tempo, col maturare delle idee, con l’influsso della grazia, che non può abbandonare la Chiesa, gli orientamenti dei veri fedeli si muovano sulla base di solide e convergenti convinzioni, di modo che, sottomessi al Magistero come indica la legge della Chiesa, gli antimodernisti finiscano con l’armonizzare meglio le loro posizioni, sempre rispettando il vecchio principio: in necessariis unitas, in dubiis libertas, in omnibus caritas.
Un’infallibilità monolitica?
4. Vi è un punto dottrinale fondamentale al quale gli studiosi più eminenti dell’antimodernismo, al pari dei loro seguaci, si vede che non danno la dovuta importanza. Si tratta del principio che ci possano essere errori ed eresie nei documenti del Magistero pontificio e conciliare non garantiti dall’infallibilità [2]. In effetti, questo principio è in genere assente nelle argomentazioni antimoderniste, che negli ultimi decenni hanno alimentato e sostenuto il mondo cattolico con la sana dottrina.
5. Negare in modo assoluto la possibilità di errore o perfino di eresia in un documento pontificio o conciliare non garantito dall’infallibilità, significa attribuire a questa un carattere monolitico che non corrisponde a quello che Nostro Signore volle e fece nell’istituirla. Le prefigurazioni neotestamentarie sono chiare: la barca di Pietro che quasi si rovescia e che si salva solo per un miracolo; Pietro che rinnega Gesù Cristo e che non era ai piedi della Croce. Circa l’episodio della resistenza di San Paolo a San Pietro sulla questione dei riti giudaici, si cercano le spiegazioni più sottili che si possano escogitare, ma è pacifico che San Pietro era “degno di rimprovero” (reprehensibilis erat) [3].
Insegnamenti non infallibili
6. Nella storia dell’infallibilità pontificia prevale fino ad oggi, purtroppo anche in alcuni autori tradizionali tra i più affermati, la suddivisione semplicistica e dicotomica in base alla quale il Papa, in materia dottrinale, può parlare solo: o (1) come dottore privato o (2) con una definizione infallibile del Magistero straordinario. Per questi autori, “non datur tertium”, cioè non v’è altro modo in cui il Papa possa parlare e non si sfugge a queste due alternative. In questa ottica, resta nell’ombra una terza possibilità, quella di un pronunciamento magisteriale pubblico, ma non infallibile. In effetti, fu solo a partire del XIX secolo che si esplicitò meglio e si fissò la nozione di Magistero ordinario non infallibile, e che i papi e i grandi dottori approfondirono la preziosa e ricchissima dottrina secondo la quale il Magistero Ordinario può godere dell’infallibilità quand’è universale nel tempo e nello spazio e soddisfi le altre condizioni dell’infallibilità.
7. Grandi autori della neoscolastica, ansiosi di combattere il liberalismo, il modernismo e le eresie correlate, hanno sempre sottolineato l’autorità dottrinale papale, a volte sembrando insinuare un’infallibilità monolitica, che sussisterebbe in modo assoluto in ogni circostanza, come se non dipendesse dalle condizioni, perfino da quelle che furono espressamente indicate al concilio Vaticano I. Tuttavia, nella neoscolastica si incontra con frequenza una maggiore precisione nei concetti, che rendono chiaro che, occasionalmente, in tempi di crisi o magari in altre circostanze straordinarie, sono possibili dei pronunciamenti papali che non esprimono la verità. E in questa materia, ciò che vale per il Papa vale anche, mutatis mutandis, per il Concilio [4].
8. Vi sono di quelli che dicono che, anche se non è sempre garantito dall’infallibilità, un pronunciamento dottrinale papale o conciliare non può contenere errori. Questa posizione è meglio enunciata nella seguente forma: dire che un insegnamento non è infallibile, non significa che in esso possano esserci errori, significa solo che esso non è formalmente garantito dal carisma dell’infallibilità; per tale insegnamento, infatti, nonostante manchi la copertura dell’infallibilità, permane l’assistenza dello Spirito Santo, e quindi vale il principio che non possa contenere errori. – Tuttavia, la sana dottrina è diversa. Questa assistenza promessa alla Chiesa può essere assoluta, assicurando così la verità dell’insegnamento, solo quando sono soddisfatte le condizioni dell’infallibilità. Quando invece tali condizioni non sono soddisfatte, è possibile che l’uomo resista alla grazia. Così che si applica la regola enunciata da San Tommaso: “quod potest esse et non esse, quandoque non est” (“ciò che può essere e non essere, a volte non è”). A rigore di logica, non si vede come si possa accettare la nozione forzata e monolitica che condurrebbe all’assurdo di un “fallibile infallibile” [5].
Distinguendo l’eretico dall’eretizzante
9. Se ci può essere errore o perfino eresia nei documenti papali e conciliari, a fortiori possono esserci proposizioni meritevoli di rimproveri meno gravi. Applicando questo principio al concilio Vaticano II, si comprende che il problema non sta solo nel sapere se in esso vi siano eresie formali, ma nel verificare se, a fronte della Tradizione, nei suoi documenti finali vi siano proposizioni che favoriscono l’errore o l’eresia, dal sapore erroneo o eretico, offensive per le orecchie pie, scandalose e meritevoli di altri rimproveri teologici. In poche parole, non si tratta solo di sapere se nel Concilio vi siano errori o eresie, ma anche di verificare se vi siano proposizioni eretizzanti [6].
10. Chiaramente, una proposizione conciliare erronea, eretica o eretizzante, non può includersi nel patrimonio delle verità di fede, perché in essa non sono soddisfatte le condizioni dell’infallibilità del Magistero ordinario. Tale proposizione sarebbe una dichiarazione manchevole del Concilio, che non gode di un’infallibilità monolitica. Inoltre, nel caso in cui si riscontrino diverse proposizioni eretizzanti, articolate in uno stesso sistema, anche queste non possono includersi nella dottrina della Chiesa.
In conclusione
11. A mio avviso, gli argomenti scritturali e tradizionali che stanno alla base della dottrina della possibilità di errore e di eresia in un documento papale o conciliare non infallibile, sono apodittici. Per altro verso, la nozione di infallibilità monolitica ispira la maggior parte sia dei sedevacantisti sia dei neoconciliari che attribuiscono forza dogmatica al Vaticano II; nozione che è alla radice di numerosi dubbi, perplessità e problemi che affliggono molti spiriti fedeli. Un ampio chiarimento su questa materia sarebbe un fattore di convergenza, atto ad eliminare malintesi e a ridurre le differenze di visuale che sussistono, nella dottrina e nella pratica, tra i pensatori e i movimenti antimodernisti.
NOTE
1 - Per indicare la specificità di coloro che abbracciano la vera fede secondo la Tradizione cattolica, impiego preferibilmente il termine “antimodernista”, che sembra più omnicomprensivo rispetto agli altri comunemente usati, quali “tradizionalisti” e “antiprogressisti”.
2 - Si veda La Nouvelle Messe de Paul VI: Qu’en Penser?, da me pubblicato nel 1975, Diffusion de la Pensée Française, Chiré-en-Montreuil, parte II, capp. IX e X, e i lavori ivi citati.
3 - Gal. 2, 11.
4 - “(...) il problema del criterio dell’infallibilità non si pone in modo sostanzialmente diverso nel caso del papa e del concilio ecumenico. Entrambi, infatti, possono avere l’intenzione di impegnare la propria autorità o solo parzialmente o irrevocabilmente. Solo quest’ultima volontà è criterio certo di infallibilità” (CHARLES JOURNET, L'Eglise du Verbe Incarné, Desclée de Brouwer, 3a ed. aumentata, 1962, t. I, pag. 578, n° 1).
5 - L’espressione è di Jean Madiran, in Le faillible infaillible: l’analyse de Jean Madiran, segnalato in La Riposte Catholique, 27.11.2011 [L’articolo, con questo stesso titolo, è stato pubblicato sul n° del 28.11.2011 del quotidiano francese Présent].
6 - Ci si può chiedere se ciò che scrivo qui non si scontri con l’appello di Benedetto XVI, nel suo discorso alla Curia romana del 22 dicembre 2005, perché il Concilio venga interpretato secondo una “ermeneutica della riforma nella continuità”. - Nella stessa occasione, il Papa ha dichiarato che l’accettazione del Vaticano II, “in grandi parti della Chiesa”, cioè tra gli antimodernisti, dipende da una “giusta chiave di lettura e di applicazione”. Con spirito filiale e di religiosa sottomissione al Magistero vivo, nella misura totale imposta dalla dottrina cattolica, dico che i dubbi e le controversie sul Vaticano II, che per decenni hanno colmato di stupore i fedeli cattolici, si ridurrebbero certamente, o addirittura scomparirebbero, se Sua Santità dichiarasse, in modo più specifico di come abbia fatto finora e in modo assolutamente preciso, qual è questa “chiave” per l’interpretazione del Concilio come “riforma nella continuità”. Per sua natura, questa dichiarazione non può mancare di chiarire se è teologicamente possibile che ci siano proposizioni erronee, eretiche o eretizzanti negli insegnamenti conciliari di carattere dottrinale che non soddisfano i requisiti di infallibilità.
Fonte: www.unavox.it