di don Pierpaolo Maria Petrucci
“Il mistero di Gesù Cristo è così profondo, così straordinario che sembrerebbe più naturale adorarlo in silenzio che parlarne, perché possiamo temere, con buona ragione, che le nostre parole come i nostri pensieri, siano molto insufficienti ad esprimere tutte le ricchezze racchiuse in questo santuario ineffabile che è Gesù Cristo”[1]
La nascita di Gesù a Betlemme manifesta il grande mistero dell’Incarnazione. In seguito al peccato originale il Messia promesso ed atteso, nasce da una Vergine come il profeta Isaia[2] aveva annunciato 700 anni prima, e proprio nella piccola città di Betlemme stavolta secondo la profezia di Michea[3].
Il Signore comincia così a dare delle prove della sua divinità, poiché Egli è l’Emanuele cioè, Dio con Noi, la seconda persona della SS. Trinità che assume una natura umana. L’azione divina infatti aveva formato nel seno della S. Vergine Maria una natura umana per unirla alla Persona del Verbo. Si tratta di un’ opera “ad extra” della SS. Trinità e come tale è comune alle Tre persone divine, ma termina con l’unione della natura divina e della natura umana nella persona di Gesù[4]. Solo il Figlio si fa uomo, il Verbo Incarnato è Gesù Cristo.[5]
“L assunzione da parte di Dio stesso di quest’anima e di questo corpo conferisce a quest’uomo attributi, diritti, doni, e privilegi unici superiori a tutto ciò che si possa immaginare”[6]
E’ la grazia dell’unione ipostatica, cioè nella persona, che rende Gesù mediatore supremo fra Dio e gli uomini, Sommo Sacerdote. L’ordine sacerdotale è quindi una partecipazione al sacerdozio di Cristo, alla grazia di unione propria a Nostro Signore. Si comprende quindi tutta la dignità ed il ruolo essenziale del sacerdote che consiste nel prestare la propria umanità a Gesù Cristo perché possa continuare ad esercitare la sua missione di Salvatore nel mondo, tramite la predicazione della buona dottrina, l’amministrazione dei sacramenti e soprattutto nel rendere presente il suo sacrificio sulla croce alla S. Messa.
L’Incarnazione manifesta in maniera straordinaria l’amore di Dio che ha tanto amato gli uomini fino a condividere la nostra condizione, quasi annientando se stesso, come ci dice S. Paolo. Come spiegare questo grande mistero? S. Tommaso ci dice che Dio è la bontà stessa ed il bene di per sé tende a diffondersi, a comunicarsi, per questo l’Incarnazione era conveniente alla natura divina poiché è il modo più grande di comunicarsi del Sommo bene alla creatura.[7]
Un proverbio latino a afferma “Si vis amari ama”, se vuoi essere amato, comincia ad amare. Dio ci ha amato per primo, quando eravamo ancora peccatori. Facendosi uomo ha manifestato il suo e amore misericordioso infinito per noi Dio e così ci provoca ad amarlo a nostra volta.
L’amore tende all’unione e non vi è unione più grande di quella che si realizza nella Persona del Figlio di Dio fra la natura umana e la natura divina. Questa unione fra l’uomo e Dio in Gesù Cristo ha per scopo di ridare a tutti gli uomini la possibilità ritrovare l’amicizia di Dio, la vita divina della nostra anima, la grazia santificante, persa a svantaggio di tutta l’umanità da Adamo[8]. L’unione della nostra anima a Dio tramite la grazia, pur essendo essenzialmente diversa da quella dell’uomo-Dio, ci rende partecipi della natura divina e fa di noi dei figli adottivi e quindi eredi del Paradiso.
San Tommaso insegna ancora che l’Incarnazione non era assolutamente necessaria per rimediare al peccato originale. Dio avrebbe potuto perdonare all’umanità peccatrice, senza esigere alcuna riparazione. Ma poiché il peccato che offende Dio ha una gravità in un certo qual modo infinità, per ripararlo adeguatamente, occorreva l’ unione della natura umana di Gesù al Verbo divino in modo che i suo atti potessero assumere un valore meritorio infinito.[9] Così l’uomo, vinto dal demonio in Adamo, poteva trionfare su di lui in Gesù Cristo.
La scuola scotista afferma che l’Incarnazione fu voluta da Dio per se stessa indipendentemente dal peccato di Adamo. La questione è liberamente disputata, ma S. Tommaso insegna che se l’uomo non avesse peccato Dio non si sarebbe incarnato perché la Sacra Scrittura parla sempre dell’Incarnazione come rimedio al peccato, tant’è che la Chiesa ci fa recitare nel Credo: “Propter nos homines et propter nostram salutem descendit de coelis et incarnatus est” [10].
Gesù venne per riparare non solo il peccato originale, che è il più grande per estensione perché è comunicato a tutti gli uomini, ma anche tutti gli altri peccati che prese su di se offrendosi al Padre dal primo momento della sua concezione fino alla sua morte sulla Croce, in sacrificio per noi.[11]
“Questa presenza di Dio incarnato nella storia dell’umanità non può che essere il centro della storia, come il suo sole, verso cui tutto va e da cui tutto proviene. E se si pensa e crede che questo mistero dell’Incarnazione è in vista del mistero della Redenzione, allora va da sé che senza Gesù Cristo non c’è salvezza possibile. Ogni atto e ogni pensiero che non sono cristiani sono senza valore salvifico, senza merito per la salvezza”.[12]
[1] Mons. Martcel Lefebvre, Itinerario spirituale ed. Ichthys p.54
[2] Is. 7,4
[3] Mic. 5,2
[4] Il Figlio di Dio non si unisce a tutti gli uomini, come vorrebbe Gaudium et spes al n° 22, ma alla sola natura umana di Gesù.
[5] Pietro Parente, Compendio di Teologia Dogmatica, voce Incarnazione
[6] Itin, spirit. P. 58
[7] Somma Teologica III q 1 a 1
[8] Il succitato passaggio di Gaudium et spes è all’origine di un errore diffuso nella “chiesa conciliare” secondo cui, per il solo fatto dell’Incarnazione tutti gli uomini sarebbero già uniti a Dio e quindi salvi. L’unione a Dio tramite la Grazia Santificante che Gesù ci ha meritato e che sola ci permetterà di accedere alla salvezza, può essere realizzata invece unicamente tramite la fede e la carità, virtù soprannaturali che guidano la nostra esistenza in maniera conforme ai comandamenti di Dio. (Vedi anche La Tradizione Cattolica anno XXIII, n° 2 (83), Editoriale)
[9] Somma Teologica, III q 1 a 2
[10] Somma Teologica III q 1 a 3
[11] Somma III q 1 a4
[12] Itinerario spirituale p.56