Sempre l'uomo ha ritenuto opportuno offrire a Dio dei sacrifici per onorarlo e per riconoscerlo Creatore e Signore di tutte le cose. Ma i sacrifici dell'antico Testamento erano soltanto un simbolo ed una figurazione dell'unico vero Sacrificio, quello di Gesù sulla croce: ad essi mancava la "forza" per riaprire le porte del Paradiso, chiuse dal peccato di Adamo: solo il Sacrificio di Dio stesso, fattosi uomo, poteva attuare la redenzione; solo l'Agnello-Cristo, e non l'agnello di Abele e dei sacerdoti del tempio, poteva prendere su di sé tutti i peccati del mondo ("Agnus Dei qui tollit peccata mundi") e aprire le porte del Cielo.
Il Sacrificio di Cristo quindi è l'unico perfetto: il sacerdote è Cristo stesso e la vittima immolata è sempre Cristo. E’ di Fede: la S. Messa è il rinnovamento incruento del Sacrificio della Croce con la presenza sacramentale, reale, di Gesù, con la transustanziazione, cioè con il cambiamento del pane e del vino nel corpo, sangue, anima e divinità di Cristo, non si tratta di un semplice memoriale, di un ricordo della cena del Signore.
Qualcuno, forse ingenuamente, potrebbe obiettare che pure la Chiesa parla di cena Domini, di cena del Signore, che Gesù fece una cena. Questo tale dimentica e non considera che quella non fu una cena qualunque, una cena fra giovani amici festaioli, ma una cena sacrificale, secondo il rito pasquale («desiderio desideravi hoc pascha manducare vobiscum», Le 22, 15), secondo un rito sacro, una cena nella quale si sacrificava e mangiava l'agnello e il pane azzimo: quel rito, d'allora che poi, sarebbe diventato il rito cattolico, il rito della Messa cattolica, e l'agnello, d'allora in poi, sarebbe stato Gesù stesso, Agnello divino, Sacerdote e Vittima. Anche le parole e i gesti usati da Gesù indicano chiaramente che si tratta di sacrificio: «elevati gli occhi al cielo, rendendoti grazie, benedì [...], di nuovo rendendoli grazie, benedì, questo è il mio sangue che sarà sparso per voi e per molti in remissione dei peccati» e più esplicitamente in Luca XXII, 19: «Questo è il mio corpo che è sacrificato per voi; fate questo in memoria di me»: fate questo, questo sacrificio; fate, non ricordate, non commemorate: Gesù ordina chiaramente il rinnovamento del suo Sacrificio!
Gesù voleva che il suo Sacrificio non si compisse soltanto sul monte Calvario, ma che continuasse sino alla fine del mondo. Sull'altare-Calvario si compie realmente, ma in maniera incruenta, lo stesso Sacrificio che Gesù compì sulla croce. Sull'altare (come sul Calvario) la vittima (= «hostia») è lo stesso Gesù e il vero sacerdote è Gesù che offre se stesso per mezzo del prete «alter Christus».
Se potessimo capire solo un poco la grandezza di questo mistero, ne resteremmo abbacinati: un Dio che si fa uomo, un Dio che si fa ostia. S. Francesco esclamava: «L'uomo deve tremare, il mondo deve fremere, il cielo intero deve essere commosso quando sull'altare, tra le mani del sacerdote, appare il figlio di Dio».
Solenne espressione di Fede è il rito della Messa: il sacerdote celebra ai piedi di un altare che è rialzato rispetto al piano de fedeli in quanto rappresenta la collina del Golgota; l'altare è di pietra, come l'altare della Genesi eretto da Giacobbe, come tutti gli altari dell'Antico Testamento, come ¡1 monte Golgota, su cui Gesù è morto in croce, come Cristo, «pietra angolare che i costruttori hanno scartato» e di cui S Paolo dice: «bevevano infatti da una roccia spirituale che li accompagnava, e quella roccia era il Cristo» (I Cor. 10, 3-4).
Il latino ha la funzione di lingua sacra e solenne e aiuta il fedele a comprendere la grandezza dell'evento cui sta assistendo: la straordinarietà di ciò che accade sull’altare-Calvario è sottolineata appunto dall'uso di un linguaggio straordinario (fuori dall'ordinario), non quotidiano. Inoltre «l'uso della lingua latina è un chiari e nobile segno di unità (fra i cattolici di tutto il mondo, siano essi italiani o tedeschi, bianchi o neri) e un efficace antidoto ad ogni corruttela della pura dottrina» (Enciclica«Mediator Dei» di Pio XII).
II latino è la lingua che ha diffuso il cristianesimo fino agli estremi confini della terra, la lingua che ha unito nella Fede e nella cultura italiani, irlandesi inglesi, germanici.., la lingua di S. Agostino e di S. Tommaso, la lingua del canto gregoriano, della Roma di Pietro e Paolo, della Roma dei Papi.
Al riguardo è bene ricordare l'anatema lanciato dal Concilio di Trento: «Se qualcuno dicesse che dev'essere condannato il rito della Chiesa Romana, nella quale parte del Canone e le parole della Consacrazione sono pronunciate a bassi voce, e qualora dicesse che la Messa deve essere celebrata soltanto nella lingua volgare... sia scomunicato» (Sessione XXII).
Alla Messa si assiste per lo più in ginocchio, perché si crede al suo grandissimo mistero, perché si crede alla presenza reale di Gesù in corpo sangue anima divinità, perché in ginocchio è la positura dell'umile peccatore che implora la misericordia di Dio (Lc 18, 10-14). San Luigi IX, Re di Francia, preferiva stare il ginocchio addirittura sul nudo e freddo pavimento, infatti ad una inserviente che gli offriva un comodo e soffice inginocchiatoio, disse: «Nella Messa Iddio s immola, e quando Dio si immola anche i Re si inginocchiano sul pavimento».
Bella, completa e certa è la Messa, la Messa di sempre, senza arbitrii e fantasiose inventive personali, perché «sommamente conviene che uno solo sia il rito di celebrare la Messa, secondo la norma e il rito dei Santi Padri, affinché tutti e dovunque adottino e osservino le tradizioni della santa Chiesa Romana, Madre Maestra» e «se qualcuno avrà l'audacia di attentarvi, sappia che incorrerà nell'indignazione di Dio onnipotente e dei suoi beati apostoli Pietro e Paolo». («Quo primum tempore», bolla dogmatica di S. Pio V).
Fonte: "Il Santo Sacrificio della Messa - Ordinario" - Edizioni Salpan. Introduzione dell'Editore