CONSIDERAZIONI SUGLI ESERCIZI SPIRITUALI DI SANT’IGNAZIO DI LOYOLA
di Matteo D’Amico
La Provvidenza di Dio si manifesta in molti modi, anzi, per dire meglio, tutto ciò che accade manifesta, in realtà, la grandezza, la sapienza e la profondità della sua Provvidenza. Ma, se tutto, in un certo senso, è segno e manifestazione dell’infinita e santa Provvidenza del Creatore di tutte le cose, è però anche vero che forse nulla la testimonia come il fatto che in ogni epoca Dio suscita i santi ad essa più opportuni, adatti e quasi, diremmo, necessari.
Ogni santo è infatti strumento nelle mani di Dio per rafforzare il popolo cristiano, difendere la Chiesa dai suoi nemici, debellare l’errore o l’eresia infiltratisi fin nel seno della Sposa di Cristo, edificare i popoli e dilatare il regno di Cristo nostro Signore sulla Terra.
Chi non riconoscerebbe, infatti, la perfetta risposta ai mali dell’epoca che hanno rappresentato un san Benedetto o un san Gregorio Magno, un san Francesco o un san Domenico, una santa Margherita Alacoque o un san Paolo della Croce, una santa Veronica Giuliani o un san Giovanni Bosco? Ma in realtà ogni santo, senza eccezione, è sempre voluto e suscitato da Dio per un compito preciso, in vista di una battaglia particolare al servizio della Chiesa e viene munito dei carismi, dei doni delle ispirazioni e delle grazie necessarie alla missioni affidatagli.
Questo è anche il caso del grandissimo sant’Ignazio de Loyola, fondatore della Compagnia di Gesù. Sant’Ignazio viene suscitato dal Signore in vista della grande guerra civile europea che avrebbe visto scontrarsi, nei secoli successivi, il mondo protestante, vera armata di Satana, e la Chiesa cattolica. Certo, quando si pensa ai gesuiti vengono in mente innanzitutto i suoi grandi missionari, i suoi martiri, la riconquista di regioni e stati eretici a Cristo, la grande cultura e preparazione teologica che da subito li distinse, i Collegi che fondarono in tutto il mondo e la tradizione pedagogica alla quale diedero inizio.
Eppure, nonostante i grandissimi meriti che in ogni campo accumularono, tanto che l’assalto delle rivoluzioni settecentesche e ottocentesche agli stati cattolici non può avere corso se non dopo la soppressione di tale ordine religioso, il più grande dono che sant’Ignazio ha fatto alla Chiesa sono sicuramente i suoi Esercizi Spirituali.
Come noto nel lungo ritiro (1522) che Ignazio condusse nella grotta di Manresa ne ricevette l’ispirazione dalla Santa Vergine stessa e li compose in un testo autografo, poi andato perduto. Da allora iniziò a darli e a farli dare regolarmente dai suoi confratelli ottenendo frutti di conversione e di santificazione straordinari. Il caso più famoso forse, fra i tanti che si potrebbero citare, è quello di san Francesco Saverio, il grande missionario delle Indie, che in circa dieci anni di missione battezzò più di un milione di persone (una media matematica di 273 battesimi al giorno!) e fece edificare qualcosa come 6000 chiese e cappelle (una media di 1,6 chiese nuove al giorno!). Ebbene san Francesco Saverio non provava molta simpatia per sant’Ignazio, come noto, e aveva forti ambizioni mondane; ma sant’Ignazio, che aveva compreso la straordinaria tempra, la nobiltà e la forza di carattere di quest’uomo, deciso a conquistarlo a Cristo in ogni modo, lo convinse a fare gli esercizi e per un mese lui personalmente glieli diede: Francesco Saverio, grazie agli esercizi, si convertì profondamente e divenne poi quell’eroico missionario che abbiamo visto sopra.
Quasi non ci sono parole per dire la grandezza degli Esercizi, e parleremo qui, va notato, solo di quelli condotti in cinque giorni, dal mezzogiorno del lunedì, al mezzogiorno del sabato, secondo il metodo messo a punto da padre Vallet negli anni ’30, non degli esercizi nella loro struttura originaria, che prevedono un ritiro di 30 giorni e la cui ricchezza e fruttuosità pensiamo si possa solo a stento immaginare.
Gli Esercizi sono così ricchi di doni spirituali, di grazie, di consolazioni, di rivelazioni, di aiuti soprannaturali che ci si stupisce di come, facendo, in fondo, così poco, si possa ottenere tanto. Sembra che il Signore ami quasi scherzare con chi vi si reca, e si diverta a stupirlo con l’abbondanza delle grazie e delle consolazioni che gli dona in cambio di sforzi tanto semplici ed elementari. Il contrasto è così forte che pare che, in cambio di esercizi che potrebbero essere paragonati alle regole di un gioco per fanciulli, Dio si compiaccia di regalare tesori il cui valore e la cui preziosità a stento si possono esprimere. Con ciò noi siamo, in fondo, già giunti al cuore e al fondamento di tutta la vita spirituale, quale ci viene svelata proprio dagli Esercizi. Infatti, se si ottiene la grazia di liberarsi da ogni illusione circa ciò che sta a fondamento della vita cristiana, noi scopriamo proprio che la nostra santificazione, che ogni nostra crescita nella vita di fede, altro non è che opera immensa e sublime di Dio in noi, opera svolta dal Creatore di tutte le cose a fronte soltanto delle nostre umili preghiere e del nostro sforzo, sempre imperfetto, di donarci a lui con sincerità e con filiale abbandono. In altre parole ciò che accade durante gli Esercizi può essere visto anche come una figura limpida e concentrata di tutta l’opera della salvezza operata da Cristo nel cuore di ogni fedele: in contraccambio del poco, del quasi nulla, vorremmo dire, che noi facciamo, purchè ci sia almeno un desiderio sincero di donarci a Lui, Gesù ci ricolma di ogni grazia.
Il breve e semplice testo che qui presentiamo non ha l’intenzione di ricostruire la storia degli Esercizi Spirituali, impresa che richiederebbe ben altra forza e preparazione, né di analizzarli compiutamente dal punto di vista della ascetica e della mistica cristiana, ma si propone solo di cercare di coglierne il significato spirituale e di dare una semplice descrizione del loro andamento, del loro svolgersi; la nostra speranza è però soprattutto che, a Dio piacendo, le nostre povere parole possano suscitare in chi ancora non li ha mai fatti un vivo desiderio di conoscerli direttamente e di farli al più presto; in chi li ha già fatti, magari molti anni fa, il fermo proponimento di tornare a farli il più presto e il più regolarmente possibile.
Ritiro
Il ritiro spirituale precede ed è più antico, ovviamente, degli Esercizi spirituali, ma la prima cosa che si deve osservare è proprio che gli Esercizi non escludono, ma anzi includono e si fondano virtuosamente e armoniosamente sulla solida base del ritiro spirituale. Fin dall’Antico Testamento abbiamo innumerevoli esempi di ritiri spirituali cercati dai patriarchi o dai profeti come momenti di faccia a faccia con Dio, di ascolto della sua voce, di raccoglimento e di ristoro. Nel Nuovo Testamento Maria Vergine, la cui vita era tutta impareggiabilmente ritirata e silenziosa, san Giuseppe e san Giovanni Battista, sono grandi esempi di profondissimo ritiro spirituale, nel caso del Battista elevato, si può dire anticipando tutto il monachesimo dei secoli successivi, a stato di vita scelto formalmente e praticato in modo eroico e radicale. Nostro Signore Gesù Cristo, volendo anche in questo essere a noi di esempio, dopo una vita nascosta durata trent’anni di abissale e insondabile silenzio e raccoglimento –una vita che, come quella della Vergine Immacolata, era già un ritiro profondissimo dal mondo– si prepara alla sua vita pubblica, ovvero al cammino che in pochi anni culminerà nella Sua santa Passione e nella Croce, con un ritiro di quaranta giorni nel deserto, nel digiuno più assoluto e nella preghiera più costante.
Ora, se è vero che la vita del cristiano dovrebbe essere, a imitazione di quella del divin Redentore, tutta e sempre ritirata, ovvero dominata da un profondo raccoglimento spirituale, dal silenzio, dalla meditazione, dalla non dissipazione di sé, è altrettanto vero che non è possibile mantenere questo stato spirituale di raccoglimento senza vivere, almeno in periodi determinati, momenti di vero e proprio ritiro, anche fisico, dal mondo. Gli Esercizi offrono innanzitutto questa possibilità e proprio in ciò sta la loro prima virtù: anche al di là delle loro specificità, che vedremo più avanti, sono una splendida occasione di ritiro. Dunque è del tutto vano contrapporre ritiro ed Esercizi, come se fossero due cose radicalmente diverse; al contrario, gli Esercizi incorporano in sé tutto ciò che fa parte di un ritiro, con in più alcuni elementi caratterizzanti che non troviamo altrove.
È infatti importante osservare che il luogo in cui si svolgono gli Esercizi deve essere, e normalmente è, ritirato, isolato, silenzioso, in un certo senso protetto dalla continua pressione del mondo che normalmente avvertiamo e che grava anche sulla persona più spirituale.
Il ritiro è essenziale per ritornare pienamente in sé e ascoltare con attenzione e devozione le parole che il Signore, con la sua infinita dolcezza e discrezione, non cessa di dirci, senza che, normalmente, riusciamo pienamente a comprenderle.
Certo è importante, perché si entri durante gli Esercizi in un ardente e luminoso deserto spirituale, intessuto di silenzio e di ascolto, che essi siano predicati secondo la vera tradizione della Chiesa, secondo la sapienza antica che li ha sempre governati e da sacerdoti lungamente esercitatisi nella difficile arte di darli. Il ritiro che accompagna e permea di sé gli Esercizi non sarebbe tale se, ad esempio, non venisse consegnato il cellulare all’inizio di esso e se non si lasciasse ogni contatto con la famiglia, con la casa, con gli amici, con il lavoro, rinunciando a telefonare, a lavorare, a controllare le e-mail, a parlare, a leggere il giornale e a essere informati. Questo rescindere ogni contatto con il mondo al quale normalmente apparteniamo è quasi figura di quella purificazione del cuore che è giusto e doveroso cercare e attendersi dagli Esercizi: come la più piccola affezione disordinata alle creature, per quanto nascosta, impedisce da sola una vera crescita spirituale e la santificazione delle anime; allo stesso modo il voler mantenere anche solo un tenue contatto con il mondo (ad esempio una telefonata di controllo la sera, per vedere se tutto va bene, e se il mondo continua a girare nonostante la nostra assenza…) sarebbe già sufficiente a impedire dei buoni Esercizi. È necessario dunque andare e affrontare gli Esercizi profondamente decisi a “rompere” per cinque brevi giorni ogni contatto con il mondo, profondamente decisi a vivere un ritiro assoluto da ogni cura, da ogni preoccupazione, da ogni interesse mondano, mascherato magari da zelo per la propria famiglia.
Silenzio
La dimensione di ritiro che caratterizza gli Esercizi di sant’Ignazio si manifesta anche in quella che è forse avvertita come la loro nota più intensa e importante, ovvero il silenzio. “Ritiro silenzioso, ritiro meraviglioso” si sente spesso ripetere dai sacerdoti, ed in effetti gli esercizi senza un profondo silenzio sono quasi inconcepibili. Con silenzio non intendiamo solo alludere al silenzio della bocca, alla necessità di non parlare con nessuno degli altri partecipanti, ma anche al “silenzio degli occhi”, ovvero al dominio di quella curiosità disordinata che ci spinge a cercare di scrutare e vedere sempre il volto delle persone che incontriamo e che ci circondano e a osservare ciò che fanno. Questa curiosità degli occhi sembra un elemento insignificante, ma è invece un grave ostacolo a una vera vita spirituale e una porta lasciata aperta a mille dissipazioni e distrazioni, a innumerevoli tentazioni.
Dunque, se il silenzio come rinuncia a parlare rappresenta quasi lo sfondo naturale degli Esercizi, il silenzio degli occhi lo completa e lo arricchisce di una dimensione altrettanto importante. E qui va osservato che in realtà i “due” silenzi, della bocca (la rinuncia a parlare), e degli occhi (la rinuncia a guardare), sono in realtà un unico grande silenzio, rappresentano due gesti che si compongono e si sostengono reciprocamente, tanto che sembra impossibile si dia l’uno senza l’altro. Gli occhi bassi, lo sguardo sorvegliato mentre si passeggia o ci si sposta lungo i corridoi sono un potente aiuto a evitare di parlare con chi incontro: non vedendo chi è, è meno forte l’eventuale desiderio di parlargli.
Si può a questo punto osservare che, in un certo senso, la qualità degli Esercizi e dei frutti che se ne trarranno dipende in larga misura dalla perfezione del silenzio in cui volontariamente ci si rinchiude, in cui ci si sprofonda come in una gioiosa solitudine, in un deserto invisibile che dolcemente ci avvolge da ogni parte. Ci si accorge subito, dal primo giorno, che si sarebbe potuto essere più attenti, più scrupolosi, più fedeli, che in molte occasioni abbiamo ceduto, sia pure per un istante brevissimo, alla curiosità, che abbiamo fatto un sorriso o scambiato uno sguardo, o che, pur evitando di osservare il volto delle persone che stanno vicino a noi, abbiamo prestato attenzione alla loro persona, siamo stati attenti ai loro movimenti, abbiamo cercato di intuire di chi si trattasse.
Se si vogliono fare dei buoni Esercizi non basta dunque accettare il silenzio passivamente e quasi a malincuore, sopportandolo con fatica e senza zelo: al contrario, occorre sceglierlo, amarlo, rispettarlo con “fanatica” determinazione dal primo istante, imporsi di arrivare alla fine del ritiro senza avere riconosciuto nessuna delle persone che sono in ritiro con noi. La nostra solitudine deve essere, se possibile, assoluta e ininterrotta. Fra i tanti frutti che dà il silenzio vissuto con vero ardore e come primo atto di amore per Gesù durante gli Esercizi, bisogna annoverare anche il fatto forse più importante, ovvero che esso aiuta ad acquisire un habitus morale che, con l’aiuto di Dio, si può –e si dovrebbe!– mantenere, almeno in parte, anche nella propria vita quotidiana, nei viaggi, al lavoro, durante i momenti di ricreazione, a scuola.
Certo però il silenzio non sarebbe autentico e non sarebbe cristiano e spiritualmente edificante se non fosse tutto intessuto di giaculatorie, di preghiere, di colloqui ora brevi, ora più intensi e prolungati, con Gesù, con Maria, con i santi a noi più cari, se non fosse pervaso di un’immensa gratitudine per la bontà di Dio, così manifesta già solo nel fatto di averci concesso di essere appunto agli Esercizi. È dopo un silenzio vissuto davvero con amore pieno che si possono iniziare a capire le frasi abissali del cardinal Mercier, contenute nel suo scritto su La mortificazione cristiana: “Fatevi dimenticare con il vostro silenzio”, “Non parlate mai di voi né in bene, né in male”.
Abituati ad agire, a parlare, a dare importanza alle cose, alle decisioni, agli incontri, all’essere informati, al seguire le vicende sempre diverse e sempre uguali del mondo, ecco che si viene lentamente rieducati ad amare l’unica cosa necessaria, l’intimità, l’amicizia, la fedeltà, la vicinanza a Nostro Signore, la contemplazione delle sue virtù sublimi e del suo amore infinito per noi. Così inteso ogni istante di vero, fervente silenzio diventa un atto d’amore a Gesù.
Non va infine dimenticata la cosa più importante, ovvero che il silenzio non è tanto da pensarsi negativamente, come riducentesi al nostro atto di tacere, ma è realtà soprattutto positiva, consistente nell’operare dello Spirito Santo in noi, nelle parole che Dio silenziosamente ci porge.
Nutrire la fede
Nulla è più alieno da uno spirito autenticamente cattolico del ridurre la vita di fede a dottrina, o dottrinarismo, a conoscenza intellettualistica degli articoli di fede. La vita del cristiano certo deve fondarsi anche su solide conoscenze dei dogmi della propria fede, ma non può ridursi a questo, non può nutrirsi solo di conoscenza; infatti il dogma stesso diventa vivo solo come dogma contemplato e pregato, portato dentro la propria vita quasi come sua sostanza impalpabile, ma fondante. Gli Esercizi aiutano proprio in questo sforzo sublime ed essenziale, infatti in essi si riceve sì un grande nutrimento di fede, venendo di fatto ricapitolata, giorno dopo giorno, tutta la dottrina cristiana, ma soprattutto ci si abitua a rendere vivo e operante nella propria quotidianità quanto creduto. Ciò che credo infatti, vengo educato a contemplarlo in modo vivo, attuale, esistenzialmente significativo: in altre parole vengo educato a incarnare la mia fede, a superare ogni scissione fra vita e fede. Se non si passa attraverso il dogma contemplato e pregato come durante gli Esercizi, forte è il rischio di una declinazione della fede di tipo moralistico, che ben presto può sfociare nell’aridità o nell’insignificanza, nella tiepidezza o nel fariseismo, nello zelo amaro e nella rinuncia pratica a santificarsi.
Ciò che difficilmente si impara senza Esercizi è la difficile arte dell’applicare a sé quanto credo e quanto prego, del comprendere come non ci sia una parola della Sacra Scrittura, un solo versetto di un salmo, un solo passaggio dell’Ave Maria che io non possa applicare a me, che non descriva un mio bisogno, una mia ferita, una mia povertà, una mia speranza, il mio passato, il mio presente.
La necessità degli Esercizi discende dunque dal fatto che, senza imparare a fare bene la meditazione ogni giorno, non è possibile una vera crescita spirituale. E senza fare gli esercizi è difficile imparare a fare bene la meditazione. Cinque giorni sono pochi, ma diventano preziosi se in essi imparo qualcosa che illuminerà tutto il resto della mia vita, se faranno di me quasi un altro uomo, deciso ad appartenere tutto e totalmente e sempre a Cristo.
Fonte: La Tradizione Cattolica n° 2 - 2013