dall'originale in inglese del Servo di Dio Cardinale Merry del Val, suo segretario di Stato
Che Pio X amasse la musica, per la quale possedeva un naturale talento, non si può mettere in dubbio. L'avere Egli, durante la sua vita operosa di sacerdote, trovato modo di conoscere e di acquistare la tecnicità dell'arte, giustifica la conclusione che la natura fu molto larga con Lui dal momento che sappiamo come i doveri del suo ministero pastorale non potevano permettergli di coltivare il suo gusto.
Pochi comprendono, io penso, quanto grande sacrificio spesso sia per un sacerdote il privarsi del godimento di sentire musica veramente buona. Sono sicuro che il Santo Padre ha dovuto sentire profondamente una tale privazione, quantunque probabilmente Egli non abbia mai pensato a questa privazione più che alle altre cose, a cui aveva volentieri rinunciato entrando al servizio del Maestro Divino. Musica di pessimo gusto e noiosa Egli indubbiamente ha dovuto udire in chiesa e fuori di chiesa, dovunque Egli visse. Quindi è da meravigliarsi che, nonostante questo, Egli abbia conservato un gusto molto squisito ed abbia nutrito una speciale preferenza per un migliore stile di composizione musicale, sia sacra e sia profana.
Mi ricordo quanto intensamente Egli gioisse, ascoltando il grande oratorio di Perosi L'Ultimo Giudizio, che per suo desiderio fu eseguito sotto la personale direzione dell'insigne Maestro nella Sala Regia. Sorprendeva nell'udirlo commentare l'ispirata interpretazione dei testi scritturali, la ricchezza delle parti orchestrali, senza mancare di far risaltare le qualità o le deficienze che Egli aveva notato qua e là, sia nella composizione stessa che negli esecutori, mentre provò ancora più piacere nell'udire il glorioso canto gregoriano durante la solenne Messa Pontificale che Egli cantò in S. Pietro per il Centenario del grande S. Gregorio. Molti ancora ricordano con emozione quel memorabile giorno.
Non sarebbe in armonia con lo scopo che mi sono prefisso nello scrivere questi miei Ricordi se io qui dicessi diffusamente delle assidue premure di Pio X per riportare la Musica Sacra alle sue migliori tradizioni ed allo spirito della Chiesa Cattolica
D’altro canto sarebbe cosa superflua dal momento che i suoi criteri e le sue istruzioni a tale riguardo sono largamente conosciuti e molto si è scritto per illustrarne l'importanza. Non posso però omettere di accennare alle sue idee ed al suo indirizzo in questo campo, per quanto consta a me personalmente.
In questo aspetto, come negli altri, l’ideale della sua vita ispirava le sue opinioni e guidava le sue attività. Egli apprezzava la buona musica in generale; ma, naturalmente, la Musica Sacra lo interessava molto di più. Insisteva perché fosse veramente «sacra» ed eminentemente «artistica» in pieno accordo con la liturgia della Chiesa e con la genuina espressione dei sentimenti ispirati dalla Fede.
Riteneva lo scopo della musica sacra fomentare la devozione. Parecchie volte, senza volere mettere in dubbio la bellezza innata di una certa musica, diceva che essa era fuori posto, perché invece di innalzare l’anima al Signore, come mezzo ed aiuto alla preghiera, prendeva eccessiva importanza e faceva scomparire il carattere secondario che doveva avere, come elemento che deve condurre al supremo scopo del culto: elevare le menti ed i cuori a Dio.
Egli era pienamente convinto del principio che, se la musica deve rendere tributo di lode a Dio, non può essere di scarsa qualità, ma occorre produrre la migliore.
D’altra parte era consapevole che per ottenere una riuscita riforma nella musica ecclesiastica non potevano bastare misure puramente disciplinari, per quanto rigorose. E’ impossibile imporre alle persone il gradimento di uno stile determinato quando questo non possa essere compreso né apprezzato, ma era necessario coltivare gradualmente il buon gusto per raggiungere risultati positivi e duraturi. Erano queste le vedute del Santo Padre che Egli spesso ha manifestato davanti a me.
Eppure Pio X non aveva qualsiasi pochezza di spirito nelle considerazione che aveva sulla musica sacra che lui riteneva accettabile. Assolutamente non rifiutava le tradizioni locali o nazionali, molti delle quali ammirava francamente, purché sempre fosse – diceva – scrupolosamente osservato il principio fondamentale di mantenere il carattere religioso ed artistico e, quando necessario, i dovuti adattamenti. Né desiderava di proibire la musica polifonica in chiesa. In realtà, Egli accoglieva benevolmente i lavori di buona qualità di compositori moderni, ma esigeva che fossero strettamente mantenuti i decreti prescritti e che fossero, in quanto possibile, un'emanazione oppure un’eco del canto fermo.
Ricordo come Egli osservasse che alcuni riformatori fanatici volevano bandire dalle nostre chiese tutta la Musica che non fosse semplicemente gregoriana; ma sosteneva che questo era un capriccio esagerato: «Sarebbe lo stesso diceva come se io rigettassi i quadri più belli e classici della Madonna con il pretesto che l’unico modello accettabile fosse la più antica e primitiva riproduzione della Vergine Madre, come vediamo nelle Catacombe di Santa Priscilla. Saremmo così condotti a proibire i capolavori dell'arte ecclesiastica e le pitture veramente ispirate. Noi non vogliamo quadri profani della Madonna, né le produzioni, tutt'altro che devote, di molti artisti moderni; ma sarebbe irragionevole affermare che soltanto le primitive pitture soddisfano alle condizioni richieste dalla Religione e da una sana bellezza artistica. Lo stesso si dica della Musica Sacra».
Uno dei suoi più fervidi desideri era di promuovere il canto «collettivo» per quanto fosse possibile, poiché Egli lo riteneva molto istruttivo per i fedeli di ogni classe sociale ed un mezzo efficace per destare un devoto interessamento delle bellezze della Sacra Liturgia, specialmente in rapporto al santo Sacrificio della Messa. A questo proposito amava rilevare i risultati conseguiti nelle parrocchie dove il popolo era stato ammaestrato a cantare accuratamente in canto fermo le varie parti della Messa, i salmi e gli inni ai Vesperi della Domenica.
Esprimeva spesso il dispiacere che non si desse maggiore importanza ad una pratica che avrebbe aiutato i fedeli a comprendere ed a sentire profondamente il significato del culto cattolico e che, applicata largamente, avrebbe incoraggiato molti alla conoscenza e all'adempimento dei loro doveri religiosi.
Un metodo pratico di raggiungere questa finalità gli sembrava che fosse di portare ad ogni parrocchia bravi maestri di musica sacra, approvati dal Vescovo, per formare un nucleo di cantori – scelti fra i membri della parrocchia – i quali, a loro volta, elevassero gli altri; ogni tanto, questi maestri avrebbero dovuto ritornare per perfezionare il lavoro cominciato e dare una spinta a nuovi progressi.
Quando gli venivano presentate delle nuove composizioni musicali per ottenerne l'approvazione, Egli ne esaminava accuratamente lo spartito, e, più di una volta, in mia presenza canterellava la melodia che leggeva a prima vista con la massima facilità, battendo il tempo con la mano, mentre leggeva, dando poi il suo giudizio intorno al merito ed allo stile della musica.
Molti di coloro che lo udirono cantare la Messa in San Pietro o intonare la solenne Benedizione nella Cappella Sistina, ricordano certamente la sua voce soave e melodiosa.
Fonte: Memories of Pope Pius X, by Cardinal Merry del Val, The Newman Press, Maryland, 1951, pag. 50-53. Cantuale antonianum