dal libro
“Lo hanno detronizzato.
Dal liberalismo all’apostasia. La tragedia conciliare.”
brani scelti
Prima Parte - Il Liberalismo. Principi ed applicazioni.
Capitolo II - L’ordine naturale e il liberalismo.
[…] Tutto quel che porta l’etichetta di libertà è soffuso, da due secoli, dall’aureola del prestigio che circonda questa parola divenuta sacrosanta. E tuttavia è di questa parola che noi moriamo, è il liberalismo che avvelena la società civile come la Chiesa.
Apriamo dunque il libro di cui vi parlo: Libéralisme et catholicisme del reverendo Roussel, pubblicato nel 1926, e leggiamo questa pagina, che descrive molto concretamente il liberalismo (pp. 14-16), aggiungendovi un piccolo commento.
«Il liberale è un fanatico d’indipendenza, la esalta fino all’assurdo, in ogni ambito». […]
1) L’indipendenza del vero e del bene nei confronti dell’essere: è la filosofia relativista della mobilità e del divenire. – L’indipendenza dell’intelligenza riguardo al suo oggetto: la ragione non deve, in quanto sovrana, sottomettersi al suo oggetto, essa lo crea, donde l’evoluzione radicale della verità; soggettivismo relativista.
Sottolineiamo le due parole chiave: soggettivismo ed evoluzione.
Il soggettivismo è introdurre la libertà nell’intelligenza, mentre al contrario la nobiltà dell’intelligenza consiste nel sottomettersi al proprio oggetto, consiste nell’adeguazione o conformità del soggetto pensante con l’oggetto conosciuto.
L’intelligenza funziona come un apparecchio fotografico, essa deve aderire esattamente alle forme intelligibili del reale. La sua perfezione consiste nella sua fedeltà al reale.
È per questa ragione che la verità si definisce come l’adeguamento dell’intelligenza alla cosa. La verità è quella qualità del pensiero di essere d’accordo con la cosa, con ciò che è.
Non è l’intelligenza che crea le cose, sono le cose che s’impongono all’intelligenza, quali esse sono. Di conseguenza la verità di ciò che si afferma dipende da ciò che è, essa è qualcosa di oggettivo; e colui che cerca il vero deve rinunciare a sé, deve rinunciare ad una costruzione del suo spirito, deve rinunciare a inventare la verità.
Al contrario, nel soggettivismo, è la ragione che costruisce la verità: abbiamo la sottomissione dell’oggetto al soggetto! Il soggetto diventa il centro di tutte le cose.
Le cose non sono più ciò che sono, ma ciò che io penso. L’uomo dispone allora a suo piacimento della verità: questo errore si chiamerà idealismo nel suo aspetto filosofico, e liberalismo nel suo aspetto morale, sociale, politico e religioso.
Di conseguenza la verità sarà differente a secondo degli individui e dei gruppi sociali. La verità è dunque necessariamente condivisa. Nessuno può pretendere di possederla in maniera esclusiva nella sua interezza; essa si fa e si ricerca senza fine. Si intuisce quanto ciò sia contrario a Nostro Signore Gesù Cristo e alla sua Chiesa.
Da un punto di vista storico, questa emancipazione del soggetto rispetto all’oggetto (a ciò che è) venne realizzata da tre personaggi.
LUTERO dapprima rifiuta il magistero della Chiesa e tiene conto soltanto della Bibbia, poi ripudia ogni intermediario creato fra l’uomo e Dio. Egli introduce il libero esame, a partire da una falsa nozione dell’ispirazione scritturale: l’ispirazione individuale!
Poi DESCARTES, seguito da KANT, danno forma sistematica al soggettivismo: l’intelligenza si rinchiude in se stessa, non conosce che il proprio pensiero: è il «cogito» di Descartes, sono le «categorie» di Kant. Le cose in se stesse sono inconoscibili.
Infine ROUSSEAU: emancipato dal suo oggetto, perduto il senso comune (il buon senso), il soggetto viene lasciato senza difese dinanzi all’opinione comune. Il pensiero dell’individuo si dissolverà nell’opinione pubblica, cioè in ciò che tutti o la maggioranza pensano;
e questa opinione sarà creata dalle tecniche di dinamica di gruppo organizzate dai media che sono nelle mani degli esponenti della finanza, dei politici, dei massoni, ecc.
Il liberalismo sbocca automaticamente nel totalitarismo del pensiero. Dopo il rifiuto dell’oggetto, assistiamo all’evanescenza del soggetto, a questo punto maturo per subire ogni forma di schiavitù. Esaltando la libertà di pensiero, il soggettivismo sfocia nell’annientamento del pensiero.
La seconda caratteristica del liberalismo intellettuale, lo abbiamo visto, è l’evoluzione.
Rifiutando la sottomissione al reale, il liberale è costretto a rifiutare le essenze immutabili delle cose; per lui, non c’è una natura delle cose, non c’è una natura umana stabile, retta da leggi definitive poste dal Creatore.
L’uomo è in perpetua evoluzione progressiva; l’uomo di ieri non è l’uomo di oggi; si sprofonda nel relativismo.
Meglio ancora, l’uomo si crea da se stesso, è l’autore delle proprie leggi, che deve rimodellare senza tregua secondo l’unica legge inflessibile del progresso necessario.
Ecco allora l’evoluzionismo, in tutti i campi: biologico (Lamarck e Darwin), intellettuale (il razionalismo e il suo mito del progresso indefinito della ragione umana), morale (emancipazione dai «tabù»), politico-religioso (emancipazione delle società nei confronti di Gesù Cristo).
Il culmine del delirio evoluzionista viene raggiunto con padre Teilhard de Chardin (1881-1955) che afferma, in nome di una pseudoscienza e di una pseudomistica, che la materia diviene spirito, che la natura diventa il soprannaturale, che l’umanità diventa il Cristo: tripla confusione di un monismo evoluzionista inconciliabile con la fede cattolica.
Per la fede, l’evoluzione è la morte.
Si parla di una Chiesa che si evolve, si vuole una fede evolutiva: «Voi dovete sottomettervi alla Chiesa vivente, alla Chiesa di oggi», mi scrivevano da Roma nel 1976, come se la Chiesa di oggi non dovesse essere identica alla Chiesa di ieri.
Io ho risposto a costoro: «In queste condizioni, domani, non ci sarà più quel che voi dite oggi!». Questa gente non ha alcuna nozione della verità, dell’essere.
Sono dei modernisti.
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