dal libro
“Lo hanno detronizzato.
Dal liberalismo all’apostasia. La tragedia conciliare.”
brani scelti
Prima Parte - Il Liberalismo. Principi ed applicazioni.
Capitolo III - Nostro Signore Gesù Cristo e il liberalismo
Dopo aver spiegato perché il liberalismo sia una rivolta dell’uomo contro l’ordine naturale concepito dal Creatore, rivolta che culmina nella città individualista, egalitaria e concentrazionaria, mi rimane da mostrarvi come il liberalismo combatta anche l’ordine sovrannaturale che è il disegno della Redenzione, cioè in definitiva come il liberalismo abbia l’obiettivo di distruggere il Regno di Nostro Signore Gesù Cristo, sia sull’individuo che sulla città.
Nei confronti dell’ordine sovrannaturale, il liberalismo proclama due nuove indipendenze che io adesso esporrò.
1) «L’indipendenza della ragione e della scienza nei riguardi della fede: è il razionalismo, per il quale la ragione, giudice sovrano e misura del vero, basta a se stessa e rifiuta ogni dominio esterno».
È quel che si chiama razionalismo.
Il liberalismo vuole qui liberare la ragione dalla fede che ci impone dei dogmi, enunciati in maniera definitiva e ai quali l’intelligenza deve sottomettersi.
La semplice ipotesi che certe verità possano oltrepassare le capacità della ragione è inammissibile. I dogmi debbono dunque essere sottoposti al vaglio della ragione e della scienza, e in maniera costante, dati i progressi scientifici.
I miracoli di Gesù Cristo, il meraviglioso della vita dei santi devono essere reinterpretati, demitificati.
Bisognerà distinguere accuratamente il «Cristo della fede», costruzione della fede degli apostoli e delle comunità primitive, dal «Cristo della storia», che non fu che un semplice uomo.
Ho già spiegato come la Rivoluzione del 1789 si sia compiuta nel segno della dea Ragione. Già sul frontespizio dell’Encyclopédie di Diderot (1751) figurava l’incoronazione della Ragione. Quarant’anni più tardi, la Ragione deificata diventava l’oggetto di un culto religioso pubblico:
«Il 20 brumaio (10 novembre 1793), tre giorni dopo che alcuni preti, col Vescovo metropolitano Gobel in testa, si furono “spretati” davanti all’Assemblea, Chaumette propose di festeggiare solennemente quel giorno in cui “la ragione aveva ripreso il suo impero”. Ci si affrettò a mettere in pratica un’idea così nobile, e venne deciso che il Culto della Ragione sarebbe stato celebrato, in maniera grandiosa, a Parigi, a Notre-Dame, espressamente addobbata grazie alle cure del pittore David. In cima ad una montagna di cartapesta, un piccolo tempio accoglieva una graziosa ballerina, tutta fiera di essere stata promossa Dea Ragione; schiere di fanciulle coronate di fiori cantavano degli inni. Quando la festa ebbe fine, notando che i rappresentanti non erano stati numerosi, si partì in corteo con la Ragione, per rendere visita alla Convenzione nazionale, dove il Presidente abbracciò la dea» (17).
Ma questo razionalismo eccessivamente radicale non piacque a Robespierre. Quando, nel marzo 1794, ebbe annientato gli «esagerati», «Reputò che la sua onnipotenza dovesse fondarsi su basi nobilmente teologiche e che avrebbe coronato la sua opera stabilendo un Culto dell’Essere Supremo di cui egli sarebbe stato il grande sacerdote. Il 18 floreale dell’Anno II (7 maggio 1794) pronunciò un discorso “sui rapporti delle idee religiose e morali con i princìpi repubblicani e sulle feste nazionali”, del quale la Convenzione votò la stampa.
Vi si garantiva che “l’idea dell’Essere supremo e dell’immortalità dell’anima” è un richiamo continuo alla giustizia, e che dunque tale idea è sociale e repubblicana. Il nuovo culto sarebbe stato quello della virtù.
Fu votato un decreto, secondo il quale il popolo francese riconosceva i due assiomi della teologia robespierriana; un’iscrizione che consacrava il fatto sarebbe stata posta sul frontone delle chiese. Seguiva una lista di festività che prendeva due colonne: la prima della lista era quella “dell’Essere supremo e della Natura”; fu deciso che sarebbe stata celebrata il 20 pratile (8 giugno 1794).
E infatti così fu: cominciava nel giardino delle Tuileries, dove un gigantesco rogo divorava tra le fiamme la mostruosa immagine dell’ateismo, mentre Robespierre pronunciava un discorso mistico, poi la folla cantava degli inni di circostanza, e proseguiva con una sfilata sino al Campo di Marte, dove tutti i convenuti seguivano un carro drappeggiato di rosso, tirato da otto buoi, carico di spighe e di foglie, tra le quali troneggiava una statua della Libertà» (18).
I vaneggiamenti stessi del razionalismo, le «variazioni» di questa «religione nei limiti della semplice ragione» (19), dimostrano a sufficienza la loro falsità.
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17) Daniel Rops, L’Eglise des révolutions, p. 63.
18) Ibid. e p. 64.
19) (Opera di Kant, 1793).