dal libro
“Lo hanno detronizzato.
Dal liberalismo all’apostasia. La tragedia conciliare.”
brani scelti
Prima Parte - Il Liberalismo. Principi ed applicazioni.
Capitolo VII - Gesù Cristo Re delle Repubbliche? - seguito -
La Chiesa non condanna il regime democratico
Quel che voglio adesso dimostrarvi è che non tutte le democrazie sono liberali. C’è l’ideologia democratica e c’è il regime democratico; se la Chiesa condanna l’ideologia, non condanna il regime, cioè la partecipazione del popolo al potere.
Già san Tommaso giustifica la legittimità del regime democratico:
«Che tutti abbiano una certa parte al governo; in tal modo viene infatti serbata la pace del popolo, e tutti amano una simile organizzazione e vigilano per mantenerla, come dice Aristotele nel libro II della sua Politica» (56).
Senza preferire la democrazia, il Dottore comune reputa che in concreto il miglior regime politico sia una monarchia nella quale tutti i cittadini abbiano una certa partecipazione al potere, eleggendo ad esempio coloro che governano sotto il monarca: questo è, dice san Tommaso, «un regime che ben unisce la monarchia, l’aristocrazia e la democrazia» (57).
La monarchia francese dell’Ancien Régime, come molte altre, era più o meno di questo tipo, checché ne dicano i liberali: a quel tempo esisteva, fra il monarca e la moltitudine dei suoi sudditi, tutto un ordine e una gerarchia di molteplici corpi intermedi, che facevano valere in alto luogo i loro competenti pareri.
Dal canto suo, la Chiesa cattolica non mostra preferenze per il tale o il talaltro regime; essa ammette che i popoli scelgano la forma di governo più adatta alla loro indole e alle circostanze:
«[…] poiché non vi è alcuna ragione, perché la Chiesa non approvi il principato d’uno o di molti, purché esso sia giusto e rivolto al comune vantaggio. Perciò, salva la giustizia, non s’impedisce ai popoli di procacciarsi quel genere di reggimento, che meglio convenga alla loro indole, o alle istituzioni ed ai costumi dei loro maggiori» (58).
Cos’è una democrazia non liberale?
Ammetto che una democrazia non liberale è una specie rara, al giorno d’oggi scomparsa, ma non è proprio del tutto una chimera: prova ne sia la repubblica del Cristo Re, quella dell’Ecuador di Garcia Moreno, nel secolo scorso.
Ecco i tratti caratteristici di una democrazia non liberale:
1) Primo principio. Il principio della sovranità popolare: in primo luogo si limita al regime democratico e rispetta la legittimità della monarchia. Poi, è radicalmente differente da quello della democrazia rousseauiana: il potere risiede sì nel popolo, ma né in maniera originaria né in maniera definitiva; è dunque da Dio che il potere viene al popolo; da Dio autore della natura sociale dell’uomo, e non dagli individui-re. E una volta che i governanti vengono eletti dal popolo, quest’ultimo non conserva l’esercizio della sovranità (59).
- Prima conseguenza: non è una moltitudine amorfa di individui che governa, ma il popolo in corpi costituiti: i suoi capi di famiglie (che potranno legiferare direttamente in Stati molto piccoli, come quello di Appenzell in Svizzera), i suoi contadini e commercianti, industriali e operai, grandi e piccoli proprietari, militari e magistrati, religiosi, sacerdoti e vescovi, cioè, dice Monsignor de Ségur, «la nazione con tutte le sue forze vive, costituita in una rappresentanza seria e capace, tramite i suoi veri rappresentanti, di esprimere i suoi voti, di esercitare liberamente i suoi diritti» (60). Pio XII, a sua volta, distingue nettamente il popolo e la massa:
«Popolo e moltitudine amorfa o, come suol dirsi, “massa” sono due concetti diversi. Il popolo vive e si muove per vita propria; la massa è per sé inerte, non può essere mossa che dall’esterno. Il popolo vive della pienezza della vita degli uomini che lo compongono, ciascuno dei quali – al proprio posto e nel proprio modo – è una persona consapevole delle proprie responsabilità e delle proprie convinzioni. La massa, invece, aspetta l’impulso dal di fuori, facile trastullo nelle mani di chiunque ne sfrutti gli’istinti o le impressioni, pronta a seguire, a volta a volta, oggi questa, domani quell’altra bandiera» (61).
- Seconda conseguenza: i governanti eletti, anche se li si chiama, come fa san Tommaso, «vicari della moltitudine», lo sono solamente nel senso che fanno per la moltitudine ciò che essa non può fare da sé, cioè governare. Ma il potere viene loro da Dio, «dal quale ogni paternità in cielo e sulla terra trae il suo nome» (Ef 3, 15). I governanti sono dunque responsabili dei loro atti innanzitutto davanti a Dio del quale sono i ministri, e solo in seguito dinanzi al popolo, per il bene comune del quale essi governano.
2) Secondo principio: I diritti di Dio (e quelli della sua Chiesa, in una nazione cattolica) vengono posti a fondamento della costituzione. Il decalogo è dunque l’ispiratore di tutta la legislazione.
- Prima conseguenza: la «volontà generale» è nulla se essa va contro i diritti di Dio. La maggioranza non «fa» la verità, essa deve mantenersi dentro la verità, pena una perversione della democrazia. Pio XII sottolinea a ragione il pericolo, insito nel regime democratico, e contro il quale la costituzione deve reagire: il pericolo di depersonalizzazione, di massificazione e di manipolazione della moltitudine tramite gruppi di pressione e maggioranze artificiose.
- Seconda conseguenza: la democrazia non è laica, ma apertamente cristiana e cattolica. Essa si conforma alla dottrina sociale della Chiesa concernente la proprietà privata, il principio di sussidiarietà, e l’educazione affidata alle cure della Chiesa e dei genitori, ecc…
Riassumendo: la democrazia, come ogni altro regime, deve realizzare il regno sociale di Nostro Signore Gesù Cristo. La democrazia deve ugualmente avere un Re: Gesù Cristo.
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56) I II, 105, I.
57) Ibid.
58) Leone XIII, Enciclica Diuturnum, PIN 94.
59) Cfr. Diuturnum, cit. prima, e anche Monsignor de Ségur, La Révolution, p. 73.
60) Op. cit. p. 73.
61) Radio Messaggio di Natale, 24 dicembre 1944, PIN 843.