dal libro
“Lo hanno detronizzato.
Dal liberalismo all’apostasia. La tragedia conciliare.”
brani scelti
Prima Parte - Il Liberalismo. Principi ed applicazioni.
Capitolo XIII - Esiste un Diritto pupplico della Chiesa?
Qual è lo statuto della Chiesa rispetto alla società civile? La risposta a questa domanda è l’oggetto di una scienza ecclesiastica particolare: il diritto pubblico della Chiesa. Potete consultare gli eccellenti trattati di diritto pubblico della Chiesa del Cardinale Ottaviani e di Silvio Romani, come anche le fonti presentate da Lo Grasso.
Voglio mostrarvi quanto il liberalismo si opponga al diritto pubblico della Chiesa, come lo distrugga, e dunque quanto il liberalismo sia contrario alla fede, sulla quale riposa tutto il diritto pubblico della Chiesa.
I princìpi del diritto pubblico della Chiesa
I princìpi del diritto pubblico della Chiesa sono in effetti delle verità di fede o dedotte dalla fede. Eccoli.
1) Indipendenza della Chiesa. La Chiesa, il cui fine è la salute sovrannaturale delle anime, è una società perfetta, munita dal suo divino fondatore di tutti i mezzi per sostentarsi da sola in maniera stabile e indipendente. Il Sillabo condanna la proposizione contraria che segue:
«La Chiesa non è una vera e perfetta società pienamente libera; essa non possiede diritti propri e costanti ad essa conferiti dal suo divino fondatore, ma spetta al potere civile definire i diritti della Chiesa come anche i limiti entro i quali essa può esercitarli» (101).
Tale è infatti l’asservimento al quale i liberali vogliono ridurre la Chiesa rispetto allo Stato! Dunque il Sillabo condanna in maniera radicale le spoliazioni delle quali la Chiesa è periodicamente vittima da parte del potere civile, nei suoi beni e negli altri suoi diritti. La Chiesa non accetterà mai il principio del diritto comune, non ammetterà mai di ridursi al semplice diritto comune a tutte le associazioni legali all’interno della società civile, che dallo Stato debbono ricevere sia la loro approvazioni che i loro limiti. Di conseguenza, la Chiesa possiede il diritto innato di acquistare, di possedere e di amministrare, liberamente e indipendentemente dal potere civile, i beni temporali necessari alla sua missione (codice di diritto canonico del 1917, can. 1495): chiese, seminari, vescovati, monasteri, benefici (can. 1409-1410), e di essere esente da tutte le tasse civili. Ha il diritto di avere le sue scuole e i suoi ospedali, in sé indipendenti da qualsiasi intromissione dello Stato. Ha i suoi propri tribunali ecclesiastici per giudicare di questioni riguardanti le persone dei chierici e i beni della Chiesa (can. 1552), ad esclusione in sé dei tribunali civili (Privilegio del foro). I chierici stessi sono esenti dal servizio militare (privilegio dell’esenzione), (can. 121), ecc.
Ricapitolando, la Chiesa rivendica la sovranità e l’indipendenza a titolo stesso della sua missione: «È stato dato a me ogni potere nel cielo e sulla terra, andate dunque, ammaestrate tutte le nazioni» (Mt 28,19).
2) Distinzione tra la Chiesa e lo Stato. Lo Stato che ha per fine diretto il bene comune temporale, è anch’esso una società perfetta, distinta dalla Chiesa e sovrana nel suo ambito. Tale distinzione è quella che Pio XII chiama La laicità legittima e sana dello Stato (102), che non ha niente a che vedere con il laicismo che è un errore condannato. Attenzione, dunque, a non passare dall’una all’altro! Leone XIII enuncia bene la distinzione necessaria fra le due società:
«Così il governo dell’umana famiglia Iddio lo volle ripartito tra due potestà: che sono l’ecclesiastica e la civile, l’una delle quali sovrintendesse alle cose divine, l’altra alle terrene. ambedue sono supreme, ciascuna nel suo ordine; hanno ambedue i loro propri limiti entro cui contenersi, segnati dalla natura e dal fine prossimo di ciascuna: quindi intorno ad esse viene a descriversi come una sfera entro la quale ciascuno dispone iure proprio» (103).
3) Unione fra la Chiesa e lo Stato. Ma distinzione non significa separazione! Come potrebbero ignorarsi i due poteri, dal momento che si esercitano sugli stessi soggetti e spesso anche legiferano sulle stesse materie: matrimonio, famiglia, scuola, ecc.? Sarebbe inconcepibile che si contrapponessero, quando al contrario la loro unanimità di azione è richiesta per il bene degli uomini.
«In tali casi, poiché il conflitto delle due potestà è assurdo e apertamente contrario alla sapientissima volontà di Dio, vi deve essere un modo ed un ordine che, togliendo le cause di litigi e contrasti, faccia luogo ad un’equa armonia. E questo accordo armonioso fu già non senza ragione assomigliato all’unione dell’anima con il corpo; unione ordinata al bene di ambedue le parti, la cui disunione è nociva specialmente al corpo, perché ne spegne la vita» (104).
4) Giurisdizione indiretta della Chiesa sul temporale. Ciò significa che nelle questioni miste la Chiesa, in considerazione della superiorità del suo fine, avrà la preminenza: «Quindi tutto ciò che nel mondo in qualunque modo ha ragione di sacro, tutto ciò che riguarda la salute delle anime ed il culto divino, o che tale sia per natura sua, ovvero per il fine al quale si riferisce, cade sotto la giurisdizione della Chiesa» (105). In altre parole, il regime di unione e di armonia fra la Chiesa e lo Stato suppone un ordine, una gerarchia, cioè una giurisdizione indiretta della Chiesa sul temporale, un diritto indiretto d’intervento della Chiesa nelle cose temporali che sono normalmente di competenza dello Stato. Qui la Chiesa interviene «ratione peccati», in ragione del peccato e delle anime da salvare, per riprendere l’espressione di papa Bonifacio VIII (cfr. Dz, p. 468, nota).
5) Subordinazione indiretta. Reciprocamente, il temporale è indirettamente subordinato allo spirituale: questo è il quinto principio; principio di fede, o almeno di una certezza teologica, che fonda il diritto pubblico della Chiesa. L’uomo infatti è destinato alla beatitudine eterna, e i beni della vita presente, i beni temporali, esistono per aiutarlo a raggiungere questo fine: anche se non vi sono adeguati, vi sono indirettamente ordinati. Il bene comune temporale stesso, che è il fine dello Stato, è ordinato a facilitare ai cittadini l’accesso alla beatitudine celeste. Altrimenti, non sarebbe che un bene apparente e illusorio.
6) Funzione ministeriale dello Stato nei confronti della Chiesa. «È necessario dunque, insegna Leone XIII, che la società civile, essendo ordinata al bene comune promuova la pubblica prosperità per modo che i cittadini, nel camminare all’acquisto di quel supremo ed incommutabile bene al quale tendono per natura, non solo non incontrino inciampi da parte sua, ma ne abbiamo invece ogni possibile agevolezza» (106). «La funzione reale (noi diremmo lo Stato), afferma san Tommaso, deve provvedere alla buona vita della moltitudine secondo quel che occorre per farle conseguire la beatitudine celeste; significa che bisogna prescrivere (nel suo ordine che è il temporale) ciò che vi conduce e, nella misura del possibile, proibire quel che vi è contrario» (107).
Di conseguenza, lo Stato ha nei confronti della Chiesa una funzione ministeriale, un ruolo di servitore; pur perseguendo il suo fine, lo Stato deve aiutare in maniera positiva, sebbene indirettamente, la Chiesa a raggiungere il suo fine, cioè a salvare le anime!
Questa dottrina della Chiesa, costante lungo i secoli, merita il titolo di doctrina catholica, e ci vuole tutta la malafede dei liberali per relegarla nell’oscurantismo di un’epoca trascorsa.
Secondo costoro, essa valeva per «le monarchie consacrate» del Medioevo, ma non vale più per gli «Stati democratici costituzionali» moderni (108). Una vera e propria stupidaggine, perché la nostra dottrina dedotta dalla Rivelazione e dai princìpi dell’ordine naturale, è immutabile e atemporale quanto la natura del bene comune e la divina costituzione della Chiesa.
In appoggio alla loro tesi funesta della separazione fra la Chiesa e lo Stato, i liberali di ieri e di oggi citano volentieri questa frase di Nostro Signore: «Rendete a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio» (Mt 22, 21); omettono semplicemente di dire quel che Cesare deve a Dio!
7) Regalità sociale di Nostro Signore Gesù Cristo. L’ultimo principio, che riassume dai fondamenti tutto il diritto pubblico della Chiesa, è una verità di fede: Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, Re dei Re, e Signore dei Signori, deve regnare sulle società non meno che sugli individui: la Redenzione delle anime si prolunga necessariamente nella sottomissione degli Stati e delle loro leggi al giogo soave e leggero della legge del Cristo.
Non solo, come dice Leone XIII, lo Stato deve «fare ogni cosa a fine di mantenere rispettata e inviolabile la religione, i cui doveri formano il legame tra uomo e Dio» (109); ma la legislazione civile deve lasciarsi impregnare dalla legge di Dio (decalogo) e dalla legge evangelica, in maniera da essere, nel suo ambito che è l’ordine temporale, uno strumento dell’opera della Redenzione operata da Nostro Signore Gesù Cristo. In ciò consiste, essenzialmente, la realizzazione del Regno sociale di Nostro Signore Gesù Cristo.
Ma leggete soltanto la magnifica Enciclica Quas primas di Pio XI, dell’11 dicembre 1925, sulla regalità sociale di Nostro Signore Gesù Cristo! Questa dottrina vi è esposta con una limpidezza ed una forza ammirevoli! Ricordo ancora il momento in cui, giovane seminarista a Roma, ricevetti insieme ai miei confratelli questo insegnamento pontificio: con quale gioia, con quale entusiasmo ce la commentarono i nostri insegnanti! Rileggete questa frase, che schiaccia definitivamente il laicismo dello Stato:
«La celebrazione di questa festa, che si rinnova ogni anno, sarà anche d’ammonimento per le nazioni che il dovere di venerare pubblicamente Cristo e di prestargli obbedienza, riguarda non solo i privati, ma anche i magistrati e i governanti; li richiamerà al pensiero del giudizio finale, nel quale Cristo scacciato dalla società o anche solo ignorato e disprezzato, vendicherà acerbamente le tante ingiurie ricevute, richiedendo la sua regale dignità che la società intera si uniformi ai divini comandamenti e ai princìpi cristiani, sia nello stabilire le leggi, sia nell’amministrare la giustizia, sia finalmente nell’informare l’animo dei giovani alla sana dottrina e alla santità dei costumi» (110).
Da questo momento in poi, la Chiesa con la sua liturgia canta e proclama il regno di Gesù Cristo sulle leggi civili. Quale più bella proclamazione dogmatica, anche se non è ancora ex cathedra!
Ci vorrà tutta la rabbia dei nemici di Gesù Cristo per riuscire a strappargli la sua corona quando, in applicazione del concilio del 1962, gli innovatori soppressero o mutilarono queste tre strofe dell’inno dei primi Vespri della festa del Cristo Re:
Scelesta turba clamitat Regnare Christum nolumus, Te nos ovantes omnium Regem supernum dicimus. (St. 2) Te nationum praesides Honore tollant publico Colant Magistri, judices Leges et artes exprimant. (St. 6) Submissa regum fulgeant Tibi dicata insignia, Mitique sceptro patriam Domosque subde civium» (St.7) | «Una folla scellerata urla Non vogliamo che Cristo regni, Te noi in preghiera chiamiamo Re supremo di tutti.
A Te i capi delle nazioni Rechino pubblico onore! Ti venerino i maestri, i giudici Ti manifestino le leggi e le arti!
Rifulgano della loro sottomissioni Gli stendardi regali a te consacrati Al Tuo mite scettro si sottomettano la patria e le case dei cittadini!». |
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101) Proposizione 19, Dz 1719.
102) Allocuzione agli abitanti delle Marche, 23 marzo 1958, PIN 1284.
103) Enciclica Immortale Dei, PIN 136, cfr. Dz 1866.
104) Enciclica Libertas, PIN 200. Già Yves de Chartres scriveva al Re Roberto il Pio: «Tanto vale il corpo se non è retto dall’anima, tanto vale il potere temporale se non è modellato dalla disciplina ecclesiastica».
105) Immortale Dei, PIN, 137.
106) Immortale Dei, PIN, 131.
107) De regimine principum, L. I cap. XV.
108) Cfr. John Courtney Murray, Vers une intelligence du développement de la doctrine de l’Eglise sur la liberté religieuse, pp. 128-129 (si veda bibliografia).
109) Immortale Dei, PIN 131.
110) PIN 569.