dal libro
“Lo hanno detronizzato.
Dal liberalismo all’apostasia. La tragedia conciliare.”
brani scelti
Prima Parte - Il Liberalismo. Principi ed applicazioni.
Capitolo XI - La libertà di stampa
Se proseguite la lettura degli atti dei Papi, potete prenderli uno dopo l’altro, tutti hanno detto la stessa cosa sulle nuove libertà nate dal liberalismo: la libertà di coscienza e di culto, la libertà di stampa, la libertà d’insegnamento sono libertà avvelenate, false libertà: perché l’errore è sempre più facile da diffondere della verità, il male più agevole da propagare del bene. È più facile dire alle persone «voi potete avere parecchie donne», che «voi non ne avrete che una per tutta la vostra vita»; è più facile di conseguenza istituire il divorzio, come per controbilanciare il matrimonio! Allo stesso modo, lasciate in egual misura al vero e al falso la libertà di esibirsi pubblicamente, e avrete favorito a colpo sicuro l’errore a spese della verità.
Oggi piace dire che la verità compie il suo cammino grazie alla sua sola forza intrinseca e che, per trionfare, non ha bisogno della protezione intempestiva e fastidiosa dello Stato e delle sue leggi. Il favore dello Stato nei confronti della verità è immediatamente tacciato di ingiustizia, come se la giustizia consistesse nel tenere la bilancia in equilibrio tra il vero e il falso, la virtù e il vizio… È sbagliato: la prima giustizia verso gli spiriti è quella di favorirli nell’accesso alla verità e di metterli in guardia dall’errore. È anche la prima carità: «veritatem facientes in caritate»: nella carità facciamo la verità. L’equilibrismo fra tutte le opinioni, il tollerare tutti i comportamenti, il pluralismo morale o religioso, sono il segno di una società in pieno disfacimento, che è la società liberale voluta dalla massoneria. Ed è contro l’istituzione di una società del genere che i Papi dei quali parliamo hanno reagito senza tregua, affermando al contrario che lo Stato – lo Stato cattolico soprattutto – non ha il diritto di permettere simili libertà, quali la libertà religiosa (96), la libertà di stampa e la libertà d’insegnamento.
La libertà di stampa
Leone XIII rammenta allo Stato il suo dovere di temperare giustamente, cioè secondo le esigenze della verità, la libertà di stampa:
«Passiamo a considerare la libertà di parola e di stampa. È superfluo dire che questa libertà, se non sia debitamente temperata, e trapassi i limiti e la misura, non può essere un diritto. Potestà morale è il diritto, e come si disse e converrà spesso ridire, è assurdo che la natura ne dia indistintamente e indifferentemente alla verità e alla menzogna, al bene ed al male. Le cose vere ed oneste hanno diritto, salve le regole della prudenza, di essere liberamente propagate e divenire il più ch’è possibile comune retaggio: ma gli errori, peste della mente, i vizi, contagio dei cuori e dei costumi, è giusto che dalla pubblica autorità siano diligentemente repressi, per impedire che si dilatino a danno comune. L’abuso della forza dell’ingegno, che torna ad oppressione morale degl’ignoranti, va legalmente represso con non minor fermezza, che l’abuso della forza materiale a danno dei deboli. Tanto più che guardarsi dai sofismi dell’errore, specialmente se accarezzanti le passioni, la massima parte dei cittadini o del tutto non possono, o non possono senza estrema difficoltà. Data ad ognuno piena autorità di parlare e di fare stampare, non vi è cosa che possa rimanere intatta e inviolata, neanche quei supremi e verissimi dettati di natura che debbono riverirsi qual mobilissimo e comune patrimonio del genere umano. Così oscurata, a poco a poco, come spesso avviene, alla verità sottentra il regno dell’errore esiziale e molteplice…» (97).
Prima di Leone XIII Papa Pio IX, lo abbiamo visto, stigmatizzava la libertà di stampa nel Sillabo (proposizione 79), e ancor prima Gregorio XVI, in Mirari vos:
«A questo fine è diretta quella pessima né mai abbastanza esecrata aborrita libertà della stampa nel divulgare scritti di qualunque genere; libertà che taluni osano invocare e promuovere con tanto clamore. Inorridiamo, venerabili fratelli, nel rimirare qual ci opprima stravaganza di dottrine o più veramente portentosa mostruosità di errori, che si spargono e disseminano per ogni dove con quella sterminata moltitudine di libri, di opuscoli e di scritti piccoli certamente di mole, ma per malizia grandissimi, dai quali vediamo con le lacrime agli occhi uscire la maledizione ed inondare tutta la faccia della Terra. Eppure (ahi, doloroso riflesso!) vi sono di quelli che giungono alla sfrontatezza di asserire con insultante protervia che questo inondamento di errori è più che abbondantemente compensato da qualche opera, che in mezzo a tanta tempesta di gravità si mette in luce per difesa della religione e della verità» (98).
Voi vedete qui svelato dal Pontefice lo pseudoprincipio di «compensazione» liberale, che asserisce che bisogna compensare la verità con l’errore, e viceversa. Questa idea, lo vedremo, è la massima principale di quelli che si chiamano i cattolici liberali, che non tollerano l’affermazione pura e semplice della verità, ma esigono che la si controbilanci subito con opinioni opposte; e viceversa, giudicano che non c’è nulla da ridire sulla libera diffusione degli errori, purché alla verità sia concesso di farsi sentire un pochino! È l’eterna utopia dei liberali detti cattolici, sulla quale ritornerò.
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96) Si veda il capitolo precedente.
97) Enciclica Libertas, PIN 207.
98) PIN 25.