dal libro
“Lo hanno detronizzato.
Dal liberalismo all’apostasia. La tragedia conciliare.”
brani scelti
seguito
Parte Quarta - Una rivoluzione in tiara e piviale.
Capitolo XXVIII - La libertà religiosa del Vaticano II
Falsificazione del bene comune temporale
Passiamo adesso ad alcuni vizi più radicali della libertà religiosa. L’argomentazione conciliare riposa in fondo su una falsa concezione personalista del bene comune ridotto alla somma degli interessi particolari o, come si dice, al rispetto dei diritti delle persone; a scapito dell’opera comune da compiere per la maggior gloria di Dio e il bene di tutti. Già Giovanni XXIII in Pacem in terris tende ad adottare questo punto di vista parziale e di conseguenza falso:
«Per il pensiero contemporaneo, scrive, il bene comune risiede soprattutto nella salvaguardia dei diritti e dei doveri della persona umana» (240).
Senza dubbio Pio XII, affrontando i totalitarismi contemporanei, vi oppose legittimamente i diritti fondamentali della persona umana (241), ma ciò non significa che la dottrina cattolica si limiti a questo. A forza di mutilare la verità in senso personalista, si finisce per entrare nel gioco dell’individualismo frenetico che i liberali sono riusciti a introdurre nella Chiesa. Come hanno sottolineato Charles de Koninck (De la primauté du bien commun contre les personnalistes) e Jean Madiran (Le principe de totalité), non è esaltando l’individuo che si lotta in maniera autentica contro il totalitarismo, ma rammentando che il vero bene comune temporale è ordinato positivamente, anche se indirettamente, al bene della città di Dio quaggiù e nel Cielo! Non diventiamo complici dei personalisti nella loro secolarizzazione del diritto!
In altri termini e concretamente, prima di preoccuparsi di sapere se le persone dei musulmani, dei Krishna e dei Moon sono troppo vessate dalla legge, lo Stato (non parlo dei Paesi non cristiani) deve badare a salvaguardare l’anima cristiana del Paese, che è l’elemento essenziale del bene comune di una nazione ancora cristiana. Questione di accento, si dirà! No! Questione fondamentale: la concezione globale della città cattolica è o no una dottrina cattolica?
Rovina del diritto pubblico della Chiesa
La cosa peggiore, direi, della libertà religiosa del Vaticano II, sono le sue conseguenze: la rovina del diritto pubblico della Chiesa, la morte del Regno sociale di Nostro Signore Gesù Cristo, e infine l’indifferentismo religioso degli individui. La Chiesa, secondo il Concilio, può ancora godere di fatto di un riconoscimento speciale da parte dello Stato, ma essa non ha un diritto naturale e primordiale a tale riconoscimento, anche in una nazione in gran maggioranza cattolica; è finita col principio dello Stato confessionale cattolico, che aveva fatto la fortuna delle nazioni rimaste cattoliche. La più evidente applicazione del Concilio è stata la soppressione degli Stati cattolici, la loro laicizzazione in virtù dei princìpi del Vaticano II e su richiesta stessa del Vaticano. Tutte queste nazioni cattoliche (Spagna, Colombia, ecc.) sono state tradite dalla Santa Sede stessa in applicazione del Concilio! La separazione fra lo Stato e la Chiesa è stata vantata come il «regime ideale» dal Cardinale Casaroli e da Giovanni Paolo II all’epoca della riforma del Concordato italiano!
La Chiesa si trova ridotta per principio al diritto comune riconosciuto dallo Stato a tutte le religioni; per un’empietà innominabile, essa si trova sullo stesso piano dell’eresia, della perfidia e dell’idolatria. Il suo diritto pubblico è quindi radicalmente annichilito.
Non rimane più nulla, nella dottrina e nella pratica, di quel che era stato il regime di relazioni pubbliche della società civile con la Chiesa e le altre religioni, e che può riassumersi così: riconoscimento della vera religione, tolleranza eventuale e limitata delle altre religioni. Così, il Fuero de los españoles, la carta fondamentale dei diritti e dei doveri del cittadino spagnolo, prevedeva saggiamente all’articolo 6, prima del Concilio:
«La professione e la pratica della religione cattolica, che è la religione dello Stato spagnolo, godranno della protezione ufficiale. Nessuno sarà molestato né per le sue credenze religiose, né nell’esercizio privato del suo culto. Non saranno permesse né cerimonie né manifestazioni esteriori diverse da quelle della religione dello Stato» (242).
Questa non-tolleranza molto rigorosa dei culti dissidenti è perfettamente giustificata: per un verso, essa può imporsi allo Stato in nome della sua cura religionis, del suo dovere di proteggere la Chiesa e la fede dei suoi membri; per l’altro, l’unanimità religiosa dei cittadini nella vera fede è un bene prezioso e insostituibile, che bisogna mantenere ad ogni costo, se non altro per il bene comune temporale stesso di una nazione cattolica. Questo enunciava lo schema sulle relazioni fra la Chiesa e lo Stato redatto per il Concilio dal Cardinale Ottaviani. Tale documento esponeva semplicemente la dottrina cattolica relativa alla questione, dottrina applicabile integralmente in una nazione cattolica:
«Così dunque, come il potere civile si reputa in diritto di proteggere la moralità pubblica, così, per proteggere i cittadini dalle seduzioni dell’errore, per mantenere la Città nell’unità della fede, che è il bene supremo e la fonte di molteplici benefici anche temporali, il potere civile può, da se stesso, regolare e moderare le manifestazioni pubbliche di altri culti e difendere i cittadini dalla diffusione di false dottrine che, a giudizio della Chiesa, mettono in pericolo la loro salute eterna» (243).
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240) 11 aprile 1963, n. 61 dell’enciclica.
241) Cfr. specialmente il radiomessaggio del Natale 1942.
242) Citato dal Cardinale Ottaviani, L’Eglise et la Cité, Imp. Poliglotte vaticane, 1963, p. 275.
243) Si veda il testo integrale di questo documento in appendice al presente volume.