dal libro

Lo hanno detronizzato.

Dal liberalismo all’apostasia. La tragedia conciliare.

brani scelti

 

 

 

Parte Quarta - Una rivoluzione in tiara e piviale.

Capitolo XXIX - Un Concilio pacifista

 

Il dialogo e la libera ricerca esaltati dal Concilio, e dei quali vi ho già parlato prima, sono sintomi caratteristici del liberalismo del Vaticano II: si sono voluti inventare nuovi metodi di apostolato fra i non cristiani, lasciando cadere i princìpi dello spirito missionario. Potete qui notare ciò che io ho chiamato l’apostasia dei princìpi, che caratterizza lo spirito liberale. Ma il liberalismo che ha penetrato il Concilio è andato molto più lontano, è giunto sino al tradimento, firmando la pace con tutti i nemici della Chiesa. Si è voluto fare un concilio pacifista.

Rammentate come Giovanni XXIII, nella sua allocuzione di apertura del Concilio, espose il nuovo atteggiamento che la Chiesa, da quel momento in poi, doveva avere nei confronti degli errori che minacciano la sua dottrina; ricordando che la Chiesa non aveva mai mancato di opporsi agli errori, ch’essa li aveva spesso condannato con estrema severità, il Papa fece notare, ci dice Wiltgen (252), che la Chiesa preferiva adesso «utilizzare il rimedio della misericordia piuttosto che le armi del rigore, e giudicava opportuno, nelle attuali circostanze, dispiegare con maggior larghezza la forza della sua dottrina che far ricorso alle condanne». Ebbene, queste non erano solo parole deplorevoli, che per di più manifestavano una pensiero molto malsicuro: era tutto un programma che esprimeva il pacifismo che fu quello del Concilio.

È necessario, si diceva, che facciamo la pace con i massoni, la pace con i comunisti, la pace con i protestanti. Bisogna insomma farla finita con queste guerre perpetue, con questa ostilità permanente! È del resto quel che mi aveva detto Monsignor Montini, all’epoca Sostituto alla Segreteria di Stato, quando gli chiesi, durante una delle mie visite a Roma negli anni Cinquanta, la condanna del Riarmo morale. Egli mi rispose: «Ah, non bisogna sempre condannare, sempre condannare! La Chiesa sembrerà una matrigna!» Ecco il termine che ha usato Monsignor Montini, Sostituto di Papa Pio XII; ce l’ho ancora nelle orecchie! Dunque, basta con le condanne, basta con gli anatemi! Lo si capisca una buona volta.

 

Il triplice patto

- «Massoni, cosa volete? Cosa ci chiedete?». Questa è la domanda che il Cardinale Bea è andato a porre ai B’nai B’rith prima dell’inizio del Concilio; l’incontro è stato annunciato da tutti i giornali di New York, dove ha avuto luogo. E i massoni dissero quel che volevano: «la libertà religiosa!», cioè tutte le religioni messe sullo stesso piano. La Chiesa non doveva più essere definita come la sola vera religione, la sola via di salvezza, la sola ammessa dallo Stato. Finiamola con questi privilegi inammissibili, dunque dichiarate la libertà religiosa. Ebbene, l’hanno avuta: fu Dignitatis humanae.

- «Protestanti, cosa volete? Perché siate soddisfatti, per poter pregare insieme?» E la risposta fu questa: «Cambiate il vostro culto, eliminate quel che non possiamo ammettere!» Bene! - è stato detto loro - vi faremo persino venire quando elaboreremo la riforma liturgica. Esprimerete i vostri desideri e allineeremo sul vostro il nostro culto! E anche questo è arrivato: fu la costituzione sulla liturgia, Sacrosanctum concilium, il primo documento promulgato dal Vaticano II, che stabilì i princìpi e il programma dettagliato di questo allineamento liturgico sui protestanti (253); poi il Novus Ordo Missae promulgato da Paolo VI nel 1969.

- «Comunisti, cosa desiderate? Per avere il piacere di qualche rappresentante della Chiesa ortodossa russa al Concilio, qualche emissario del KGB!» E la condizione posta dal patriarca di Mosca fu questa: «Non condannate il comunismo al Concilio, non ne parlate!» (io aggiungerei: «Soprattutto non vi baloccate a consacrare la Russia al Cuore Immacolato di Maria!»). E poi, «manifestate apertura e dialogo nei nostri confronti». E l’accordo (254) fu concluso, il tradimento consumato: «D’accordo! Non condanneremo il comunismo». Tutto ciò fu eseguito alla lettera: ho portato io stesso, con Monsignor de Proença Sigaud, una petizione con 450 firme di Padri conciliari al Segretario del Concilio, Monsignor Felici, chiedendo che il Concilio pronunciasse una condanna della più spaventosa tecnica di schiavitù della storia umana, il comunismo. Poi, visto che non succedeva nulla, ho chiesto che fine avesse fatto la nostra richiesta. Ci furono delle ricerche e finalmente mi si rispose con una disinvoltura sbalorditiva: «Oh, la vostra domanda si è smarrita in un cassetto (255). E il comunismo non venne condannato; o piuttosto il Concilio, che si era assegnato l’incarico di discernere i «segni dei tempi» fu condannato da Mosca a serbare il silenzio sul più evidente e più mostruoso dei Segni di questo tempo!

È chiaro che, al Concilio Vaticano II, c’è stata un’intesa con i nemici della Chiesa, per farla finita con l’ostilità contro di loro. Ma è stata un’intesa col diavolo!

 

La Chiesa convertita al mondo

Lo spirito pacifista del Concilio mi sembra molto ben caratterizzato da Papa Paolo VI stesso nel suo discorso durante l’ultima seduta pubblica del Vaticano II, il 7 dicembre 1965. La Chiesa e l’uomo moderno, la Chiesa e il mondo, ecco i temi affrontati dal Concilio con un sguardo nuovo che qui Paolo VI definisce a meraviglia:

«La Chiesa del Concilio, sì, si è assai occupata, oltre che di se stessa e del rapporto che a Dio la unisce, dell’uomo quale oggi in realtà si presenta: l’uomo vivo, l’uomo tutto occupato di sé, l’uomo che si fa non soltanto centro d’ogni interesse, ma osa dirsi principio e ragione d’ogni realtà».

Segue quindi tutta un’enumerazione delle miserie dell’uomo senza Dio e delle sue false grandezze, che si conclude così:

«[…] l’uomo peccatore e l’uomo santo; e così via».

Mi domando davvero cosa ci sta a fare l’uomo santo alla fine di questo cumulo di immondizie! Visto che Paolo VI ricapitola quel che ha appena descritto, citando l’umanesimo laico e profano:

«L’umanesimo laico e profano alla fine è apparso nella sua terribile statura ed ha, in un certo senso, sfidato il Concilio. La religione del Dio che si è fatto Uomo s’è incontrata con la religione (perché tale è) dell’uomo che si fa Dio. Che cosa è avvenuto? Uno scontro, una lotta, un anatema? Poteva essere; ma non è avvenuto. L’antica storia del Samaritano è stata il paradigma della spiritualità del Concilio. Una simpatia immensa lo ha pervaso. La scoperta dei bisogni umani (e tanto maggiori sono, quanto più grande si fa il figlio della terra) ha assorbito l’azione del nostro Sinodo. Dategli merito in questo almeno, voi umanisti moderni […] e riconoscerete il nostro nuovo umanesimo: anche noi, noi più di tutti, siamo i cultori dell’uomo».

Ecco dunque spiegato, in maniera ingenua e lirica, ma chiara e terribile, quel che fu, non lo spirito, ma la spiritualità del Concilio: una «simpatia immensa» per l’uomo laico, per l’uomo senza Dio! Se almeno fosse stato per rialzare quest’uomo decaduto, per rivelargli le sue ferite mortali, per medicargliele con un rimedio efficace, per guarirlo e condurlo nel seno della Chiesa, per sottometterlo al suo Dio … Ma no! Fu per poter dire al mondo: vedi, anche la Chiesa ha il culto dell’uomo.

Non esito ad affermare che il Concilio ha realizzato la conversione della Chiesa al mondo. Vi lascio immaginare chi fu l’animatore di tale spiritualità: vi basti ricordarvi di colui che Nostro Signore Gesù Cristo chiama il Principe di questo mondo.

 

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252) Op. cit., p. 15.

253) I princìpi della rivoluzione liturgica erano già lì, ma formulati in maniera da passare inavvertiti agli sguardi dei non iniziati.

254) Fra il Cardinale Tisserant, mandatario di Papa Giovanni XXII, e Monsignor Nicodème, concluso a Metz nel 1962 (cfr. «Itinéraires», aprile 1963, febbraio 1964, luglio-agosto 1984).

255) Cfr. Wiltgen, pp. 269-274.

 

 

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