vincent peillondi Marie d’Armagnac

La legge sulla rifondazione della Scuola del ministro dell’Educazione francese Vincent Peillon, «voluta primariamente dalla Nazione» e adottata l’8 luglio 2013 al Parlamento, è entrata in vigore alla ripresa scolastica 2013. Per quest’anno 2013 sarà necessario dare la priorità alla scuola materna e primaria, «una scuola giusta per tutti ed esigente per ciascuno». Che cosa si nasconde dietro questo politichese?

 

Il documento di presentazione della Legge afferma che «con i Progetti educativi territoriali la legge pone l’accordo locale al centro della questione educativa: è in questo quadro che potranno essere elaborati progetti che prendono in considerazione la globalità dei tempi del bambino (scolare, parascolastico, extra-scolastico) in particolare nel quadro della riforma dei ritmi scolastici alle elementari». Sapendo che l’inizio della materna è previsto entro i tre anni (cosa che fa infuriare molti pediatri e pedopsichiatri), si può comprendere l’insidioso ma reale dominio dello Stato sul bambino, dalla prima infanzia e dall’alba al tramonto, al fine di distoglierlo da tutti «i suoi determinismi sociali», compresa la famiglia. Quest’ultima quindi non è più il quadro naturale e prioritario dell’educazione dei figli, ma è ridotta, in modo materialistico e ideologico, a un ruolo puramente utilitario.

Questo avviene attraverso tutti i mezzi: creando il «Servizio pubblico del digitale educativo» per «fornire agli alunni una vera educazione ai mass-media, chiave della futura cittadinanza», la Scuola contribuisce, ancor più di quanto non avesse fatto, alla pirateria delle coscienze. Uno degli assi di questa legge di rifondazione è creare una «scuola che promette l’uguaglianza tra maschi e femmine», essendo stato dichiarato l’anno 2013-2014 «anno di mobilitazione per l’uguaglianza nella Scuola».

Si può temere il peggio e non a torto. Mentre Vincent Peillon e Najt Vallaud Belkacem ripetono a gara, sempre più sprezzanti, che la teoria del gender non esiste, essa è realmente sperimentata sui nostri figli e realizzata dal governo. Col pretesto di «attaccarsi alle ineguaglianze fin dalla più giovane età, e in particolare alle ineguaglianze tra maschi e femmine» occorre che «gli insegnamenti stessi escano dagli atteggiamenti impliciti (…), da pratiche contestate in classe, dal modo di interrogare, di dare la parola, di valutare, di punire, di orientare», poiché ciò rivela «rappresentazioni ancora profondamente ancorate alle presunte competenze degli uni e degli altri». Così è stata lanciata la sperimentazione ABCD dell’Uguaglianza «rivolta agli alunni più giovani e ai loro insegnanti» per «individuare e analizzare situazioni scolastiche produttrici di disuguaglianze tra maschi e femmine e tenerne conto nelle pratiche pedagogiche», spiegando soprattutto come si costruiscono gli stereotipi nei bambini.

Questa “sperimentazione” sarà condotta quest’anno in 275 scuole, elementari e materne, ovvero in 700 classi suddivise in dieci accademie. In tenera età quando i bambini, secondo il loro naturale orientamento, si appassionano alle macchine, ai cavalieri o alle principesse e alle fiabe, «è opportuno, per uscire dagli stereotipi sessisti della scuola, fornire agli alunni un’informazione e un’educazione emancipatrice». Se solo si restasse allo stadio di un gergo assurdo che è sempre stato appannaggio di teorie pedagogiche confuse quanto povere intellettualmente… Invece no! Conoscete gli album destinati ai bambini della materna, Papa porte une robe (Papà indossa un vestito da donna) (Editions Seuil, jeunesse 2004)? Tango a deux Papas (Tango ha due papà) (Editions le baron Perché 2010)? Per il primo si prevede una discussione in classe (fin dai 4-5 anni) con l’obiettivo di «contribuire a decostruire gli stereotipi», per il secondo si tratterà, per i bambini dai 6 ai 10 anni, di capire che esistono famiglie omoparentali, di comprendere e di utilizzare le parole omosessuali, omosessualità, gay. Per non parlare di Dis…mamanS (Di’ mammE) (Editions Gaies et Lesbiennes 2003), o di Jean a deux mamans (Jean ha due mamme) (L’école des loisirs 2004).

Inviteremmo volentieri le persone a boicottare queste case editrici, come altri fanno con la pasta Barilla… Più seriamente, oltre a un evidente diniego della realtà, questa incalcolabile violenza fatta ai bambini assomiglia a una violazione delle coscienze degna delle migliori società totalitarie.

Distruggere, ricostruire… La legge di rifondazione della Scuola porta il marchio rivoluzionario di Vincent Peillon, araldo della laicità. Rivoluzionario nel senso proprio del termine, tant’è vero che per l’autore di La Révolution française n’est pas terminée (La Rivoluzione francese non è finita) (Seuil, Parigi 2008), «occorre inventare una religione repubblicana (…) che deve accompagnare la rivoluzione materiale. La rivoluzione spirituale è la laicità». «La Rivoluzione francese era politica», bisogna fare ora «la rivoluzione morale e spirituale», spiega durante un’intervista-promozione realizzata dalle Editions du Seuil. Si può dire che Peillon, dalla ripresa scolastica 2013, si ostini a compiere questo grande sconvolgimento.

La Carta della Laicità del 6 settembre 2013 è in un certo qual modo una prevaricazione. Vero credo repubblicano, veicolo di una nuova concezione della Scuola che non è più un luogo di apprendimento e di trasmissione dei saperi, ma un attore imprescindibile per «permettere l’esercizio della cittadinanza e il fiorire della personalità di ognuno, nel rispetto dell’uguaglianza dei diritti e delle convinzioni e nella coscienza comune di una fratellanza condivisa attorno ai principi fondatori della nostra Repubblica» (circolare del 6 settembre 2013).

A proposito della Repubblica, Peillon, nell’opera già citata, scriveva che essa «ha bisogno di riti. La democrazia è una vera religione, ha bisogno di riti per essere riconosciuta e accettata». La Carta della laicità, redatta in 15 articoli, destinata ai rettori di accademia, agli ispettori e ai direttori di edifici pubblici e privati sotto contratto, deve essere inviata a tutti i genitori degli alunni e deve essere studiata «nel quadro degli insegnamenti, in particolare in istruzione civica e morale, in educazione civica, giuridica e sociale, poi, a partire dalla ripresa scolastica 2015, nel quadro dell’insegnamento morale e civico, e deve essere valorizzata nel quadro di azioni educative». Peillon insiste anche sulla ritualizzazione di questa nuova religione: «è auspicabile che l’affissione della Carta della laicità nei locali scolastici rivesta un carattere solenne e costituisca un momento forte nella vita delle scuole e degli edifici».

Attribuendosi le caratteristiche generali della pacificazione sociale, questa Carta è alla base di tutti gli ingredienti dell’odio di sé, della sua umanità e delle sue aspirazioni alla trascendenza. D’altronde la parola Francia non è scritta né pronunciata neanche una volta e ciò contribuisce ancor più a rompere il legame carnale di un uomo con il suo Paese. Perfezionando l’atomizzazione del legame sociale francese iniziato da una politica di immigrazione che punta “alla grande sostituzione”, la religione laica di Vincent Peillon, imposta alle future generazioni dalla prima infanzia al liceo e resa obbligatoria in tutte le nuove Scuole Superiori dell’Insegnamento e dell’Educazione (le Espé, che dovrebbero sostituire gli IUFM – Instituts Universitaires de Formation des Maîtres), apporta un cambiamento di civilizzazione paragonabile al “matrimonio” omosessuale, per il suo contenuto e soprattutto per la sua diffusione volontaristica e obbligatoria. 

Fonte: www.corrispondenzaromana.it

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