Domenica 14 marzo 2010, alla 17,30, Benedetto XVI si è recato al tempio luterano di Roma. Questa visita, su invito del Pastore Jens-Martin Kruse, si colloca sulla scia di quella che Giovanni Paolo II fece l’11 dicembre 1983, in occasione dei 500 anni della nascita di Lutero; e stavolta si è voluto anche celebrare il 10° anniversario della «Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione», firmata dai rappresentanti della Chiesa Cattolica e da quelli della Federazione Luterana mondiale, il 31 ottobre 1999, ad Augsburg.
Nel corso dell’Angelus di domenica 1 novembre 2009, Benedetto XVI aveva affermato che il 10° anniversario di questa Dichiarazione congiunta era «un’occasione per ricordare la verità sulla giustificazione dell’uomo, testimoniata insieme», perché i luterani e i cattolici si riuniscano «in celebrazioni ecumeniche» ed approfondiscano «ulteriormente tale tematica e le altre che sono oggetto del dialogo ecumenico». La sua partecipazione al culto luterano del 14 marzo realizzava questo ecumenismo della preghiera, che deve essere seguito, secondo lui, da un ecumenismo teologico – una certa pratica liturgica comune che precede il dialogo ecumenico dottrinale.
Rivestito con una cotta bianca, una mozzetta rossa ed una stola pastorale, il papa ha partecipato alla celebrazione luterana della Parola. Pregando e cantando con i membri della comunità, recitando con loro il Credo di Nicea-Costantinopoli e il Padre Nostro, Benedetto XVI è salito sul pulpito del tempio dopo il Pastore Kruse, e lì ha commentato un passo del Vangelo di San Giovanni (12, 20-26, «se il grano non muore»). Alla fine della sua predicazione, egli ha deplorato la divisione tra i cristiani: «la tristezza per avere spezzato questo “noi”, per aver suddiviso l’unica via in tante vie». E si è rallegrato per certe acquisizioni dell’ecumenismo: «penso che dovremmo anzitutto essere grati che vi sia già tanta unità. È bello che oggi, domenica Laetare, noi possiamo pregare insieme, intonare gli stessi inni, ascoltare la stessa parola di Dio, insieme spiegarla e cercare di capirla; che noi guardiamo all’unico Cristo (…)». Dispiacendosi tuttavia per il fatto che « non possiamo bere allo stesso calice, non possiamo stare intorno allo stesso altare» e questo «ci deve riempire di tristezza perché portiamo questa colpa».
Facendo condividere la responsabilità della divisione tanto ai cattolici quanto ai luterani, e ponendo il dialogo dottrinale dopo la preghiera in comune, il Papa omette di ricordare tutto quello che Lutero, separandosi da Roma, ha esplicitamente rigettato del dogma cattolico. Quindi ci si deve chiedere, seguendo Pio XI nell’enciclica Mortalium animos (6 gennaio 1928): « E in che modo, di grazia, uomini che seguono opinioni contrarie potrebbero far parte di una sola ed eguale Confederazione di fedeli? Come, per esempio, chi afferma che la sacra Tradizione è fonte genuina della divina Rivelazione e chi lo nega? Chi tiene per divinamente costituita la gerarchia ecclesiastica, formata di vescovi, sacerdoti e ministri, e chi asserisce che è stata a poco a poco introdotta dalla condizione dei tempi e delle cose? Chi adora Cristo realmente presente nella santissima Eucaristia per quella mirabile conversione del pane e del vino, che viene detta transustanziazione, e chi afferma che il Corpo di Cristo è ivi presente solo per la fede o per il segno e la virtù del Sacramento? Chi riconosce nella stessa Eucaristia la natura di sacrificio e di Sacramento, e chi sostiene che è soltanto una memoria o commemorazione della Cena del Signore? Chi Stima buona e utile la supplice invocazione dei Santi che regnano con Cristo, soprattutto della Vergine Madre di Dio, e la venerazione delle loro immagini, e chi pretende che tale culto sia illecito, perché contrario all’onore « dell’unico mediatore di Dio e degli uomini » [I Tim. 2, 5], Gesù Cristo?»
La pratica costante della Chiesa, prima dell’ecumenismo promosso dal Vaticano II, era di non dare un’approvazione esteriore a delle credenze erronee tramite la partecipazione a dei culti dissidenti, allo scopo di non indurre nello spirito dei fedeli l’indifferentismo o il relativismo dottrinale – relativismo che Benedetto XVI intende peraltro combattere. Ecco perché il suo predecessore, Pio XI, dichiarava chiaramente, nella stessa enciclica, che «non si può altrimenti favorire l’unità dei cristiani che procurando il ritorno dei dissidenti all’unica vera Chiesa di Cristo, dalla quale essi un giorno infelicemente s’allontanarono».