La "communicatio in sacris" consiste, come il nome lo indica, nel comunicare con infedeli o eretici nelle cose sacre cioè nel culto, come partecipare alle loro cerimonie.

La teologia morale la distingue in materiale e formale. Essa è materiale quando il cattolico assiste solo esternamente, in maniera passiva ad un culto acattolico senza voler prendere parte interiormente al culto eterodosso. Una tale partecipazione può essere lecita per ragioni valide, come per esempio il funerale di un conoscente.
La communicatio è invece formale quando un cattolico partecipa ad un rito acattolico con la reale intenzione di dare un culto a Dio nel rito della falsa religione. Una tale partecipazione è sempre illecita poiché implica la professione della falsa religione che si esprime appunto del culto.  (cfr. Prummer, Manualis Theologiae moralis T I n. 521 e ss.)
Il Codice di Diritto canonico del 1017 era molto chiaro a questo proposito:
1- Non è mai lecito ai fedeli assistere attivamente o prendere parte in qualsiasi forma ai riti non cattolici.
2- La presenza passiva o puramente materiale può essere tollerata per rendere onore o soddisfare ad un obbligo di civile convivenza, nei funerali, ai matrimoni e nelle solennità analoghe, per una ragione grave che, nei casi dubbi, deve essere riconosciuta dall’ordinario, purché ogni pericolo di perversione e di scandalo siano evitati.” (Can. 1250)
“Colui che comunica nelle cose divine con gli eretici contro ciò che è prescritto nel can. 1250 è sospetto di eresia.” (Can. 2316)
Tutto ciò si riduce nel Nuovo Codice del 1983 in un vago “ Colui che è colpevole di una communicatio in sacris vietata, sia punito con una giusta pena”. (Can 1365)

 

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