da LETTERA AI NOSTRI CONFRATELLI SACERDOTI
Lettera trimestrale per le relazioni della Fraternità San Pio X con il clero francese
Quale rapporto tra il Vaticano II e la crisi?
E’ già un anno che i colloqui dottrinali auspicati dalla Fraternità San Pio X e stabiliti dal Sommo Pontefice si svolgono regolarmente tra gli esperti della Congregazione per la Dottrina della Fede ed i rappresentanti della Fraternità San Pio X. Queste conversazioni dottrinali proseguono con la discrezione richiesta da un’iniziativa così importante e difficile. E’ impossibile, e sarebbe insensato, pensare di lavorare su questioni complesse e sottili sotto l’occhio delle telecamere della televisione e davanti ad una selva di microfoni. Ciascuno dei protagonisti, infatti, deve poter esprimere la sua posizione, la sua visione riguardo ad un problema, davanti ai suoi pari, anche se questa espressione è ancora insufficiente e imperfetta, in modo da ricevere le critiche e le osservazioni fondate degli altri e riuscire così ad affinare e perfezionare ciò che deve dire e difendere. Sarebbe ridicolo e imprudente voler diffondere ai quattro venti fin da ora ciò che ha bisogno di essere limato, approfondito, meglio argomentato. E questo da entrambe le parti. Aspettiamo allora senza impazienza, e pregando per il bene della Chiesa, che queste discussioni progrediscano abbastanza da poter presentare al pubblico questo o quell’ elemento definitivamente elaborato e da potere avere l’occasione di prenderne conoscenza. Tuttavia, questi approfondimenti teologici hanno come oggetto principale il nostro rapporto col concilio Vaticano II, e l’influenza di quest’ultimo sulla crisi che oggi attraversa la Chiesa. Così mi è parso utile proporvi una sintesi semplice ma abbastanza completa della nostra posizione su questo punto cruciale, sintesi di cui la prima parte viene presentata in questo numero.
Parlare del Vaticano II con delicatezza e sfumature, ma anche con franchezza e verità, oggi è estremamente difficile. Lasciare intendere che tal testo del Concilio, in taluno dei suoi punti, e per tale ragione teologica, potrebbe eventualmente non essere interamente estraneo alla crisi attuale, pare totalmente impensabile ed inaccettabile: è il grande tabù ecclesiastico contemporaneo, la questione scottante per eccellenza.
Ho ritenuto che non fosse degno né di voi né di noi schivare tale questione cruciale col pretesto che potrebbe contrariare qualcuno. Mi è sembrato che, tra sacerdoti, tra adulti maturi e responsabili, potessimo liberamente “ parlare di cose che irritano senza irritarci ”. E’ una scommessa sull’intelligenza e sull’apertura mentale.
Rev. Regis de CAQUERAY
QUELLO CHE NON DICIAMO SUL VATICANO II
Che la crisi attuale deriverebbe unicamente dal Concilio
E’ evidente che noi non abbiamo mai detto che il concilio Vaticano II sia l’unica causa della scristianizzazione contemporanea, la fonte esclusiva di tutti i mali attuali della Chiesa, la chiave di lettura completa della crisi religiosa: sarebbe una concezione ridicola. Al contrario, è certo che la crisi attraversata dalla Chiesa da mezzo secolo possiede spiegazioni molteplici, cause molto varie, di cui è possibile stabilire rapidamente una lista sommaria.
Malessere nella cristianità
E’ chiaro come alla fine del pontificato di Pio XII esistesse già un profondo malessere nella Chiesa, anche se le strutture esteriori parevano solide. Le statistiche mostrano una diminuzione progressiva ed inesorabile delle vocazioni, ben prima del Concilio: tra il 1950 ed il 1960, il numero delle ordinazioni sacerdotali in Francia è ridotto di un terzo. La pratica domenicale ha iniziato a decrescere: sempre in Francia, tra il 1950 ed il 1960, si è già abbassata del 20%. Le conseguenze della Seconda Guerra mondiale, soprattutto della divisione tra resistenti, collaboratori e attendisti, si fanno sentire. Un’inquietudine sorda, un malessere spirituale travaglia una parte del clero e dei fedeli, mentre da ogni lato si diffondono inquietanti asserzioni teologiche e morali. L’enorme diffusione clandestina, nei seminari dell’epoca, delle opere di Teilhard de Chardin ne è un segno chiarissimo. Si fa strada un desiderio di emancipazione, e la gioventù, come è normale, è la prima ad esserne colpita: la grande crisi dell’Azione Cattolica, ricordiamolo, comincia fin dagli anni ’50 dalle organizzazioni giovanili. Di fronte a questo malessere, che richiederebbe dei rimedi spirituali appropriati passanti da un rinnovamento interiore, una parte della Chiesa, sfortunatamente, si limita ad una pastorale abitudinaria, senza affrontare il problema. La Chiesa non produce sufficienti anticorpi per superare questa crisi, di cui il modernismo, sotto papa san Pio X, è stato un segnale di avviso. Crescono dei pericoli, annunciatori di tempeste future, ma la buona società ecclesiastica se ne preoccupa troppo poco, fidandosi di un ordine soltanto esteriore. E’ evidente che questo malessere religioso più o meno diffuso costituisca un terreno propizio alla terribile esplosione degli anni ’60-’70.
Il Trentennio del boom
Questo malessere nella Chiesa dipende in parte da un’evoluzione tecnica, economica e sociale inedita. Il dopoguerra conosce uno straordinario arricchimento delle nazioni occidentali, frutto della diffusione delle tecniche ( motorizzazione, elettronica, chimica, ecc.), così come di un’energia abbondante e a buon mercato (soprattutto petrolio). La medicina comincia i suoi fantastici progressi, che in particolare aprono all’uomo la possibilità di dominare la propria fecondità con dei mezzi artificiali (pillola contraccettiva). I trasporti (navi, treni ed aerei), divenuti rapidi, sicuri e poco costosi, permettono la crescita della globalizzazione (detta oggi mondializzazione) delle persone e delle merci, cosa che favorisce lo sviluppo sempre crescente delle telecomunicazioni (banalizzazione del telefono). E’ il Trentennio del boom, epoca dell’impiego per tutti e dell’aumento del tenore di vita.
Crisi della coscienza europea ( e mondiale)
Questi spettacolari cambiamenti economici e tecnici sono accompagnati da evoluzioni sociali e culturali importanti. La secolarizzazione della società, avviata nel XVIII secolo, continua a progredire, comportando una scomparsa progressiva delle tracce del cristianesimo nella società. Il successo sempre più significativo dei “ maestri del dubbio ” (Kant, Nietzsche, Darwin, Freud, ecc.), mette in causa la capacità dell’uomo di raggiungere una verità oggettiva, la nobiltà delle sue scelte etiche, la sua superiorità sul mondo animale, il controllo della sua vita interiore. Il marxismo, soprattutto nella sua versione leninista, domina una grande parte del mondo, ma anche strati interi della società europea. L’accesso all’indipendenza delle nazioni colonizzate, l’emergere delle loro rivendicazioni politiche, economiche, culturali e religiose contribuiscono al rigetto dell’ “ europocentrismo ”. I vecchi colonizzatori sono messi sul banco degli imputati, le loro opinioni pubbliche sono influenzate dalla coscienza sporca. A causa del prolungamento e dell’universalizzazione dell’obbligo scolastico, dell’ingresso ritardato nel mondo del lavoro, di una certa forma di autonomia finanziaria e della valorizzazione del figlio (conseguenza della riduzione della fecondità), compare una nuova classe nella società e reclama la propria parte di responsabilità e di considerazione: la gioventù. Questa crisi della coscienza europea e mondiale scoppia con gli avvenimenti del maggio 1968, che riguardano sia la Germania, l’Italia, la Cecoslovacchia sia gli Stati Uniti, il Messico, il Brasile, il Giappone o la Cina, ma sono particolarmente massicci e spettacolari in Francia.
Crisi conciliare e postconciliare
Tutti questi fatti e molti altri che un’analisi sociologica permette di chiarire, costituiscono senza dubbio un terreno propizio ad una rimessa in causa globale della tradizione, dell’autorità, delle norme, della cultura dominante, della religione. Ne siamo consapevoli e lo ammettiamo volentieri: la crisi di cui subiamo ancora le conseguenze ha senz’altro molte e svariate cause. Il fatto che questa crisi sia esplosa più o meno al momento del concilio Vaticano II non significa quindi che esso ne sia la causa unica e necessaria. In via generale, se un fatto B si verifica dopo il fatto A, ciò non significa forzatamente che A sia la causa di B: se mi ammalo dopo aver fatto una passeggiata, ciò non prova che io sia malato perché ho passeggiato. Siamo d’accordo anche sul fatto che il Vaticano II per alcuni sia stata l’occasione per realizzare dei disegni che maturavano da molto prima, e del tutto al di fuori del Concilio: alcuni sacerdoti, per esempio, hanno approfittato dell’atmosfera di rimessa in causa che regnava allora per lasciare il sacerdozio (idea che cullavano da molto tempo) in condizioni materiali migliori. D’altro canto, il postconcilio non ha necessariamente corrisposto al Concilio stesso. Da parte di molti, è evidente, e sotto l’insegna fallace dello “ spirito del Concilio ”, c’è stato un uso del Vaticano II estraneo alla sua realtà e contrario ai suoi testi. Inoltre, alcune delle riforme postconciliari, per come si sono realizzate nei fatti (ad esempio, la riforma liturgica), non erano necessariamente contenute negli stessi testi del Vaticano II (erano possibili differenti attuazioni del medesimo testo), e di conseguenza non sarebbe giusto attribuire esclusivamente al Vaticano II gli elementi contestabili delle suddette riforme.
Ma si può fare come se il Concilio non si fosse svolto?
Tutte queste spiegazioni, tutte queste prospettive, tutte queste sfumature, noi le ammettiamo di buon cuore. Tuttavia, esse non possono né devono cancellare una fatto evidente: una crisi religiosa di estrema violenza è scoppiata durante e dopo il Vaticano II. Ciò non basta affatto e dimostrare che il Concilio ne sia la causa principale. Ma impedisce di affermare senz’altra forma di processo che il Concilio non c’entri per nulla. Come minimo, è necessario esaminare, chiedersi: due fenomeni così visivamente concomitanti (Vaticano II, la crisi religiosa e morale) possono non avere alcun nesso di causalità? Sarebbe difficile dare a bere un tale “ miracolo ” a un qualsiasi storico serio.
QUELLO CHE NON DICIAMO SUL VATICANO II
Che il Concilio fosse illegittimo sin dall’inizio e viziato in tutto
Così come non abbiamo mai detto che il Vaticano II fosse la causa unica ed esclusiva della crisi, così non abbiamo mai affermato che il Concilio fosse illegittimo sin dall’inizio, o che al suo concludersi fosse interamente viziato ed inaccettabile. In breve, non abbiamo mai sostenuto che il Vaticano II si fosse sbagliato su ogni punto. E’ falso, e perfino ridicolo, poiché in molti testi, per esempio, quel concilio ha semplicemente richiamato la dottrina già infallibilmente insegnata dalla Chiesa.
L’azione di forza del 13 ottobre 1962
Il Vaticano II è stato un concilio della Chiesa cattolica convocato regolarmente, che ha riunito i vescovi del mondo intero sotto l’autorità del Sommo Pontefice. Mons. Lefebvre non ha mai rimesso in causa a priori quel concilio: al contrario, è stato membro della Commissione centrale preparatoria. Certo, Mons. Lefebvre ha sempre puntato l’indice contro l’ “ azione di forza ” del 13 ottobre 1962 del cardinale Liénart, che ha comportato il rigetto di quasi tutti gli schemi preparati, a vantaggio delle tesi della “ nuova teologia ”e del cattolicesimo liberale sostenute dall’Alleanza europea. Eppure, nessun concilio nella storia aveva goduto di una preparazione “ così vasta, condotta con tale diligenza, e così profonda ” come è stato giustamente detto all’epoca, e Giovanni XXIIII, che aveva seguito quei lavori, ha testimoniato che questi ultimi erano stati eseguiti “ con precisione e cura ”. Mons. Lefebvre ha ritenuto che quell’azione di forza e le sue conseguenze fossero state un disastro per l’orientamento del Concilio, la sue debolezza dottrinale, il suo spirito. Questa situazione ha comportato che i difensori della Tradizione si siano trovati in una situazione inestricabile, di fronte a dei testi impregnati di uno spirito nuovo, poco in armonia con la dottrina tradizionale, spirito nuovo che era difficilissimo, se non impossibile, da cambiare o far scomparire a forza di emendamenti.
L’influenza dei gruppi di pressione
D’altra parte, quando ha parlato del Vaticano II, Mons. Lefebvre ha sottolineato il ruolo importantissimo dei vari “ gruppi di pressione ”, tra i quali citava specialmente i media. Il Vaticano II è stato senz’altro il primo concilio della storia a svolgersi sotto l’occhio di giornali potentissimi, che intimidivano i Padri conciliari, facevano delle campagne per tale tesi, orientavano i voti. Allo stesso modo, Mons. Lefebvre ha ricordato che alcune conferenze episcopali (quelle delle rive del Reno, dall’orientamento nettamente progressista), organizzate assai prima del Concilio, beneficiavano di mezzi umani e finanziari considerevoli (alla fine della terza sessione, una delle loro officine, l’IDOC, si vantava di aver distribuito ai Padri più di quattro milioni di fogli). Infine, Mons. Lefebvre ha deplorato l’influenza di altri gruppi di pressione estremamente attivi su certi soggetti: la massoneria per la libertà religiosa; i protestanti per l’ecumenismo; le organizzazioni israelite per le relazioni con il giudaismo; l’Unione Sovietica per la non condanna del comunismo, ecc.
Una critica sulla base di testi precisi
Tuttavia, Mons. Lefebvre non ha mai condannato in blocco il Vaticano II come un concilio intrinsecamente illegittimo. Anche se ha spesso ricordato i fatti spiacevoli se non scandalosi che hanno viziato il suo svolgimento, conosceva troppo bene la storia della Chiesa per non sapere che altri concili, in passato, avevano conosciuto anch’essi gravi vicissitudini umane. Come diceva dom Guéranger: “ Si dimentica troppo che la storia ecclesiastica è bella in prospettiva, ma che i dettagli visti da molto vicino non sono sempre attraenti ”. Dunque quando ha criticato, o “ accusato ”il Concilio, Mons. Lefebvre non l’ha fatto per un’illegittimità di principio, a priori, ma sulla base di testi precisi, in chiara opposizione con la Tradizione e l’insegnamento costante della Chiesa.
QUELLO CHE DICIAMO SUL VATICANO II
Un concilio semplicemente pastorale…ma largamente enfatizzato
Se non abbiamo mai affermato che il Vaticano II sia la causa unica della crisi attuale, né un concilio illegittimo per principio, è chiaro che a suo riguardo facciamo delle critiche: esse sono pubbliche e costanti da quarant’anni. Per cominciare con un’osservazione semplicissima, occorre sottolineare il fatto che la coscienza della Chiesa oggi è occupata, obnubilata dal riferimento unico ed invadente al Vaticano II. Se, come ci dicono, questo concilio è un concilio come gli altri, in continuità con gli altri; se, come ci ripetono in tutti i modi, questo concilio non ha cambiato niente di essenziale, ed era nuova solo la maniera di dirlo; se, come proclama la dottrina ufficiale, si tratta di un concilio pastorale e non dottrinale, allora bisogna rimettere il concilio Vaticano II al suo posto, che è assai modesto. Gli uomini di Chiesa devono smettere di vivere solo del e per il Vaticano II.
Un concilio semplicemente pastorale
Questo ventunesimo concilio ecumenico, in effetti, è atipico: non s’inscrive nella semplice continuità dei concili precedenti, per volontà espressa del suo promotore, papa Giovanni XXIII, che l’ha concepito in modo del tutto particolare come un “ concilio pastorale ”. Certo, ogni concilio è pastorale perché è dottrinale, è dottrinale per meglio essere pastorale. Ma nel caso del Vaticano II, è stato affermato che fosse “ pastorale ” in senso nuovo, perché non voleva né doveva essere “ dottrinale ”. Giovanni XXIII lo precisa nettamente nel suo discorso inaugurale, l’11 ottobre 1962, che darà il tono ai lavori del Vaticano II. Inizia con dichiarare a questo riguardo: “ Il nostro lavoro non consiste neppure, come scopo primario, nel discutere alcuni dei principali temi della dottrina cristiana ”, perché per questo, afferma, “ non ci sarebbe bisogno di riunire un concilio ecumenico ”. “Occorre, prosegue, che questa dottrina certa ed immutabile, alla quale si deve prestare un assenso fedele, sia approfondita ed esposta secondo quanto è richiesto dai nostri tempi. Altro è infatti il deposito della Fede, cioè le verità che sono contenute nella nostra veneranda dottrina, altro è il modo con il quale esse sono annunziate, sempre però nello stesso senso e nella stessa accezione. Va data grande importanza a questo metodo e, se è necessario, applicato con pazienza; si dovrà cioè adottare quella forma di esposizione che più corrisponda al magistero, la cui indole è prevalentemente pastorale. ”. Abbiamo appena citato la versione italiana del discorso; la versione latina, un po’ diversa ( ma Giovanni XXIII ha usato due formule in due momenti differenti), dice: “ Si dovrà ricorrere a un modo di presentare che corrisponda meglio ad un insegnamento di carattere soprattutto pastorale ”. Questa scelta pastorale è stata mantenuta per tutto il Concilio. Inaugurando la seconda sessione, il 29 settembre 1963, il nuovo papa Paolo VI ricordava “ lo scopo più urgente e di natura attualmente più benefica del Concilio, lo scopo pastorale ”. Il 4 dicembre 1963, per la chiusura della seconda sessione, egli sottolineava che i Padri non avevano “ mai perso di vista l’orientamento pastorale di quel concilio ”. Il 7 dicembre 1965, concludeva : “ Il motivo dell’interesse preponderante dato dal Concilio ai valori umani e temporali risiede nel carattere pastorale che il Concilio ha voluto e di cui ha fatto in qualche modo il suo programma ”.
Un concilio che evita di porsi sul piano dogmatico
Tale designazione del Vaticano II come “ concilio pastorale ”(e non concilio e basta) esprime la ferma volontà di evitare di porsi sul piano propriamente dogmatico. Le dichiarazioni a riguardo sono estremamente chiare. Giovanni XXIII dichiara dunque l’11 ottobre 1962: “ Il nostro lavoro non consiste neppure, come scopo primario, nel discutere alcuni dei principali temi della dottrina cristiana ”. Il 6 marzo 1964, poi il 16 novembre 1964, il Segretario generale del Concilio legge una dichiarazione ufficiale della Commissione dottrinale, concernente la qualificazione teologica del Vaticano II: “ Tenuto conto dell’uso dei concili e dello scopo pastorale del concilio attuale, quest’ultimo non definisce come dovente essere ritenuto dalla Chiesa che i soli punti concernenti la fede e i costumi che avrà chiaramente dichiarati come tali ”. Il 7 dicembre 1965, Paolo VI ripete che, nel Concilio, “ il magistero della Chiesa non ha voluto pronunciarsi sotto forma di sentenze dogmatiche straordinarie ”. Il 12 gennaio 1966, insiste: “ Dato il suo carattere pastorale, il Concilio ha evitato di pronunciare in modo straordinario dei dogmi dotati del carattere d’infallibilità ”. In un discorso pronunciato il 13 luglio 1988 davanti ai vescovi del Cile e facendo il punto sulle consacrazioni fatte da Mons. Lefebvre, il cardinale Ratzinger, futuro Benedetto XVI, ha riassunto la scelta fatta dal Vaticano II nel seguente modo: “ La verità è che il Concilio stesso non ha definito alcun dogma ed ha tenuto a situarsi su un livello più modesto, semplicemente come un concilio pastorale ”. E in una lettera aperta a Benedetto XVI pubblicata in Témoignage chrétien (26 ottobre 2006) di Mons. Jacques Noyer per protestare contro il progetto di un Motu proprio sulla messa tradizionale, il vecchio vescovo di Amiens scriveva queste parole precise: “ Se il concilio Vaticano II ha tanto segnato la Chiesa contemporanea, è perché fu pastorale e non dottrinale ”.
Eppure, un concilio largamente enfatizzato fin dalla sua chiusura
Ora, questo concilio pastorale, semplicemente pastorale, che dovrebbe quindi avere un posto relativamente modesto nella storia e nella vita della Chiesa, è stato largamente enfatizzato. Innanzitutto, i suoi promotori non hanno esitato a proclamare che quel concilio pastorale apriva una nuova era della storia della Chiesa, che avrebbe visto il trionfo di quest’ultima. Giovanni XXIII reputava che il Vaticano II sarebbe stato una “ nuova Pentecoste ”, che avrebbe comportato “ un nuovo passo avanti del regno di Cristo nel mondo ”. Aprendo la seconda sessione, Paolo VI dichiarava che il Concilio sarebbe stato “ il risveglio primaverile d’immense energie spirituali e morali che sono come latenti in seno alla Chiesa ”. E chiudendo l’ultima sessione, salutava “ quel rinnovamento di pensiero, d’azione, di costumi, di forza morale, di gioia e di speranza che è stato lo scopo stesso del Concilio ”. Poi, dopo la chiusura del Vaticano II, c’è stato un vero diluvio di riferimenti a questo concilio semplicemente pastorale. Sarebbe possibile rilevare, nei testi pontifici degli ultimi quarant’anni, parecchie decine di migliaia di citazioni del Concilio. Per fare solo un esempio, il Catechismo della Chiesa cattolica, pubblicato nel 1992, comporta più di 800 citazioni del Vaticano II, mentre i venti concili specificatamente dottrinali che l’hanno preceduto hanno diritto a sole 200 menzioni. Per capire lo strano carattere di tale “ citazionismo ”, basta fare un paragone col Catechismo romano o Catechismo del concilio di Trento, pubblicato nel 1566. Questo era successivo al concilio di Trento, concilio dogmatico d’importanza eccezionale, che ha trattato molti argomenti ripresi in quel catechismo di cui ha d’altronde richiesto espressamente la pubblicazione. Ora il concilio di Trento è citato meno di quindici volte nel catechismo che ne prende il nome. Infine, per andare fino in fondo a questa enfatizzazione di un concilio semplicemente pastorale, papa Paolo VI, il 29 giugno 1975, in una lettera ufficiale a Mons. Lefebvre, ha finito con l’usare queste parole significative: “ Il secondo concilio del Vaticano non ha minore autorità, sotto certi aspetti è perfino più importante di quello di Nicea ”. Che il Vaticano II sia considerato come più importante del concilio che ha definito il dogma della divinità di Cristo significa che quel concilio semplicemente pastorale è surrettiziamente diventato il principale riferimento dottrinale della Chiesa.
Un posto veramente sproporzionato
Noi diciamo, e abbiamo sempre detto, che indipendentemente dal suo contenuto, il Vaticano II, concilio semplicemente pastorale secondo le dichiarazioni più formali dei suoi promotori, oggi rappresenta un problema nella vita della Chiesa per il posto del tutto smisurato e sproporzionato che gli è attribuito, a scapito degli altri venti concili ecumenici che sono, invece, “ concili dottrinali ”. Allo stesso modo, il ricorso costante ed esclusivo al Vaticano II ha fatto cadere nel dimenticatoio gli insegnamenti pontifici dei due secoli che l’hanno preceduto, insegnamenti che tuttavia costituiscono un ricchissimo patrimonio dottrinale e pastorale, di cui la Chiesa avrebbe oggi un grande bisogno.
QUELLO CHE DICIAMO SUL VATICANO II
Nonostante ogni sforzo, rimane un nucleo di testi controversi
Anche se il concilio semplicemente pastorale del Vaticano II è stato abusivamente enfatizzato, al punto da sembrare quasi come una nuova nascita della Chiesa, non è essenzialmente questo a fondare la nostra pubblica opposizione nei suoi confronti. Ciò che diciamo a suo riguardo, è che, anche dopo aver sdoganato il Vaticano II di una parte delle sue responsabilità nella crisi, bisogna riconoscere che quel concilio, in certi suoi testi, è una delle cause, e delle più gravi, di tale crisi.
La Chiesa attraversa oggi una crisi gravissima
E, prima di tutto, bisogna riconoscere con le più alte autorità che una grave crisi colpisce oggi la Chiesa. E’ Paolo VI ad affermare il 7 dicembre 1968: “ La Chiesa si trova in un’ora d’inquietudine, di autocritica, si direbbe perfino di autodistruzione. E’ come uno sconvolgimento interiore, acuto e complesso. Come se la Chiesa si colpisse da sé ”. O a chiedersi il 29 giugno 1972: “ Il fumo di Satana è entrato da qualche fessura nel tempio di Dio: il dubbio, l’incertezza, la problematica, l’inquietudine, l’insoddisfazione, il confronto si sono fatti strada ”. E’ Giovanni Paolo II a dichiarare il 6 febbraio 1981: “ I cristiani di oggi, in gran parte, si sentono perduti, confusi, perplessi e anche confusi. (…) Da ogni parte sono diffuse idee che contraddicono la verità che fu rivelata ed è sempre stata insegnata. Sono state divulgate delle vere eresie nel campo del dogma e della morale, che suscitano dubbi, confusione, ribellione. Anche la liturgia è stata violata. Immersi in un “ relativismo ” intellettuale e morale, i cristiani sono tentati da un illuminismo vagamente moralista, da un cristianesimo sociologico, senza dogma definito e senza morale oggettiva ”. E’ il cardinale Ratzinger a predicare il 25 marzo 2005: “ Signore, spesso la tua Chiesa ci sembra una barca che sta per affondare, una barca che fa acqua da tutte le parti ”. E’ Benedetto XVI a riconoscere il 22 dicembre 2005: “ Nessuno può negare che, in ampie parti delle Chiesa, la ricezione del Concilio sia avvenuta in modo piuttosto difficile ”.
Questa crisi deriva, almeno in parte, dal Vaticano II?
Questa crisi ha come origini, almeno in parte, il concilio Vaticano II stesso? Riprendiamo il filo della storia per capire la posizione della Fraternità San Pio X a tale riguardo. Mons. Lefebvre ha partecipato attivamente al Concilio. Ha certamente votato fino alla fine, come aveva diritto, contro il decreto sulla libertà religiosa, contro quello sull’ecumenismo e contro la Costituzione Gaudium et spes: ma ciò significa, in controparte, che ha votato per gli altri nove documenti. Non si può quindi affermare che Mons. Lefebvre abbia rifiutato il Concilio in blocco, per principio, ancor prima di esaminarlo. D’altronde , se Mons. Lefebvre fosse stato un oppositore dichiarato, per principio, Paolo VI non gli avrebbe certo indirizzato nel 1972 una lettera di felicitazioni per i suoi 25 anni di episcopato. Mons. Lefebvre reputa, durante il Concilio, che certi testi contengano delle vere “ bombe ” dottrinali a scoppio ritardato. Tuttavia, aspetta di vedere quali conseguenze avranno effettivamente quei testi esplosivi. Mons. Lefebvre applica il principio evangelico: giudicare l’albero dai suoi frutti. Perché un testo può essere precisato, orientato, rettificato dall’interpretazione che se ne dà. Sfortunatamente, l’interpretazione considerata sarà troppo spesso la peggiore. In queste condizioni, si trova costretto a ritornare alle proprie critiche degli anni 1962-1965, e ad affermare nel 1976: “ Accuso il Concilio ”.
Certo, non pretendiamo di essere infallibili nelle nostre critiche
Se noi non attribuiamo al concilio Vaticano II, secondo la dichiarazione esplicita della Commissione dottrinale del 6 marzo 1964 e del 16 novembre 1964, un’infallibilità che non converrebbe affatto ad un concilio semplicemente pastorale, noi pretendiamo ancor meno per noi stessi l’infallibilità. E’ quindi possibile che, nell’insieme delle critiche che articoliamo su certi testi del Vaticano II, e nonostante il lavoro e la cura apportati alla messa in forma di queste critiche, abbiamo fatto dei quiproquo o dei controsensi su qualche punto. Tale o tale rimessa in causa può, nel dettaglio, essere insufficientemente fondata, esagerata, aver mal distinto l’essenziale dall’accessorio.
Ma restano, nonostante gli sforzi d’interpretazione, dei testi controversi
Tuttavia, dopo uno studio serio dei testi del Vaticano II, dei loro presupposti e delle loro conseguenze, e anche avendo ammesso quel coefficiente d’incertezza derivante da eventuali imprecisioni nelle nostre critiche, nel Vaticano II resta un nucleo di testi veramente problematici, delle novità che presentano una dissonanza con la fede cattolica, cosa che si manifesta nel fatto che queste novità si oppongono all’insegnamento esplicito e costante del Magistero precedente. Mons. Lefebvre ha principalmente rilevato tre di queste novità: la collegialità, la libertà religiosa e l’ecumenismo (in quanto questi tre punti sono spiegati in modo nuovo dal Vaticano II). Tuttavia, se queste tre obiezioni sono le principali, ciò non significa che altre obiezioni non abbiano la loro importanza. La nuova ecclesiologia contenuta in Lumen gentium, i nuovi rapporti della Chiesa e del mondo proposti da Gaudium et spes, per esempio, meritano senza alcun dubbio anch’essi certe critiche.
Ora, quei testi controversi riguardano direttamente la fede
Purtroffo, quei testi controversi riguardano direttamente la fede, dunque la salvezza eterna. Perciò ai nostri occhi essi sono radicalmente inaccettabili e ciò spiega come, in qualche modo, nostro malgrado e contro il nostro desiderio più profondo, ci troviamo al momento ad una prudente distanza da alcuni atti della Roma attuale. Il futuro cardinale Bertone, in un articolo pubblicato nel 1966 ed intitolato “ A proposito della ricezione dei documenti del Magistero e del disaccordo pubblico ”, scriveva giustamente: “ Quando si parla della necessità di verificare l’effettivo consenso di tutti i vescovi sparsi nel mondo o persino di tutto il popolo cristiano in materia di fede e di morale, non si deve dimenticare che questo consenso non può essere compreso in un senso puramente sincronico, ma deve essere compreso in un senso diacronico. Ciò vuol dire che il consenso moralmente unanime abbraccia tutte le epoche della Chiesa, ed è soltanto ascoltando questa totalità che si resta nella fedeltà agli Apostoli. ‘ Se da qualche parte – osserva il cardinale Ratzinger in uno studio – si venisse a creare una maggioranza contro la fede della Chiesa d’altri tempi, non sarebbe assolutamente una maggioranza ”. Noi diciamo che se si può pretendere che apparentemente, e materialmente, ci sia attualmente un certo consenso sincronico su queste novità in dissonanza con la fede, è certo che non esiste, e non potrà mai esistere, un consenso diacronico. Esiste, in queste novità del concilio pastorale Vaticano II, tutt’al più una “ maggioranza [apparente] contro la fede della Chiesa d’altri tempi ”, contro la fede inammissibile della Chiesa di sempre.