Ma perché la Fraternità San Pio X si ostina a rimanere ai margini della Chiesa? Perché rifiuta un accordo che le viene proposto con tanta generosità e che non le richiede alcun compromesso? Perché si priva dell’irraggiamento missionario che le permetterebbe un riconoscimento ufficiale? Non siamo più negli anni ’70! Le cose sono cambiate. La Messa è stata restaurata nei suoi diritti, le scomuniche sono state tolte. È incomprensibile…
Abbiamo sentito più di una volta, questo genere di argomenti, peraltro provenienti spesso da persone di buona volontà, amiche della Fraternità San Pio X e desiderose del suo bene, ma che hanno difficoltà a comprendere la sua posizione nella crisi attuale. Occorre dunque cercare di rispondere a questi interrogativi, cominciando con l’ammettere ciò che essi contengono di giusto e di fondato.
Effettivamente, non siamo più negli anni ’70. Certo le grandi follie di allora non sono più tutte di moda. Tuttavia, ancora il 3 luglio scorso Mons. Nourrichard, vescovo di Évreux, ha partecipato in abiti liturgici alla pretesa ordinazione sacerdotale (evidentemente invalida e scandalosa) di donne anglicane a Salisbury. E questo triste evento è ben lontano dall’essere l’unico: tutti i giorni la fede è attaccata nella sua integrità.
Vero è che il Motu Proprio del 2007 ha proclamato, dopo quarant’anni di diniego, che la Messa tradizionale non è mai stata interdetta e non poteva esserlo. Ma è anche vero che esso ha posto la liturgia tradizionale sullo stesso piano della liturgia conciliare, anzi piuttosto al di sotto, mentre tale liturgia conciliare è oggetto di gravissime critiche teologiche. È esatto che nel gennaio del 2009, un testo romano ha annullato il decreto di scomunica dei vescovi ausiliari della Fraternità San Pio X, ma nella stessa ottica, il Papa Benedetto XVI ha riaffermato che ai suoi occhi i sacerdoti della Fraternità «non esercitano legittimamente il ministero nella Chiesa».
Dunque, noi non neghiamo che il bicchiere possa essere mezzo pieno: l’azione della Fraternità San Pio X, quella di Mons. Fellay, si appoggia su una presa d’atto attenta e prudente della realtà della situazione attuale e dei suoi sviluppi. Ma non possiamo e non dobbiamo dimenticare che il bicchiere resta mezzo vuoto: i gravi errori che denunciamo da quarant’anni, e che sono oggetto dei colloqui dottrinali, sono ancora ben presenti nel cuore della Chiesa. Se fossimo tentati di dimenticarlo, il fulmine del funesto progetto di “Assisi III” starebbe lì a ricordarcelo. Certo, quest’annuncio ci ha sorpresi tutti: era noto a tutti che il cardinale Ratzinger non aveva apprezzato l’iniziativa di Giovanni Paolo II del 1986, e tuttavia, questo annuncio, se è stato un po’ inatteso, non è per niente illogico.
Dal momento che i principi che fondano l’iniziativa di Assisi sono quelli del Vaticano II, cuore del pensiero di Benedetto XVI, se il cardinale è stato reticente nel passato, forse è per la forma, non per il contenuto: Benedetto XVI ha detto e ridetto che vuole promuovere il dialogo interreligioso, e Assisi III sarà una delle tappe. Questa è la ragione fondamentale per mantenere le nostre posizioni: la crisi della Chiesa è ben lontana dall’essere terminata. Il riconoscimento ufficiale degli errori richiede ancora del tempo.
Pregando perché Dio venga a salvare la Sua Chiesa (senza mai pretendere di essere noi, con le nostre forze, a poterlo fare), continuiamo a fare dunque fedelmente ciò che la Provvidenza, nella sua misericordia, ci ha chiamati a fare: testimoniare verso e contro tutti la Tradizione della Chiesa.
Abbé Régis de Cacqueray, Superiore del Distretto di Francia.
Editoriale del n° 200 di Fideliter del marzo-aprile 2011-03-12