Intervista a Padre Daniel Couture,
Superiore del Distretto d’Asia della Fraternità Sacerdotale San Pio X
Winona, Stati Uniti, 17 giugno 2011 (www.sspx.org) - Prima Parte
Padre, lei si trova qui a Winona per le ordinazioni sacerdotali. Questa mattina sono stati ordinati cinque sacerdoti, e uno di loro, che è indiano, sarà mandato in India. A che cosa pensava durante queste ordinazioni?
È sempre una grande gioia vedere perpetuato il sacerdozio, vedere che la Fraternità San Pio X, ordinando questi giovani sacerdoti provenienti da ogni parte del mondo, è veramente al servizio della Chiesa. Qui possiamo vedere che la grazia continua a radicarsi nelle anime dei giovani che desiderano lavorare per la Chiesa, per il Regno di Nostro Signore. Sono venuto negli Stati Uniti per assistere all’ordinazione di uno dei nostri seminaristi indiani. È il figlio del nostro traduttore di Palayamkottai, nel sud dell’India. Suo padre, ogni domenica, traduce le nostre prediche e le lezioni di catechismo. È una grande gioia per noi e per l’intero distretto dell’Asia.
Lei è il Superiore del distretto dell’Asia ed è a metà del suo terzo mandato. L’Asia è un distretto immenso, formato da molti paesi e popoli diversi. Un’enorme quantità di lavoro è già stato fatto. Può riassumerci il lavoro che svolgete nel vostro distretto?
L’Asia rappresenta la metà della popolazione mondiale. Partendo da ovest, si estende dal Medio Oriente, dove, quest’anno, abbiamo aperto o preso in carico un paio di centri di Messa, come negli Emirati Arabi Uniti e in Oman dove vi sono delle famiglie cattoliche tradizionali francesi, indiane, cingalesi e filippine, e arriva fino all’Estremo Oriente, comprendendo il Giappone, la Nuova Zelanda e le isole del Pacifico. È un territorio immenso. Questa è l’avventura del missionario, come si legge nella vita dei grandi missionari come San Teofano Venard, i martiri del Seminario delle Missioni Estere di Parigi, ecc.
Ci riempie di entusiasmo, ed è molto incoraggiante, vedere dappertutto, come direbbe Monsignor Lefebvre, l’azione dello Spirito Santo. In qualunque paese si trovano perle preziose che il Buon Dio sceglie per se stesso.
Il nostro lavoro missionario non è proprio lo stesso del passato, quando i missionari si stabilivano in qualche luogo e costruivano villaggi, scuole, ecc. Noi lavoriamo un po’ più superficialmente, cerchiamo di salvare ciò che può essere salvato. Ma è incoraggiante scoprire dappertutto delle anime pure e generose che hanno sete di verità. Questo ci incoraggia: è come il carburante che ci fa andare avanti nelle missioni.
Voi operate dalla sede del distretto di Singapore. Quanti priorati e case religiose stabili avete? Da questi priorati, quante cappelle e centri di Messa visitate regolarmente?
Per i 18 paesi che visitiamo in Asia, abbiamo sei priorati. Dico sei, perché siamo in procinto di aprire il sesto. Nelle prossime settimane ci sarà l’acquisto di una proprietà nel sud delle Filippine. Abbiamo un priorato nel sud dell’India, uno a Singapore, tre nelle Filippine e uno in Nuova Zelanda. Ventidue sacerdoti, tra cui il giovane prete che è stato appena ordinato, si dedicano all’opera missionaria della Fraternità. Per quanto riguarda le cappelle, non ricordo il numero esatto, credo sia tra 40 e 50. In India, ne abbiamo almeno una ventina. In alcune zone delle Filippine, c’è una cappella per regione. Come Padre Schmidberger (ex Superiore generale della Fraternità, oggi superiore del distretto di Germania. ndr) ha sempre detto, la Fraternità svolge il suo ruolo con la sua presenza. Essa esercita il suo apostolato “con la sua presenza”, essendo un punto di riferimento. In questi vari paesi: Giappone, Corea, Cina, Malesia, Indonesia, ecc., ci sono molti cattolici confusi. Essi non sanno chi può guidarli e vanno alla ricerca e, infine, incontrano la Fraternità, dove trovano la fede, la verità, la liturgia e la catechesi che li soddisfano, poiché provengono da Dio. Tutto ciò è incoraggiante.
Come altrove, i sacerdoti della Fraternità portano la fede ed i sacramenti a coloro che hanno sete e desiderio di riceverli. Naturalmente, come ogni sacerdote della Fraternità, lei tiene particolarmente vicino al cuore il sacerdozio, poiché è il primo fine della nostra congregazione. Oggi vi sono sacerdoti o vescovi, più attenti o interessati alla Fraternità? Il Motu Proprio ha portato a veri risultati in favore della Tradizione?
Qua e là, sì. Abbiamo sempre più contatti con sacerdoti. Faccio un esempio: in un certo paese, un vescovo ha mandato due dei suoi sacerdoti in Inghilterra per partecipare ad una settimana di formazione di “Una Voce”, per imparare a dire la Messa tradizionale. Per qualche motivo, forse perché c’erano troppi sacerdoti, non hanno ricevuto abbastanza attenzione personale e allora sono venuti da noi per ricominciare da zero, dicendoci: “Insegnateci la Messa. Facciamo almeno una sessione per essere in grado di leggere il latino del messale”.
Quindi siamo in contatto con sacerdoti, e anche, in diversi paesi, con vescovi. Penso in particolare alle Filippine. Lì non è a causa dell’effetto del Motu Proprio, anche se è certamente correlato. Nelle Filippine stiamo organizzando una campagna pro-vita, sotto la guida di Padre Onoda [priore di Manila]. Ha lanciato una crociata del rosario e i vescovi sono rimasti molto impressionati. Ci sono anche alcuni vescovi che sono venuti a pranzo al priorato. Quindi è molto positivo.
In una diocesi, alla fine di maggio del 2010, durante l’anno che il Papa ha dedicato al sacerdozio, un vescovo ha permesso ad uno dei nostri sacerdoti di tenere una conferenza sul sacerdozio a 45 sacerdoti diocesani. Questa conferenza è stata davvero apprezzata e darà sicuramente i suoi frutti. Questo arcivescovo vede chiaramente che la Fraternità ha qualcosa da offrire ai suoi sacerdoti che sentono che manca qualcosa alla loro vita spirituale.
Egli mi ha recentemente detto: “Parla ai miei sacerdoti del breviario, parla con loro sull’importanza del breviario, sull’importanza dell’Ora Santa”. C’è una terribile mancanza di preghiera. Un anziano sacerdote della diocesi mi ha detto: “I preti della nostra diocesi non dicono il breviario, né il Rosario, non fanno la meditazione. Immaginate il sacerdozio senza questi fondamenti della vita spirituale: che cosa rimane? Che cosa è rimasto? Noi non siamo sorpresi di vedere un calo delle vocazioni se non c’è vita spirituale per sostenerle!”.
È molto interessante che l’arcivescovo si rivolge a noi dicendo: “Insegna ai miei sacerdoti come dire il breviario, parla a loro dell’importanza del breviario”. Per noi, è una gioia essere parte della Fraternità, quando quest’arcivescovo ci parla così; è una gioia lavorare per la Chiesa, seguendo l’intuizione di Monsignor Lefebvre. Noi siamo al servizio della Chiesa e dunque già, qua e là, questo servizio sta per crescere. Siamo al servizio dei vescovi che non sanno a chi rivolgersi per aiutare i loro sacerdoti. Vedono che c’è un problema, ma non hanno la soluzione, e vedono che la Fraternità ha mantenuto un tesoro di cui hanno bisogno.
Per quanto riguarda la questione della Messa tradizionale, ci sono sacerdoti che sono interessati, ma non sanno il latino e non hanno i libri contenenti le rubriche, e questo è un problema. Un vescovo in Vietnam ha detto – l’ho anche per iscritto - che “tutti i sacerdoti che vogliono dire la Messa tradizionale nella mia diocesi possono farlo”. Viene dal vescovo, quindi non c’è nulla da obiettare. Tuttavia, mancano i mezzi necessari per tornare alla Messa tradizionale ed essi hanno anche un certo timore. In Vietnam, una volta, un prete mi ha detto: “Ma non sappiamo il latino e senza latino non possiamo tornare alla Messa tradizionale”. Così, la mancanza della conoscenza del latino è un ostacolo.
Una volta ho insegnato ad alcuni preti a celebrare la Messa tradizionale in cinese. Erano sacerdoti cinesi che non conoscevano il latino. Ho fatto questo seguendo il consiglio di Monsignor Lefebvre che ci ha insegnato: “Non stiamo combattendo in primo luogo per il latino; stiamo combat tendo per la fede”. E abbiamo spiegato ai sacerdoti che è meglio celebrare la Messa tradizionale in lingua volgare che dire la nuova Messa in latino. Non è innanzitutto una questione di linguaggio, ma è una questione di fede. E sono state celebrate un paio di Messe così. Quindi, c’è un desiderio, ma ci sono ostacoli da superare che sono seri e difficili. Tuttavia, con un po’ di buona volontà, è possibile.
Padre, per tornare al tema della Cina, abbiamo molti visitatori e lettori che sono interessati a ciò che sta accadendo in quel paese. Recentemente i media non hanno dato notizia delle elezioni, delle nomine e delle consacrazioni di vescovi cinesi, con, senza, o contro l’autorizzazione del Vaticano. Potrebbe spiegarci la situazione in Cina, le difficoltà, tra cui la lotta tra la Chiesa cattolica e la Chiesa patriottica nazionale, e la politica del Vaticano durante questi ultimi anni?
Il caso della Cina è molto complicato. I francesi hanno un detto: “C’est du chinois” (“È tutto cinese”), che è un’espressione colloquiale per indicare qualcosa che è difficile da capire. Non si usa solo a proposito della lingua cinese, che è molto elaborata. Per noi che veniamo dall’ovest, è difficile comprendere i cinesi e anche la situazione religiosa è molto delicata e difficile da capire.
Fine della prima parte