San Valentino, patrono degli innamorati e non solo. Vescovo di Terni e martire, fu artefice di centinaia di miracoli e conversioni
La festa di San Valentino è dedicata “agli innamorati”. Cioccolatini, rose, gioielli e i più impensabili gadget: oggigiorno la commemorazione del santo patrono dei fidanzati si è trasformata nella sagra del consumismo, del materialismo e dell’eros sfrenato, commercializzata a tal punto da dimenticare il perché di questa festa, chi fu veramente San Valentino e cosa hanno a che fare con lui gli innamorati. Questa tradizione, inizialmente, venne diffusa dai monaci dell’ordine di San Benedetto, che furono i primi custodi della Basilica dedicata al Santo, al cui interno era deposta la salma, e istituita da papa Gelasio I nel 496, con l’intento di sostituire l’antica festa pagana dei Lupercalia, festeggiata lo stesso giorno dai romani in onore del dio Fauno, che era il protettore del bestiame, e al contempo diffondere il messaggio d’amore cristiano attraverso l’operato di San Valentino.
Ma chi fu veramente San Valentino? Nato da una famiglia nobile, fu consacrato vescovo di Terni alla sola età di 21 anni da San Feliciano di Foligno, e nel 270 fu chiamato a Roma, su invito del filosofo e oratore greco e latino Cratone, dove predicò il Vangelo convertendo molti pagani, grazie anche alla sua eloquente oratoria. Si dice che quando parlava “tutti pendessero dalle sue labbra che sapevano aprire il cuore anche ai pagani più incalliti nei vizi”. Fu molto amato e rispettato dal popolo, dato la sua particolare attenzione verso i bambini, i malati e i giovani, i quali spesso andavano a chiedergli consigli. Morì decapitato all’età di 97 anni , nell’anno 273, dopo esser stato flagellato fuori le mura di Roma, lungo la via Flaminia, a causa delle persecuzioni contro i cristiani sotto l’imperatore Aureliano.
A tutt’oggi sono pochi i documenti che raccontano la vita del Santo martire: il più antico documento risale al secolo VIII e racconta alcuni particolari del martirio, la tortura, la decapitazione e la sepoltura ad opera dei discepoli Proculo, Efebo e Apollonio, anch’essi decapitati per aver raccolto il corpo del Santo; gli stessi discepoli ci raccontano del miracolo che scatenò l’immediata conversione di moltissime anime, loro compresi, ossia, la guarigione di Chermone, il figlio di Cratone, afflitto da una paralisi.
Dopo tale miracolo, lo stesso Cratone, nato da famiglia pagana, si convertì al cristianesimo facendosi battezzare assieme alla moglie e a tutta la famiglia, e al contempo, si convertirono anche i suoi allievi: Ateniesi, Procolo, Efebo, Apollonio e Abondio, figlio di Annio Placido, che era Prefetto di Roma; fu proprio Abondio a raccogliere i corpi martoriati di Efebo, Procolo e Apollonio, che seppellì accanto a San Valentino. Anche Cratone, assieme a tutta la famiglia, venne condannato a morte con l’accusa di seguire Valentino; unico superstite fu il figlio Chermone (si dice che fu lui ad edificare la prima Basilica dedicata al Santo Patrono di Terni).
Si narrano di molti miracoli compiuti dal Santo, come molti sono anche i racconti popolari tramandati nei secoli, ad esempio, quello secondo cui ridiede la vista alla figlia cieca del suo carceriere Asterius (quando fu catturato e messo in carcere per la prima volta su ordine dell’imperatore Claudio II il Gotico).
Un’altro importante miracolo risale al 225 d.C. ed è la guarigione di uno schiavo in punto di morte (dopo tale miracolo il fratello, Fonteyo Triburzio, prese servizio presso la casa di Cratone a Roma). Malati di ogni genere si recavano regolarmente presso la sua abitazione chiedendo preghiere di guarigione (guarigioni che spesso avvenivano); si racconta che tutti entrassero sofferenti in casa sua ed uscissero confortati e rafforzati nello spirito. Quello che il Santo faceva, infatti, era invitare le persone a rendere lode e grazie a Dio, insistendo sulla fede, l’unico mezzo grazie al quale, diceva, è possibile guarire.
La sua associazione agli innamorati, poi, fa riferimento proprio al suo lungo ministero. Nel corso della sua vita, infatti, il santo rivolse un’attenzione particolare verso i giovani e le famiglie, che accoglieva all’interno del suo bellissimo giardino fiorito, dando a tutti consigli e sostegno. Valentino ripeteva in continuazione “Dio ci ama e noi dobbiamo restituirgli questo amore, amando il prossimo come lui ci ha amato”. Era solito donare una rosa ai giovani fidanzati che si recavano da lui chiedendo una benedizione. Le famiglie che erano in difficoltà economica, o che non riuscivano ad avere figli, li invitava a guardare alla Sacra Famiglia di Nazaret, ad avere fiducia nella divina provvidenza, insistendo nel rivolgere lo sguardo alla figura della Vergine Maria, incoraggiandoli, benedicendoli e pregando con loro, assicurando sempre le sue preghiere.
Ecco perché San Valentino viene associato agli innamorati: nel suo lungo cammino di vita ebbe molto a cuore i giovani fidanzati e le famiglie. Tra i racconti più citati c’è quello secondo cui il santo passeggiando per la strada vide due fidanzati litigare e, avvicinatosi, porse ai due una rosa invitandoli a tenerla unita nelle loro mani e poco dopo i due si riappacificarono giurandosi eterno amore; una seconda versione, invece, narra che Valentino, già vescovo di Terni, fece volare attorno ai due fidanzati litigiosi numerose coppie di piccioni che si scambiavano effusioni d’affetto, così da ispirare pace e amore nei due.
Un altro famoso racconto riporta che Valentino unì in matrimonio Cristiana Serapia con il centurione romano Sabino, un amore ostacolato dal padre di lei, in quanto il centurione era pagano. Quando la giovane si ammalò gravemente, il centurione, al capezzale di morte, fece chiamare Valentino chiedendogli, in accordo con Serapia, di far in modo di non essere mai più separati, cosicché in quel giorno il vescovo battezzò il centurione pagano, unì i due giovani in matrimonio e subito dopo morirono entrambi.
di Pietro Barbini
Da ZENIT.org ROMA, martedì, 14 febbraio 2012