Con il pontificato di Benedetto XVI i rapporti tra la Fraternità e la gerarchia vaticana hanno avuto sviluppi inaspettati, al contempo fonte per noi fedeli di soddisfazione e di preoccupato disagio.
La soddisfazione scaturisce dal vedere la Santa Messa cattolica riammessa nel salotto buono della liturgia “ufficiale”, dopo essere stata per decenni bandita da quegli stessi zelanti vescovi e parroci che non esitano ad aprire le loro chiese (disertate dai fedeli cattolici) a sètte ed infedeli di ogni sorta, scivolando allegramente nel sacrilegio.
Anche il confronto dottrinale (mi rifiuto di usare l’ambiguo termine “dialogo”) con la Fraternità sui testi del concilio (pastorale) vaticano II, prescindendo dagli esiti (imprevedibili), è un notevole passo avanti, se si pensa che il concilio in oggetto (e non solo il suo cosiddetto “spirito”) è considerato dalla quasi totalità del clero una sorta di superdogma assoluto, dal quale parrebbe essere nata la “vera” chiesa, defenestrando i Martiri, i Padri, i Dottori della Chiesa e tutti quegli ignoti fedeli che per due millenni hanno reso splendida la civiltà d’Europa.
Le note dolenti nascono però dalla realtà di altri fatti, che paiono contraddire radicalmente le speranze di una nuova autentica restaurazione della Chiesa. Emerge infatti un netto scollamento tra le dichiarazioni del Pontefice e quanto avviene nella quasi totalità diocesi e nelle parrocchie italiane. E, si badi bene, si tratta di un territorio in cui la situazione del cattolicesimo sia nettamente migliore di tanti altri. Si pensi all’Europa settentrionale e a buona parte delle Americhe in cui è in atto da decenni uno scisma di fatto e non ufficialmente dichiarato solo a causa della diserzione della gerarchia che evita qualsiasi intervento attivo, come sarebbe suo dovere.
Nei suoi discorsi il Papa denuncia spesso la crisi della Chiesa, ma le sue parole sembrano cadere nel vuoto. L’ultimo caso è quello dei cosiddetti “preti disobbedienti” che apertamente si sono schierati su posizioni inequivocabilmente eretiche. Ma già il solo fatto di dichiararsi “disobbediente” da parte di chi ha fatto voto di “obbedienza” è una scandalosa contraddizione (oltre che un chiaro esempio di superbia luciferina).
Ma ancor più scandaloso è che alla pubblica denuncia del Ponteficie non sia seguito alcun provvedimento nei confronti di tali soggetti e nei confronti di tutti coloro che, nella Chiesa, disobbediscono senza troppa pubblicità ma con lo stesso risultato di diffondere lo scandalo e l’eresia fra le anime dei fedeli loro affidate. Non più lupi travestiti da agnelli, ma lupi travestiti da pastori…
E’ tristissimo pensare che mons. Lefebvre e la Fraternità San Pio X siano stati trattati con ignominia dalla gerarchia ecclesiastica, bollati di disobbedienza in quanto apertamente schierati a difesa della Chiesa di sempre. E’ inevitabile chiedersi come mai si sia agito con durezza ed intransigenza solo nei confronti di chi ha sempre proclamato (e dimostrato) la sua fedeltà a Santa Romana Chiesa, mentre nei confronti di tonnellate di sale insipido (se non tossico) ci si limiti a qualche belato, dimostrando l’estrema debolezza in cui oggi versa la gerarchia della Chiesa.
Eppure basterebbero un po’ di quell’onestà intellettuale, di quella coerenza e di quel coraggio dimostrati nei millenni dalla miriade di cattolici che, piuttosto di tradire Cristo, hanno preferito la persecuzione e il martirio. Quali frutti potrà dare un confronto con chi festeggia il risorgimento e la vergogna di Porta Pia, con ripudia le proprie responsabilità di pastori ed abbandona il gregge a sé stesso?
Solo un miracolo (e io credo ai miracoli!) potrà rimettere le cose al loro posto.
Giorgio Drago