mamma, papà e figlia

La cronaca di questi giorni riporta, senza particolare enfasi, la notizia che in Francia è in procinto di passare in Parlamento un progetto di legge che vuole eliminare da ogni documento avente valore legale le diciture “padre” e “madre”, sostituendole con le più neutre “genitore uno” e “genitore due”; tale provvedimento “rientra in un più ampio progetto che legalizzerà i matrimoni omosessuali e che darà alle coppie gay il diritto di adottare figli” (il Giornale, 15 ottobre 2012).

 

In tale sede, non vorrei tanto soffermarmi sulla opportunità, per il legislatore, di parificare sul piano giuridico le unioni eterosessuali e quelle fra persone dello stesso sesso; certo chi vuol dirsi cristiano ben conosce quale disvalore sarebbe insito in tale disciplina (un abominio di proporzioni talmente macroscopiche, che persino le più morbide frange della Curia hanno dovuto condannare).

Preferirei piuttosto concentrarmi su altri aspetti della questione; e principalmente sul fatto che quando si affronta il tema delle adozioni gay lo scenario non si limita a due soli soggetti, ma ne coinvolge un terzo, il bambino, che si trova a subire senz'altro le decisioni altrui (del legislatore, dei due “coniugi”).  La presenza, nell'ambito della questione, di questo “terzo incomodo”, è di per sé sufficiente a invalidare una delle argomentazioni più banali e politicamente corrette a favore delle unioni gay, cioè la sostanziale irrilevanza della loro disciplina giuridica nei confronti dei cittadini non interessati ad avvalersene.

E' assai doloroso analizzare la posizione dell'adottato, anche da un punto di vista meramente giuridico. Ci troviamo di fronte ad un bambino che prima ancora di entrare nell'età della ragione è catapultato, senza alcuna possibilità di scelta, in un contesto completamente contro natura, quale quello dell'essere costretto a crescere allevato da due persone dello stesso sesso.

E' inoltre in qualche modo curioso che il diritto a essere formato in un contesto familiare rispondente a dei requisiti minimi di “naturalità” sia del tutto negato ai piccoli cittadini di molti ordinamenti europei, che sono invece ben pronti a riconoscere la necessità che il minore si “autodetermini”, quando tale affermazione di individualità vada a discapito dell'autorità genitoriale. Si pensi a proposito anche all'art.147 del Codice Civile italiano (“...obbligo di mantenere,istruire ed educare la prole tenendo conto delle capacità,dell'inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli”); quale tutela vi sarà per la legittima “aspirazione” ad essere cresciuto da un padre e da una madre, il giorno che anche nel nostro Paese verrà consentita l'adozione a coppie di persone dello stesso sesso?

La normativa in esame, inoltre, assesta il colpo di grazia alla distinzione e alla riconoscibilità anche ictu oculi dei due pilastri della famiglia, l'uomo e la donna come padre e madre; figure già da almeno un quarantennio in crisi, a partire dai mutamenti sociali e giuridici seguiti al '68. La graduale confusione dei caratteri delle figure paterna e materna meriterebbe una trattazione a sé; ci si limiti a considerare come il grande favore che sembra caratterizzare nei nostri giorni l'omosessualità e le adozioni gay, non sia altro che la proclamazione a gran voce di quanto da decenni si va dicendo a denti stretti, e cioè la sostanziale intercambiabilità dell'uomo e della donna nell'ambito dei ruoli familiari. Quando viene meno, nel costume sociale, qualunque differenza (non già di importanza, ma di caratteri) tra parte maschile e femminile della coppia, diventa molto breve il passo che porta alla legittimazione delle unioni omosessuali.

Nello scrivere della liceità delle adozioni da parte di coppie gay (purtroppo già affermata in diversi Stati europei) si prova la sensazione di parlare di un unicum nella storia dell'umanità, di un'aberrazione talmente vergognosa da risultare sconosciuta anche alle civiltà più degradate; anche alla Roma dell'età neroniana, anche ai popoli precolombiani, anche alle stesse Sodoma e Gomorra. Riflettiamo bene: quello che si vuole fare è privare migliaia di bambini della bellezza di crescere con sulle labbra le parole “mamma” e “papà”. Ricordo ancora una pagina toccante de “Il sergente nella neve” di Mario Rigoni Stern, ove si narra di come dei soldati italiani, commossi, lasciarono che dei barellieri russi portassero via i loro feriti, sentendoli invocare “Mama, mama...” nella loro lingua.   La legislazione che si va preparando in Francia va a colpire al cuore la famiglia, che oltre a essere il luogo della tenerezza e degli affetti, è anche l'unità sociale fondamentale; un'istituzione naturale che, venuta meno, lascerebbe l'uomo nella più disperata solitudine. E' pertanto necessario, come cristiani (e, verrebbe da dire, come amanti del genere umano; ma a ben vedere i due concetti coincidono) opporsi strenuamente ai grandi cambiamenti che stanno venendo operati in questo settore; e manifestare in ogni occasione il nostro dissenso, al fine di tamponare, nel nostro piccolo, il sempre maggiore favore che le unioni contro natura stanno riscuotendo anche, incredibilmente, nel costume sociale.

 

Eugenio Campus

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