Paolo VIdi don Mauro Tranquillo

Sextus Tarquinius, sextus Nero, sextus et iste: semper sub sextis Roma perdita fuit

La scorsa settimana è stato pubblicato dalla Santa Sede il decreto sulle virtù eroiche attribuite a Papa Paolo VI. Resta generalmente difficile sapere quale valore sia attribuito oggi a tutte le beatificazioni e canonizzazioni, che sembrano avere solo il nome in comune con le antiche; ma nel caso specifico, come già in quello di Giovanni Paolo II e Giovanni XXIII, ci sono anche gravissime obiezioni.

Sarebbe scontato da parte nostra ricordare come il Pontefice in questione diede il nome e impose una riforma totale della liturgia romana, rompendo con tutte le usanze di epoca apostolica per sostituirle con rituali di dubbia ortodossia; come promosse, tramite il Concilio, dottrine condannate dai suoi Predecessori, quali il doppio soggetto del potere supremo nella Chiesa e la libertà religiosa, oltre all’ecumenismo. Sarebbe scontato e non parrebbe, agli occhi di chi segue tali riti e tali dottrine, un titolo di demerito.

Ma sotto ogni punto di vista non ha senso parlare di virtù eroiche di Paolo VI: un Papa è responsabile della situazione della Chiesa sotto il suo Regno, e le virtù eroiche devono manifestarsi in scelte eroiche per la difesa della fede o dell’ortodossia. In Paolo VI vediamo nel migliore dei casi interventi tardivi (come Humanae vitae); una situazione di sfacelo della vita religiosa e cristiana da lui stesso ammessa; la fiducia nelle persone sbagliate: per esempio Bugnini, da lui stesso sfiduciato e spedito in Iran, ma dopo che aveva realizzato la completa riforma del rito romano; Calvi e Sindona, anch’essi uomini di fiducia di Montini, incaricati da lui di gestire lo IOR; il compromesso con lo spirito del mondo, palese nel famoso elogio del culto dell’uomo fatto all’ONU; la tolleranza verso ogni sorta di abuso liturgico e dottrinale, o perlomeno l’incapacità di intervenire efficacemente. Sarebbe questa la prudenza eroica necessaria a un Pontefice nel governo della Chiesa? Non si tratta di croci cadute dal cielo, che ognuno deve portare e affrontare, ma di effetti di un malgoverno che ha il suo ultimo responsabile nel Pontefice. Non c’è bisogno di rinvangare vecchie dicerie o di accusarlo di aver tradito Papa Pacelli, e nemmeno di riprovarne la dottrina e le riforme, per vedere che in lui non risplendettero le virtù dei santi, e che non fu pari al compito a lui affidato.

Chiediamo dunque che questo ennesimo cattivo esempio sia risparmiato alla Chiesa, e che non si voglia con questi espedienti “canonizzare” le malvagie dottrine e prassi post-conciliari.

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