AsiaDi Antonio Gaspari

ROMA, 31 Dicembre 2012 (Zenit.org) - La storia di Asia Noreen Bibì sta commuovendo il mondo. Cristiana pakistana, accusata di blasfemia è stata condannata a morte. Gli hanno offerto di liberarla se accetta di convertirsi all’Islam, ma lei non ha ceduto ed è disposta a rischiare la vita pur di garantire la libertà religiosa.

Era il giugno del 2009 quando ad Asia Bibi, che lavorava in agricoltura, venne chiesto di andare a prendere dell'acqua. Le donne musulmane glielo impedirono perché, essendo cristiana non avrebbe dovuto toccare il recipiente per l’acqua. Le stesse donne hanno accusato Asia Noreen Bibì di aver offeso Maometto nel corso della discussione.

Asia Bibi, venne picchiata, chiusa in uno stanzino e stuprata, Lei sposa fedele e madre di cinque figli ha respinto le accuse sostenendo di essere discriminata perché cristiana.
Ad un anno dall’arresto Asia Bibi è stata condannata a morte mediante impiccagione. La famiglia presentò immediatamente ricorso contro la sentenza. Da allora, proteste di gruppi che difendono i diritti umani si sono levate dal mondo intero.

La Commissione pakistana sulla condizione delle donne, ha chiesto l'immediata liberazione di Asia Bibi sottolineando che è illegittimo richiedere a una donna cristiana di aderire ai principi dell'Islam

Nel corso dell’udienza generale del 17 novembre 2010 il Pontefice Benedetto XVI ha lanciato un appello per la liberazione di Asia Noreen Bibi.

Ha detto il Papa: “In questi giorni la comunità internazionale segue con grande preoccupazione la difficile situazione dei cristiani in Pakistan, che spesso sono vittime di violenze o di discriminazione. In modo particolare oggi esprimo la mia vicinanza spirituale alla Sig.ra Asia Bibi e ai suoi familiari, mentre chiedo che, al più presto, le sia restituita la piena libertà. Inoltre prego per quanti si trovano in situazioni analoghe, affinché anche la loro dignità umana ed i loro diritti fondamentali siano pienamente rispettati”.

Sempre nel 2010 Il governatore del Punjab, Salmaan Taseer, è andato a visitare Asia Bibi in prigione.

Il quattro gennaio del 2011, per il suo impegno a riformare le norme sulla blasfemia, i fondamentalisti islamici hanno ucciso Salmaan Taseer. Due mesi dopo anche, il cattolico Shahbaz Bhatti, ministro per le Minoranze religiose in Pakistan è stato assassinato da estremisti islamici.

Nel corso del 2012 alcune fonti hanno riferito che Qari Salam, l'uomo che ha accusato Asia Bibi di blasfemia avrebbe dichiarato di aver sporto denuncia sulla base della pressione di alcune donne del villaggio.

Qari Salam non vorrebbe portare avanti l’accusa ma ha paura delle reazioni delle organizzazioni fondamentaliste islamiche.

Per impedire l’assassinio della donna pakistana, “Avvenire” il quotidiano della Conferenza Episcopale Cattolica, ha pubblicato l’8 dicembre in prima pagina una lettera dalla Prigione di Asia Bibi, invitando tutti gli uonmini di buona volontà a scrivere alle autorità pakistane.

Riportiamo di seguito la lettera scritta da Asia Bibi: "Se mi convertissi sarei libera, preferisco morire cristiana".

Scrivo da una cella senza finestre.

Mi chiamo Asia Noreen Bibi. Scrivo agli uomini e alle donne di buo­na volontà dalla mia cella senza finestre, nel modulo di isolamen­to della prigione di Sheikhupura, in Pakistan, e non so se leggerete mai questa lettera. Sono rinchiusa qui dal giugno del 2009. Sono stata con­dannata a morte mediante impiccagione per blasfemia contro il profe­ta Maometto.

Dio sa che è una sentenza ingiusta e che il mio unico de­­litto, in questo mio grande Paese che amo tanto, è di essere cattolica. Non so se queste parole usciranno da questa prigione. Se il Signore miseri­cordioso vuole che ciò avvenga, chiedo (...) di pregare per me e intercedere presso il presidente del mio bellissi­mo Paese affinché io possa recuperare la libertà e tornare dalla mia fa­miglia che mi manca tanto. Sono sposata con un uomo buono che si chiama Ashiq Masih. Abbia­mo cinque figli, benedizione del cielo: un maschio, Imran, e quattro ra­gazze, Nasima, Isha, Sidra e la piccola Isham.

Voglio soltanto tornare da loro, vedere il loro sorriso e riportare la serenità. Stanno soffrendo a cau­sa mia, perché sanno che sono in prigione senza giustizia. E temono per la mia vita. Un giudice, l’onorevole Naveed Iqbal, un giorno è entrato nel­la mia cella e, dopo avermi condannata a una morte orribile, mi ha of­ferto la revoca della sentenza se mi fossi convertita all’islam. Io l’ho rin­graziato di cuore per la sua proposta, ma gli ho risposto con tutta one­stà che preferisco morire da cristiana che uscire dal carcere da musul­mana. «Sono stata condannata perché cristiana – gli ho detto –. Credo in Dio e nel suo grande amore. Se lei mi ha condannata a morte perché amo Dio, sarò orgogliosa di sacrificare la mia vita per Lui».

Due uomini giusti sono stati assassinati per aver chiesto per me giusti­zia e libertà. Il loro destino mi tormenta il cuore. Salman Taseer, gover­natore della mia regione, il Punjab, venne assassinato il 4 gennaio 2011 da un membro della sua scorta, semplicemente perché aveva chiesto al governo che fossi rilasciata e perché si era opposto alla legge sulla bla­sfemia in vigore in Pakistan. Due mesi dopo un ministro del governo na­zionale, Shahbaz Bhatti, cristiano come me, fu ucciso per lo stesso mo­tivo. Circondarono la sua auto e gli spararono con ferocia.

Mi chiedo quante altre persone debbano morire a causa della giustizia. Prego in ogni momento perché Dio misericordioso illumini il giudizio delle nostre autorità e le leggi ristabiliscano l’antica armonia che ha sempre regnato fra persone di differenti religioni nel mio grande Pae­se. Gesù, nostro Signore e Salvatore, ci ama come esseri liberi e credo che la libertà di coscienza sia uno dei tesori più preziosi che il nostro Creatore ci ha dato, un tesoro che dobbiamo proteggere. Ho provato u­na grande emozione quando ho saputo che il Santo Padre Benedetto XVI era intervenuto a mio favore. Dio mi permetta di vivere abbastan­za per andare in pellegrinaggio fino a Roma e, se possibile, ringraziarlo personalmente.

Penso alla mia famiglia, lo faccio in ogni momento. Vivo con il ricordo di mio marito e dei miei figli e chiedo a Dio misericordioso che mi per­metta di tornare da loro. Amico o amica a cui scrivo, non so se questa lettera ti giungerà mai. Ma se accadrà, ricordati che ci sono persone nel mondo che sono perseguitate a causa della loro fede e – se puoi – prega il Signore per noi e scrivi al presidente del Pakistan per chiedergli che mi faccia ritornare dai miei familiari. Se leggi questa lettera, è perché Dio lo avrà reso possibile. Lui, che è buono e giusto, ti colmi con la sua Grazia.

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