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di don Aldo Rossi
Giovedì 4 agosto 1859 vola verso il Cielo colui che doveva diventare l’esempio per tutti i sacerdoti: san Giovanni Maria Battista Vianney, detto più comunemente il santo Curato d’Ars. Il Papa san Pio X lo beatifica nel 1904, Pio XI lo canonizza nel 1925 e lo proclama patrono di tutti i parroci del mondo nel 1929. Il Papa Giovanni XXIII nel centenario (1959) con la lettera enciclica Sacerdotii Nostri Primordia lo ripropone come modello di tutti i pastori. Giovanni Paolo II lo dichiara «modello senza pari» e quest’anno il 19 giugno (festa del Sacro Cuore) Benedetto XVI nel 150° anniversario indice l’Anno Sacerdotale durante il quale lo proclamerà “Patrono di tutti i sacerdoti del mondo”. Provvidenzialmente la nostra Santa Madre Chiesa ci ha posto davanti agli occhi la figura di questo santo al momento della più grande crisi sacerdotale che abbia conosciuto la storia.
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di Marcello Caruso Spinelli
«Operare è bene, pregare è meglio,ma la miglior cosa è soffrire»
Don Edoardo Poppe nasce a Temsche, nelle Fiandre, il 18 dicembre 1890, terzo di undici figli. La famiglia è profondamente cristiana. Il padre, panettiere, lavora dal mattino fino a tarda notte per mantenere la numerosa famiglia. Gran lavoratore e dolce di carattere, accetta senza lamentarsi la pesante fatica perché «è necessario rassegnarsi sempre alla volontà di Dio». La madre, dal carattere energico, guida ed educa i figli, rendendoli docili «anche se avessero avuto la testa fatta di pietra dura».
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Non si può definire il sacerdote senza il sacrificio né il sacrificio senza il sacerdote. Essi sono legati essenzialmente. Il sacerdote è fatto per il sacrificio[10] e non può esserci sacrificio senza sacerdote. Occorre quindi riflettere su cos’è il sacrificio per sapere esattamente cos’è il sacerdote. Il sacrificio è un qualcosa di misterioso, profondo, divino. E’ un tesoro sul quale potete meditare per tutta la vostra vita sacerdotale, senza che sia esaurito al momento della vostra morte. Solo nell’al di là capiremo bene cosa sia questo sacrificio di Nostro Signore che rinnoviamo tutti giorni sull’altare[11]. Già nel Vecchio Testamento, il grande sacerdote entrava ogni anno nel Santo dei santi e, come dice san Paolo (Eb. 9, 7-11), non entrava senza il sangue delle vittime. Questa è un’immagine di ciò che sarebbe stato in futuro il sacrificio di Nostro Signore. Neanche Lui, il Santo per eccellenza, sarebbe entrato nel tabernacolo che non era opera dell’uomo senza il suo sangue prezioso[12]. Ed è quello che fa il sacerdote oggi, riproduce il sacrificio di Nostro Signore facendo discendere sull’altare il suo sangue, il sangue dell’espiazione, della riparazione e della Redenzione. Quanto è più grande, quanto più efficace, quanto più sublime, quanto più divino è il sacrificio che i sacerdoti offrono oggi di quello che un tempo offriva il grande sacerdote una volta l’anno, quando penetrava nel Santo dei santi[13]!
1. Il sacerdozio di Cristo
La definizione forse più bella, più completa del sacerdozio di Cristo si trova nell’epistola di san Paolo agli Ebrei. Tutta la prima parte di essa è destinata a farci conoscere cosa sia il sacrificio di Nostro Signore. E’ davvero meravigliosa. San Paolo è stato certamente ispirato quando scriveva queste pagine. Egli mostra innanzitutto che Gesù è superiore agli angeli (Eb. 1, 4-14 e 2). Poi spiega che Gesù è superiore a Mosè, il maggiore dei profeti (Eb. 3). Mentre Mosé balbettava il Nome di Dio, Gesù è la Parola sostanziale, il Verbo eterno, disceso fino a noi per salvarci. I segreti dei cuori sono messi a nudo ai suoi occhi. Ben superiore quindi a quel che poteva essere Mosè. In terzo luogo, Gesù è incomparabilmente superiore ai grandi sacerdoti dell’antica Legge. Il sacerdozio di Cristo è in effetti il più perfetto che si possa concepire[14] . Donde gli viene queste perfezione? Lo vediamo facilmente considerando la triplice unione del sacerdote con Dio, con la vittima che offre e con il popolo per il quale la offre. Più il sacerdote è unito a Dio e più il suo sacrificio è perfetto; più è unito alla vittima e più ugualmente il suo sacrificio è perfetto. Infine, più è unito al popolo con il quale lo offre e più il suo sacrificio è perfetto. Quindi, più il sacerdote sarà unito a Dio, più il sacerdozio sarà perfetto, poiché il sacerdote deve supplire con la sua santità all’imperfezione dell’adorazione, della riconoscenza, dell’espiazione e della supplica del popolo, come spiega san Tommaso. Più la vittima sarà pura, preziosa ed interamente consumata in onore di Dio, più il sacrificio sarà perfetto. L’olocausto era il più perfetto dei sacrifici della vecchia Legge perché tutta la vittima era consumata in onore di Dio, per significare che l’uomo deve offrirsi a lui interamente. Più il sacerdote e la vittima saranno uniti, più il sacrificio sarà perfetto, poiché l’oblazione e l’immolazione esteriori della vittima non sono che il segno dell’oblazione e dell’immolazione interiori del cuore del sacerdote che compie in tal modo l’atto più grande della virtù di religione. Infine, più il sacerdote ed il popolo saranno uniti, più il sacerdozio sarà perfetto, poiché il sacerdote deve riunire tutte le adorazioni, rendimenti di grazie, preghiere, riparazioni dei fedeli in un’unica elevazione a Dio. E’ sufficiente applicare questi principi al sacerdozio di Nostro Signore per concludere immediatamente che è il maggiore di tutti quelli che si possano concepire. Infatti, Gesù Cristo sacerdote non è soltanto puro da ogni colpa originale e personale, da ogni imperfezione, ma è la Santità stessa. Non è possibile immaginare un sacerdote più unito a Dio. E’ egli stesso Dio grazie alla sua unione ipostatica[15]. Di conseguenza, grazie alla sua unione con Dio, non può che essere il sacerdote più perfetto. Non può esistere un’unione più perfetta tra Nostro Signore, sacerdote, e la sua vittima. La vittima è egli stesso(Ep 5,2) e non si può immaginare una vittima più perfetta di Nostro Signore. Anche qui, Egli è la perfezione assoluta, che supera tutto quanto si possa immaginare. L’unione tra il sacerdote e la vittima non può essere più intima, il legame del sacrificio esteriore e di quello interiore non può essere più stretto, poiché è il sacerdote stesso ad essere vittima[16], non solo nel suo corpo, ma nel suo cuore e nella sua anima. Il suo dolore più intenso è generato dalla sua carità alla vista del male immenso che ha la missione di cancellare. Questa unione tra il sacerdote e la vittima si è manifestata sempre di più nell’ultima Cena, al Calvario e dopo la Resurrezione. L’eucaristia, nel Cenacolo, è l’inizio della Passione; ne è anche la conseguenza. Quindi, il sacerdote e la vittima non possono essere uniti più perfettamente che in Nostro Signore immolato per noi. Infine, neppure l’unione tra il sacerdote ed il popolo fedele può essere maggiore che in Nostro Signore, perché egli è il capo del corpo mistico. Non può esistere un unione più grande che quella che vi è tra le membra ed il capo del corpo mistico perché noi siamo uniti a lui, nel corpo mistico, tramite la partecipazione alla sua grazia. E’ quindi Gesù, in qualche modo esteso al corpo mistico, che offre il sacrificio[17].
San Paolo e quindi lo Spirito di Dio, che gli ha dettato queste parole, afferma: “Il sacerdote, che è scelto tra gli uomini, è costituito sacerdote per gli uomini” (Eb. 5,1). Facciamo attenzione a questa prima affermazione, che potrebbe forse giustificare il nuovo orientamento che si vuole dare al sacerdote oggi: un uomo costituito solo per gli uomini. Ma che dice dopo san Paolo? Precisa: “per gli uomini, per ciò che riguarda il culto di Dio” (Eb. 5,1). E’ costituito per gli uomini, senza dubbio, ma nelle cose che sono di Dio, per condurli a Dio. E’ questa la finalità del sacerdozio[18]. San Paolo prosegue: “Affinché offra doni e compia il santo sacrificio per la Redenzione dei peccati” (Eb. 5,1). Ed aggiunge anche: “Poiché è egli stesso soggetto a debolezza, deve compatire ed essere indulgente con coloro che sono nell’errore e nell’ignoranza” (Eb. 5,2). Lì si trova tutto il segreto del sacramento della penitenza. Il sacerdote è quindi costituito per offrire il santo sacrificio e diffondere le grazie del sacrificio, in modo particolare tramite il sacramento della penitenza, per chinarsi su coloro che sono nell’errore e nell’ignoranza. Dato che egli stesso è peccatore, deve offrire il santo sacrificio per i suoi propri peccati e non solo per i peccati del popolo di Dio. Vedete che in poche righe, san Paolo ha riassunto ciò che costituisce l’essenza stessa del sacerdote. Allora, è importante che tutti quelli che sono chiamati a salire all’altare per ricevere un’ordinazione che li prepara ad offrire questi sacri misteri di Nostro Signore Gesù Cristo meditino queste parole di san Paolo. Devono sapere che anche loro sono deboli, e tuttavia Dio li ha scelti. E’ ancora san Paolo a dirlo: “Nessuno si attribuisce da se stesso questo onore; ma ci si è chiamati come Aronne” (Eb. 5,4), come i leviti, per offrire il vero sacrificio di Nostro Signore Gesù Cristo[19]. Quale mistero! Dio che vuole scegliere degli esseri umani per santificare gli uomini, per consacrarli alla continuazione della sua opera di Redenzione affidando loro il suo proprio sacrificio! E’ questo un grande mistero d’amore, di carità verso di noi e tutti quelli che attraverso il sacerdozio, nel corso dei secoli, riceveranno grazie di santificazione[20].
Mons. Marcel Lefebvre
La sainteté sacerdotale p. 191 e ss.
[10] Somma teologica, III, q. 63, a. 6; III, q. 82, a. 1.
[11] Omelia, Écône, 8 dicembre 1987.
[12] “ Il Nostro Dio e Signore [si è offerto] egli stesso una volta per tutte a Dio Padre sull’altare della croce con la sua morte, per realizzare per [noi] una Redenzione eterna” (concilio di Trento, 22ª sessione, 17 settembre 1562, dottrina sul sacrificio della messa, c. 1, DS 1740).
[13] Omelia, Écône, 27 settembre 1986.
[14] Somma teologica, III, q. 22, a. 1 e 4; q. 48, a. 3. Vedi ugualmente sant’Agostino, 1. VI, De Trinitate, c. 14; e sant’Alberto Magno, De Eucaristia, D.V, c. 3. Ed. Borgnet, 1899, t. 38, p. 387.
[15] Somma teologica, III, q. 2, a. 6. L’unione ipostatica designa l’unione sostanziale della natura divina e della natura umana in una sola persona, la persona stessa del Verbo, seconda persona della Santa Trinità.
[16] Somma teologica, III, q. 22, a.2.
[17] Ritiro, Écône, 22 settembre 1978.
[18] Omelia, Écône, 29 giugno 1975.
[19] Omelia, Écône, 1° novembre 1980.
[20] Omelia, Écône, 16 aprile 1987.
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L’Incarnazione e la Redenzione continuate
Per sapere cos’è il sacerdote basta leggere il Vangelo. E’ sufficiente considerare cos’è Nostre Signore Gesù Cristo, il sacerdote per eccellenza, per comprendere cosa sono i sacerdoti oggi.
Gesù ce lo dice in questa frase così corta e semplice: “Come il padre mi ha mandato, così io mando voi” (Gv 20,21). Se riflettessimo soltanto qualche istante alla prima parte di questa frase: “come il Padre mi ha mandato”, capiremmo che Gesù parla della missione eterna nella SS. Trinità. Il Figlio è da sempre inviato dal Padre perché procede dal Padre. Egli è dal Padre generato da tutta l’eternità ed è per questo il Verbo di Dio. Allo stesso modo lo Spirito santo è inviato dal Padre e dal Figlio e è questo che costituisce la terza persona della SS Trinità.
Questa missione eterna del Figlio di Dio, continua nella sua missione temporale che è il fine di tutta la creazione. Il mondo intero che ci circonda, le meraviglie della natura, gli astri e tutto ciò che esiste: noi stessi, gli angeli e gli eletti del Paradiso; tutto fu creato per la missione di Nostre Signore Gesù Cristo. Tutto fu creato perché un giorno Gesù venisse sulla terra per cantare la gloria di Dio a nome di tutto l’universo.
Questa fu la missione di Gesù: cantare la gloria del Padre suo nel suo corpo e nella sua anima umana, riunendo così, per la sua divinità tutto ciò che può esserci di più grande di più bello e di più sublime sulla terra.
In quale momento della sua esistenza in questo mondo Gesù ha espresso ( maggiormente) questa gloria, questa carità infinita che aveva per suo Padre? Lui stesso ce lo ha detto, è stato nell’ora più sublime della sua vita: sulla Croce. Fu nel momento in sui esalò il suo ultimo respiro che rese al Padre la più grande gloria; “Tutto è consumato” (Gv 19,30) –disse - , e aggiunse: “Nelle tue mani rimetto il mio spirito” ( Lc 23,46). Fu questo il più grande atto di carità che posso mai esistere. Tutti i nostri atti di carità sono niente in confronto a quello di Nostro Signore. Dio Padre è stato glorificato dalla Passione e morte di Nostro Signore. Per la sua morte era la vita che ritornava nel mondo, la via del Paradiso, la via della salvezza era per noi tutti aperta. (Omelia a Ecône, 29 giugno 1978)
Ora, se Nostro Signore Gesù Cristo ha voluto istituire il sacramento dell’ordine, è per continuare la sua Incarnazione e la sua Redenzione in mezzo a noi.
Il grande progetto che la SS. Trinità ha previsto da tutta l’eternità consiste a farci partecipare all’Incarnazione e alla Redenzione di Gesù Cristo per l’unione al suo sangue, alla sua anima e alla sua divinità. Il sacramento dell’ordine è così importante nella Chiesa perché permette a Gesù Cristo di prolungare la sua Incarnazione. Non è forse vero che per il santo sacrificio della Messa Gesù continua la sua Incarnazione? Non si può dire che Gesù sia presente nella SS Eucaristia come nelle sue carni mortali, non si può dire che sia presente insieme alla sostanza del pane. L’eucaristia è un cambiamento di sostanza, una transustanziazione. Gesù è quindi presente nell’eucaristia con la sua sostanza e prolunga così la sua Incarnazione. La prolunga con la sua presenza reale. Egli vuole in qualche modo incarnarsi in noi, povere creature peccatrici per trasformarci, riscattarci e purificarci con il suo sangue, unirci a lui e prepararci alla vita eterna.
Per questo il sacramento dell’ordine è così bello, così grande. Non vi è niente che permetta di avvicinare Dio, di comprenderlo come il santo sacrificio della Messa e da questo viene l’importanza del sacerdozio.
Non siamo noi ad aver inventato il sacerdozio di Gesù Cristo né il sacramento dell’ordine. Possiamo realmente sapere cos’è il sacerdozio, soltanto riferendoci a ciò che Nostro Signore ha fatto e a quello che la Chiesa ha sempre insegnato.
Tutto scaturisce da questo. Le virtù, il carattere sacerdotale, tutti i poteri del prete provengono da questo: il sacerdote è fatto prima di tutto per il sacrificio. Per questo, il giorno della loro ordinazione i giovani sacerdoti offrono il santo sacrificio della Messa con il vescovo che insegna loro come a balbettare, in un certo qual modo, per la prima volta le parole misteriose e sublimi del santo sacrificio della messa di cui il popolo fedele ha il più gran bisogno. (Omelia a Ecône, 29 giugno 1975)
E’ questo la via che i sacerdoti sono invitati a seguire. “Come il Padre mi ha mandato, così io mando voi” (Gv 20,21) Vi invio per continuare la mia missione e poiché io l’ ho compiuta con un atto di amore infinito sul Calvario, é questo il cammino che dovete seguire. Dovete salire all’altare, offrire il sacrificio, continuare ad offrire quell’atto d’amore infinito che io ho offerto al Padre, ecco cosa dovete fare.
Quale grazia! Ne siete degni, Siamo noi degni di salire all’altare? Se consideriamo noi stessi, mai potremmo pretendere ad un tale atto sublime, ad una tale gloria ed una tale partecipazione q colui che è il Sacerdote per l’eternità, il gran Sacerdote. Ma, per la grazia di Dio, la grazia ricevuta il giorno dell’ordinazione sacerdotale, si, il prete è degno, di fronte a Dio e agli angeli di offrire il santo sacrificio della Messa; di far scendere, con la sua assoluzione, il sangue di Nostro Signore Gesù Cristo sulle anime per riparare i loro peccati; di versare sulla fronte dei bambini l’acqua del battesimo, perché possano essere battezzati e resuscitati nel sangue di Gesù. Ecco quali sono i poteri che il vescovo da al sacerdote il giorno della sua ordinazione. Ecco così la missione di Nostro Signore continuata nel tempo. (Omelia a Ecône, 29 giugno 1978)
Il sacerdote: l’inviato da Dio
Che gioia per noi sacerdoti cattolici, di essere sicuri della nostra vocazione e della nostra missione. Non vi ombra di dubbio. La Chiesa ci sceglie e ci invia come Gesù ha inviato gli apostoli, poiché i nostri vescovi sono i successori degli apostoli. Non vi è alcuna discontinuità, nessuna spaccatura nella loro successione. Noi siamo veramente inviati, non siamo degli usurpatori. Non siamo noi che ci attribuiamo una missione, ma la Chiesa, fedele custode dei poteri affidatigli da Nostro Signore. Non siamo quindi né protestanti, né scismatici, ma sacerdoti autentici, inviati dal Padre del Cielo.
Stiamo attenti a non minimizzare la nostra vocazione, di non tener conto o tenere a poco conto dell’autenticità della nostra missione. Lontano da noi il pensiero di stimare allo stesso modo il pastore, il marabù o il prete scismatico ed il sacerdote cattolico o di metterli sullo stesso piano. Certo, ciò non deve essere cagione di orgoglio, di mancanza di bontà nei confronti degli infedeli, ma crediamo fermamente che noi soli siamo i rappresentanti di Gesù Cristo, che noi soli siamo i dispensatori dei misteri di Dio. (1 Cor 4,1)
Consideriamo come Gesù ha in stima la sua missione, come tiene caro al suo titolo di inviato. Tutto il valore della sua predicazione dipende da questa missione. Nostro Signore afferma chiaramente che è il Messia, Messias, Missus. Lo afferma esplicitamente: “Sono sceso dal Cielo, non per fare la mia volontà ma la volontà di colui che mi ha mandato” (Gv 6,38) “Io non sono venuto da me stesso, ma colui che mi ha mandato è verace e voi non lo conoscete. Io però lo conosco, perché vengo da lui ed è stato lui a mandarmi». (Gv 7,28-29), “perché io sono proceduto e sono venuto da Dio; non sono venuto infatti da me stesso, ma è lui che mi ha mandato.” (Gv 8,42)
La difesa umile ma forte, energica e imperturbabile della sua missione, contro i farisei che l’insultano rifiutando di credere a questa missione è una delle cose più sublimi del Vangelo. Quale serenità, quale calma e che possesso della verità si manifestano in Gesù! Essa disarma tutti i suoi nemici: «Fino a quando ci terrai con l’animo sospeso? Se tu sei il Cristo, diccelo apertamente». Gesù rispose loro: «Io ve l’ho detto, ma voi non credete; le opere che faccio nel nome del Padre mio, sono quelle che testimoniano di me». (Gv 10,24-25)
Questa missione Gesù la trasmette come un tesoro prezioso ai suoi apostoli e ai suoi discepoli che credono in lui: “Io ho manifestato il tuo nome agli uomini che tu mi hai dato dal mondo; erano tuoi, e tu me li hai dati; ed essi hanno osservato la tua parola. Ora essi hanno conosciuto che tutte le cose che tu mi hai dato vengono da te, perché ho dato loro le parole che tu hai dato a me; ed essi le hanno accolte e hanno veramente conosciuto che io sono proceduto da te, e hanno creduto che tu mi hai mandato”. (Gv. 17, 17-18) Gesù chiede al Padre di fare per essi ciò che ha fatto per lui: “ Santificali nella tua verità, la tua parola è verità, come tu hai mandato me nel mondo, così ho mandato loro nel mondo”. (Gv 17, 17-18) Testimoni di Cristo, ecco cosa siamo, ecco ciò che voi sarete. San Pietro lo proclama per primo: “Questo Gesú, Dio lo ha risuscitato; e di questo noi tutti siamo testimoni” (Att. 2,32). San Giovanni predica Gesù Cristo: Noi vi annunciamo “quel che era dal principio, quel che abbiamo udito, quel che abbiamo visto con i nostri occhi, quel che abbiamo contemplato e che le nostre mani hanno toccato della Parola della vita” (Gv 1,1). San Paolo lo manifesta ugualmente: “Noi infatti non predichiamo noi stessi, ma Cristo Gesù, il Signore”. (2Cor. 4,5)
Mons. Marcel Lefebvre
La sainteté sacerdotale, Ed. Clovis, 2008, pp 185-196