Predica di don Chautard all'inizio del Pellegrinaggio della Pentecoste, Chartres, 16 maggio 2016
Nel nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo
Signor Superiore
Cari confratelli. Sorelle pellegrini e miei cari fratelli,
L’anno 2016 è l’occasione di celebrare tre ricorrenze la salita al Cielo di San Luigi-Maria Grignion de Monfort, la fondazione dell’Ordine di San Domenico, tanto segnati dall’amore per i peccatori perduti nell’eresia, e la devozione alla Vergine del Rosario. Infine, quest’anno segna il 25esimo anniversario della morte di Mgr Lefevbre.
La nostra epoca è ghiotta di anniversari, di commemorazione, di ricordi, come se nel caos delle anime esse cercassero un ancoraggio. Ed è probabile che a volte anche noi siamo alla ricerca di punti di riferimento.
E per questo che l’epitaffio di Mgr Lefvbre, tratto da San Paolo, “Tradidi quod et accepi”- ho trasmesso ciò che ho ricevuto, ci riporta alla mente la ricchezza dell’eredità e la necessità della sua trasmissione. Venticinque anni dopo, fa bene tornare sulla sua testimonianza, sul testamento che ha voluto scrivere nella pietra per i suoi figli e le sue figlie.
Saper ricevere l’eredità
Quod et accepi, quello che ho ricevuto. Miei cari fratelli, noi siamo degli eredi. Eredi di Dio, eredi della Croce di Gesù Cristo, co-eredi del cielo, eredi di una cristianità una volta gloriosa, eredi della bella Tradizione cattolica edificata dai nostri avi. Dobbiamo essere riconoscenti, infinitamente riconoscenti a Dio di questa eredità ma, dopo aver ringraziato Dio, dobbiamo saper ricevere questa eredità, conservarla e capirne l’importanza.
Miei cari fratelli, teniamoci alla larga da quel tipo di complesso che ha invaso i cattolici e che potrebbe raggiungere anche noi.Con il pretesto dell’umiltà, della carità e della verità si sono fatti complessare i cattolici.
Si è loro rimproverata una dottrina caratterizzata da fissità, una morale intransigente, una pietà desueta, una concezione troppo meschina della famiglia e dell’amore. Hanno sporcato la memoria dei padri, hanno nutrito la vergogna dei figli. Hanno calpestato la Tradizione. Purtroppo, un gran numero di cattolici si è fatta conquistare e destabilizzare da questi ripentimenti, da questa autocritica che ne ha fatto spesso dei dhimmi, dei vinti, degli uomini pronti al compromesso, pronti a disprezzare quello che amavano e ad amare quello che disprezzavano.
Il padre Charles de Foucald, morto da un secolo, pronunciò queste parole profetiche: “Avevo creduto entrando nella vita religiosa che avrei dovuto spesso consigliare la dolcezza e l’umiltà; con il tempo ho visto che quello che manca più spesso sono la dignità e la fierezza.”
O Christiane, agnose dignitatem tuam, diceva San Leone Magno. O cristiano, riconosci la tua dignità. Si, sei il figlio di Dio e non di abdallah, sei della razza dei figli di Dio e non degli schiavi di Dio.
Dobbiamo dunque essere fieri dell’eredità dei nostri padri, dal momento che si tratta di un vero e proprio tesoro: un tesoro rappresentato dalla fede cattolica, dalla messa di sempre, dal sacerdozio cattolico, dalla dottrina di san Tommaso d’Aquino, da– soprattutto in Francia – un autentico pensiero contro-rivoluzionario forgiato nei combattimenti dei nostri antenati, dalla vera pietà verso Maria, dalla devozione al Sacro Cuore, dagli esercizi spirituali. Tesoro rappresentato ancora dalla vita religiosa, contemplativa, missionaria, insegnante. Per non parlare di questa miriade di opere che sono fiorite e rifiorite, queste scuole primarie secondarie e superiori, questi movimenti della gioventù, questi terzi ordini, queste opere apostoliche, questi cerchi di studi ovunque nel mondo, segno evidente dell’amore de Dio e il soffio dello Spirito Santo che agisce suaviter ac fortiter. Con dolcezza ma con forza.
Si, miei fratelli, dobbiamo esser fieri di questa dottrina cattolica che ha attraversato i secoli perché parla di Eternità, dobbiamo esser fieri di questa morale cattolica, le cui esigenze non sono che i riflessi della nostra elevazione alla filiazione divina.
Siate fieri, cari genitori, di trasmettere la vita e forgiare l’anima cristiana dei figli di Dio. Padri di famiglia, insegnate ai vostri figli! Padri di famiglia, trasmettete ai vostri figli! Padri di famiglia, fate vostra questa parola di San Pietro: sappiate rendere ragione della vostra speranza, delle vostre scelte, delle vostre posizioni, della vostra vita.
Siate fieri, sposi cattolici, di essere le immagini viventi e fedeli dell’amore di Cristo per la sua Chiesa.
Siate fiere donne cristiane, di avere più cura del cuore che del corpo.
Siate fieri, cari fedeli, chiunque voi siate, di essere cattolici. E non siate spaventati da questo spaventapasseri che a volte ci viene sventolato davanti, che noi non saremmo interamente cattolici, che non avremmo lo spirito della Chiesa. Che ci diano o no un documento di “cattolicità”, noi lo siamo e lo siamo pienamente, totalmente. E questo diploma di cattolicità, è il nostro attaccamento alla fede romana, alla liturgia romana, ai sacramenti della Chiesa, è la nostra fedeltà inalterabile al seggio di Pietro- fedeltà fondata sulla fede e non su un’obbedienza volontarista: questo diploma di cattolicità siete voi, care famiglie numerose, siete voi famiglie profondamente cristiane da cui nascono solide vocazioni religiose e sacerdotali.
Chi più di voi, cari fedeli, aderisce alla dottrina della Chiesa? Chi più di voi è attaccato alla Roma eterna, alla liturgia di San Gregorio Magno, di San Pio V e di san Pio X? Chi più di voi riceve sacramenti validi e incorrotti? Saremmo forse meno cattolici perché siamo stati rigettati da quelli che hanno dilapidato l’eredità?
Certo, non possediamo nessuno scritto canonico e la legalità almeno letterale è una gran buona cosa. Senz’altro ma saremmo forse meno cattolici perché non abbiamo le carte in regole? E per questo che rispettiamo meno il diritto della Chiesa? Sto per dire una follia. Il diritto della Chiesa, lo possediamo molto più di quelli che tramite leggi perniciose distillano errori moderni che separano ciò che Dio ha unito.
Dicendo questo, io non intendo evidentemente dire che la santità si trova in ogni angolo della Tradizione e che il male è impensabile tra di noi. Ma al giorno d’oggi nessun uomo ha ancora scoperto un ordine di cose che metta al riparo dagli abusi. Una cosa è l’eredità, un’altra è l’erede. E anche se non siamo migliori degli altri, abbiamo ricevuto molto di più, dal momento che portiamo come dice l’apostolo dei tesori nei nostri vasi d’argilla. E se noi stessi siamo soggetti alle debolezze, alle cadute, noi apparteniamo al campo del vincitore. Coraggio, piccolo gregge, ho vinto il mondo.
Ricevere un’eredità, è viverne. Noblesse oblige.
Noi abbiamo tutto, miei cari fratelli. Tutto o quasi. Noi siamo dei bambini viziati da Dio. E la minaccia per i bambini viziati, è diventare indifferenti, è dare per scontata la ricchezza ricevuta. Non bisogna disprezzare i doni del Cielo, diceva il poeta. Ricevere l’eredità, non è dunque mummificarla, seppellirla sotto terra come il talento del Vangelo, ma è viverne. Noblesse oblige.
Non cadiamo come quei cattolici conformisti degli anni 50 che avevano tutto, che moltiplicavano le opere di ogni sorta ma che erano passati accanto all’essenziale, senza comprendere tutta la ricchezza che avevano tra le mani. Allora, noi che abbiamo questa ricchezza, come dobbiamo vivere questa eredità? Come farla fruttificare? Può essere che il buon Dio susciti delle nuove opere nella nostra bella Tradizione? Può darsi? Ma ricordiamoci soprattutto le parole di Nostro Signore a Santa Marta. “Una sola cosa è necessaria” Ed ecco quello che conta per la Chiesa di oggi, per la Francia, per noi: la Santità.
Non è un surplus di comunicazione o di tecnica che cambierà il mondo
Sono anime, anime di fuoco, che vivono di questa eredità, che ne fanno l’anima della loro vita, Ma affinché brucino, queste anime devono essere accese dal fuoco dello Spirito Santo. Inviate il vostro Spirito, Signore, e vi sarà una nuova creazione. Solo il fuoco dello Spirito Santo rischiarerà ciò che è confuso, infiammerà ciò che è freddo, piegherà ciò che è rigido, raddrizzerà ciò che è deviato, diffonderà nei nostri cuori questo amore di Dio che niente e nessuno potrà portarci via.
Fratelli miei, le prove che colpiscono la società, i nostri paesi, la Chiesa, le nostre vite, potrebbero portarci ad essere stanchi del combattimento, ad abbassare le braccia e a cadere nell’amarezza. “Il male più grande, diceva il padre Calmel, che possa farci il mondo, il male, che è di non farci soffrire, è di riportarci al suo livello.” E dunque un accrescimento della vita interiore ciò a cui Dio ci chiama. E per avere più umiltà, più povertà, più purezza, più distacco dai beni di questo mondo e soprattutto più vita interiore, più amore di Dio, che faremo fruttificare queste ricchezze, che faremo fruttificare questo talento, questa eredità. E la Santa Vergine appare in questo caso il modello per eccellenza. Maria canta le ricchezze del Signore, e Maria vive questa vita interiore. Il Vangelo ci parla di tutti quei gesti, di tutte quelle parole di Nostro Signore. Maria che cosa ne faceva? Le meditava nel suo cuore senza perderne neanche una briciola. Maria era un’anima riflessiva puntata interamente su Dio.
Ecco a che cosa siamo chiamati ed ecco a che cosa ci chiama San Luigi Maria Guignon de Montfort invitandoci a prendere Maria come modello. Comprendiamo bene, cari fratelli, che per avere questa vita interiore non si tratta di moltiplicare le pratiche di pietà. Ce ne vuole certo un’adeguata quantità. Ma non è questo l’essenziale. Si tratta di una preghiera tutta interiore, di uno slancio dell’anima verso Dio, di una vita cristiana tutta diretta verso l’unione con Dio. Malgrado tutta la loro generosità, dei cristiani che non sapessero superare lo stadio di un paternoster recitato a fior di labbra, questi cristiani sarebbero dei ben poveri apostoli. Non c’è che una sola differenza tra un sepolcro imbiancato e un tempio dello spirito Santo: ciò che lo abita.
Ah se ciascuno di noi, fratelli miei, potesse ogni giorno mettersi qualche istante alla presenza di Dio e pregarlo nel silenzio della sua anima, con tutto il tuo cuore, tutto il suo amore di bambino. Fratelli miei, la vera vita è all’interno della nostra anima. Dio abita la nostra anima, noi abbiamo la santità in noi. E questa la realtà. Tutto il mondo che abbiamo attorno a noi, questo mondo sparirà. Ma questo luogo che abbiamo dentro la nostra anima, questa è la realtà, non dimentichiamolo. Non perdiamo di vista l’essenziale. E se noi viviamo di questo, allora questa eredità risplenderà perché ricever un’eredità vuol dire impegnarsi a trasmetterla integralmente fedelmente e intelligentemente. Tradidi: ho trasmesso. E’ dunque ad uno spirito missionario che ci invitano queste parole dell’apostolo e questi tre atleti di Dio che commemoriamo quest’anno, san Lugi Maria San Domenico e Mgr Lefebvre.
Si tratta di trasmettere questa eredità a un mondo scombussolato, che non sa più credere, che non sa se bisogna credere, ad un mondo che non sa più o non vuole più regole, che ignora sempre di più la fedeltà dell’amore, ad un mondo di adolescenti che non ha più punti fermi perché non ha più dei padri.
Ed è per questo che dobbiamo ricordare a questo mondo che Dio l’ha tanto amato da dargli il suo unico Figlio, è per questo che dobbiamo ricordare questa paternità di Dio, non di un Dio bonaccione e liberale, ma di un Dio che ama i suoi figli e che poiché li ama insegna loro e mostra loro il fine da raggiungere, dà loro dei punti di riferimento e delle regole per vivere bene, che ha per ciascuno dei suoi figli un disegno particolare , che non esita a correggere i suoi figli ed a punire gli ingrati.
Fratelli miei, questa fede noi la abbiamo, queste regole morali le conosciamo, questi mezzi di salvezza li possediamo. Allora sta a noi trasmettere quest’ eredità che possediamo a tutte le anime di buona volontà.
E come trasmetterla? La parola d’ordine è autenticità. Con una parola netta, non dura né senza appello ma chiara e benevolente lontana dal linguaggio della retorica, da questo quotidiano oceano di menzogne. E venuta l’ora di essere autentici e di vivere in maniera conforme alla nostra fede. Che la vostra luce brilli tra gli uomini, affinché vedendo le buone opere glorifichino vostro padre che è nel cielo. “Noi vorremmo, diceva Pio XII alla gioventù italiana, che nessuno parlasse con voi, trattasse o lavorasse con voi senza riceverne nello spirito un raggio di luce cristiana. Il primo pegno del vostro apostolato sarà possedere in abbondanza il tesoro dell’amore di Dio.”
E mostrando ai nostri contemporanei una vita più pacificata, più amabile, più diritta, più povera, più nutrita della contemplazione di Dio, è mostrando un’anima né rigida né amara che saremo apostoli.
Per riprendere le parole di Padre Calmel, bisogna che ciascun cristiano, che ciascuno di noi vada fino alla fine della grazia, che ciascuno al suo posto, secondo le leggi particolari della sua missione, soldato o maestro, agricoltore o magistrato o piccolo impiegato o sacerdote che ciascuno vada fino alla fine delle sue possibilità e del suo potere.
E cari ragazzi e ragazze che siete qui numerosi e avete camminato con coraggio e trasporto durante questi tre giorni abbiate l’ambizione di non appartenere ad una gioventù rammollita avvilita, senza punti di riferimento, pronta ad accettare solo una vita confortevole e edonista, non accontentatevi neanche di una vita divisa, per metà mondana e per metà cristiana, non abbiate il cuore diviso tra Dio ed il mondo ma imparate a darvi, a prendere posizione, a vincere, a prendere lo slancio, a conservare la fiamma che un giorno dovrete trasmettere. Voi vedete la Vergine Maria che essendo colma di grazia, essendo l’Immacolata Concezione, essendo dotata di questa santità senza pari che ci ha dato Nostro Signore Gesù Cristo, che ci ha dato il Salvatore, è per noi un modello.
Ed è essendo profondamente pieni di Dio che potremo trasmettere con profondità ciò che abbiamo ricevuto.
Amen.