In questo mese di giugno, mese della Festa del Corpus Domini, del Sacro Cuore e del Sacerdozio, vi proponiamo la lettura di questa bellissima novella di Tito Casini, scrittore toscano profondamente cattolico.
Buona lettura. don Luigi Moncalero
La spiga perduta
Gli ultimi saranno i primi – e questo è vangelo. Ciò che segue, se non è proprio vangelo, potrebbe essere un conferma, una dimostrazione, a modo di parabola, di ciò che dice il Vangelo.
C’era una volta una spiga, anzi tante spighe, addirittura un campo di spighe. Erano ormai mature, la luna era buona e il padrone chiamò a buttarle giù i mietitori. Essi vennero, mieterono con cura il campo, e le spighe giacquero a massette, sopra la stoppia. Con cura, non significa che qualche spiga non vada, fra tante, sparpagliata: a tutto vantaggio degli spigolatori, se non la vede e la raccatta il padrone quando torna con le stroppe a legare… Accade appunto che una spiga, più piccola, nella foga del mietere e distendere il mannello, rimase separata dall’altre. Il padrone andò, dopo che il grano ebbe preso, per terra, un altro po’ di guazza e di sole e riunì in covoni le mannelle, quindi in cavallette i covoni. Ma non raccolse – sia che non la vedesse, sia che, da uomo di cuore, volesse lasciarla ai poveri – la spiga caduta di mano già al mietitore. Essa rimase così per terra insieme a molte altre, sfuggite, come accade, durante il lavoro di legatura e di ammucchiatura… Passarono i poveri, passarono i fratelli di Lazzaro che si contentan delle briciole, e spigolarono il campo con tutta quell’attenzione che il bisogno dettava; ma – una spiga non è che una spiga – nemmeno dai poveri la piccola smarrita fu vista… Essa si doleva, abbandonata così da tutti, pensando che non sarebbe mai diventata pane.
Il pane! Vi è una cosa più degna, più amabile, più preziosa, più meravigliosa, più miracolosa, più improntata di Dio, fra tutte quelle che Dio ha dato al servizio dell’uomo? A somiglianza di Dio il pane è universale: a tutti gli uomini piace, di tutti i paesi, di tutte le età, di tutti i gusti (anzi a tutte le creature, quante han costume di alimentarsi), tutti ne mangiano – il re e il carcerato – e, a somiglianza di Dio, basta da solo a nutrire e piacere, mentre gli altri cibi (anche il miele) sono imperfetti se scompagnati dal pane. Gli altri cibi, anche i più squisiti, se non ti trattieni finiscono per disgustarti, mentre il pane, soddisfatto che t’abbia, ti resta amico, e al termine del banchetto più lauto, quando la vista stessa delle vivande ti noia, il pane solo, nonché gravarti, può col suo casto sapore allettare ancora la tua bocca: immagine anche in questo di Dio, che solo sopravanza al cuore sazio e deluso dal troppo di diletti mondani. Che se l’eccesso del mangiare fu causa al tuo corpo di malattia, il desiderio del pane abbilo per primo indizio della salute che ritorna – così come per l’anima, prostrata dai bagordi del mondo, il desiderio di Dio. Non si chiaman forse con un medesimo nome, «grazia di Dio», l’uno e l’altro alimento, quello per l’anima e quello per il corpo, che il Pater vuole s’impetri quotidianamente dal Cielo?
La spiga, dunque, si doleva, abbandonata così da tutti, pensando che non sarebbe diventata pane. (E divenirlo è così semplice che forma un’altra meraviglia). Con dolore vide, una notte, i carri scender nel campo, e i covoni a poco a poco partir tutti per l’aia; sentì, di lì a qualche giorno, sotto i fuochi del sole il rombo dei correggiati; vide, ai primi freschi serotini, l’aria, sull’aia, tutta fuligginosa di pula; sentì, coll’inoltrarsi della sera, un lieto rumor di voci, di risa, di canti, fra l’aia e le stanze del padrone; vide, poco dopo, per la via al margine del campo, passare e quindi ripassare con la sua mula il mugnaio, un alto e giocondo affanno di stacci, dentro la casa, insieme alle voci della massaia; vide, la mattina seguente, prima che il sol si levasse, levarsi da un camino più basso di quel di casa fumo e faville; sentì, un’ora dopo, una grande fragranza spandersi giù dalla casa per l’aria attorno; e vide quel giorno stesso, un ragazzo, figliolo del padrone, scender nel campo dietro un branchetto di bestie, con in mano un pezzo di pane che gli cantava fra i denti… Povera spiga, e lei perire inonoratamente a quel modo, con tutte le sue granelle, senz’aver fatto di sé lieto nessuno!
Proprio nessuno? Ecco intanto che d’accosto all’abbandonata passò una formica, e uno dei chicchi andò con lei a rallegrare il formicaio; altri toccarono a un topo, altri a un uccelletto… La spiga, contenta di servire a qualcuno, era tuttavia poco meno che intera allorchè dal campo passò un povero prete, povero per la sua gran carità, che tornava giusto allora dalla casa di un bisognoso a cui aveva portato in limosina l’ultimo resto del suo pane. La vide, e, sentendo fame né avendo più che mettere in bocca, la raccattò con molta gratitudine verso il Signore, per cibarsene – al modo degli Apostoli, là in quel giorni di sabato che i farisei bofonchiavano. Ma l’aveva giusto stritolata che si ricordò di una necessità ben più grande a cui doveva provvedere, e, rimettendo a Dio la cura della sua vita, portò con sé le granelle. Giunto a casa, le ridusse in farina, mescolò la farina con un po’ d’acqua, cosse… E la mattina dipoi, salito l’altare, si chinò su quel cerchiellino bianco di pane, disse cinque parole e l’umile spiga fu Dio.
Così vediamo ogni giorno Iddio passar per i campi e chinarsi a raccogliere qua un guardianuccio di pecore, là un di vacche, là un bifolchetto di dieci anni, e porli in un onore ancora più grande che non toccasse alla spiga: quello di far, con cinque parole, che un povera spiga, ridotta in pane, cessi ad un tratto di essere spiga per essere Dio.
Gli ultimi saranno i primi – e questo è vangelo.
(Tito Casini, All’ombra e al fuoco)