E' stata recentemente pubblicata in Francia la biografia di dom Gérard Calvet: Yives Chiron, “Tourné vers le Seigneur”, Éditions Sainte-Madeleine. Probabilmente, a 10 anni dalla morte, la distanza storica non è sufficiente per una valutazione obiettiva, senza ritocchi nè concessioni; inoltre, quasi a voler cercare il "Lucignolo" altrove, l'autore è pesante ed ingiusto nei confronti di mons. Lefebvre e dell'opera da lui fondata, la Fraternità Sacerdotale San Pio X. Di rincalzo "La nuova Bussola Quotidiana" con la sua scrittrice, a dimostrare quanto poco si è compreso del Concilio Vaticano II, di Monsignore, dell'attuale situazione "ecclesiale". In risposta proponiamo l'interessante articolo di don Jean-Michel Gleize che ci ricorda quanto il primo ha ignorato, la seconda dimenticato.
RIVOLTO AL CONCILIO
- Dom Gérard, fondatore e abate del monastero Sainte-Madeleine du Barroux, ha lasciato questo mondo dieci anni fa, il 28 febbraio 2008. E subito Yves Chiron ne pubblica la prima biografia, sottotitolata «Rivolto al Signore». Derogando alla sua ordinaria riservatezza, lo storico emette in questa occasione, e a più riprese, dei gravi giudizi[1] sulla portata dell’atto delle consacrazioni episcopali, compiute da Mons. Lefebvre il 30 giugno 1988. Yves Chiron vi vede «uno scisma». Di tale scisma, afferma, Dom Gérard non ne comprese subito la gravità[2]. Fu solo il 18 agosto successivo, con una «Dichiarazione» pubblicata nel giornale Présent, che le Barroux cominciò a prendere ufficialmente le distanze da Écône[3]. Questo allontanamento doveva accentuarsi molto rapidamente e condusse Dom Gérard ad adottare un atteggiamento diverso rispetto alle novità introdotte nella Chiesa dall’ultimo Concilio. A tal punto che accettò di concelebrare, almeno in due occasioni[4], il santo sacrificio della Messa secondo il Novus Ordo Missæ, un nuovo rito del quale i cardinali Ottaviani e Bacci poterono affermare che «si allontana in maniera impressionante, nell’insieme come nel dettaglio»[5] dalla definizione cattolica di Messa, fissata una volta per tutte dal Concilio di Trento.
- Sia detto incidentalmente, lo scisma è, anch’esso, un «allontanamento», proprio come l’eresia. Quali ne sono i termini? Chi si allontana da chi? La vecchia Messa dalla nuova? La nuova dalla vecchia? … Lo sguardo dello storico qui dovrebbe trovare i propri limiti – insieme alle ragioni della propria modestia. Da parte sua, uno dei testimoni della prima ora della battaglia della Tradizione, don Paul Aulagnier, qualifica come «molto severo» il libro di Yves Chiron, a causa di questi giudizi, che si ripetono «non una volta en passant, ma mille volte», ricorrendo in modo «lancinante e fastidioso»[6]. Ma chiudiamo qui la parentesi.
- Cosa lascia dietro di sé Dom Gérard? Sicuramente una profonda e vasta influenza, esercitata da vivo sia con la parola che con gli scritti e che perdura ancora attraverso l’opera del suo monastero. Ma questa influenza ha operato, sotto tutti gli aspetti, il vero bene delle anime? Un fatto rimarrà per sempre innegabile agli occhi della Storia: fin da quando Dom Gèrard era ancora vivo, le Barroux è stato un difensore del Concilio Vaticano II. Dom Gèrard lascia dietro di sé dei discepoli e questi discepoli sono divenuti i teologi e gli apologeti della libertà religiosa. Il principale tra loro, Padre Basilio Valuet, nel 1998 pubblicò una summa in sei volumi sull’argomento: La libertà religiosa e la Tradizione cattolica. Un caso di sviluppo dottrinale omogeneo nel Magistero autentico[7]. Nella biografia del fondatore della Fraternità San Pio X, Mons. Tissier de Mallerais evoca «l’ossessione della comunione ecclesiale e benedettina» che finirà con il «consumare poco a poco la capacità di resistenza» di le Barroux[8]. Capacità di resistere agli errori del Concilio. E di conseguenza anche alle riforme deleterie della nuova liturgia. Mons. Lefebvre aveva d’altra parte indicato questa insufficienza fatale, fin dall’indomani delle consacrazioni. «Dom Gérard», notava allora, «finora ha visto solo la liturgia e la vita monastica. Non vede chiaramente i problemi teologici del Concilio, della libertà religiosa. Non vede la malizia degli errori. Non si è mai preoccupato troppo di questo. Quello che lo interessava era la riforma liturgica, la riforma dei monasteri benedettini […] Non ha considerato abbastanza che quelle riforme che lo avevano portato a lasciare il suo monastero erano le conseguenze degli errori che si trovano nel Concilio»[9].
- Infatti c’è un legame molto stretto tra la liturgia e la professione di fede. Dal giorno in cui perse di vista la malizia di fondo degli errori del Concilio, Dom Gérard s’impegnò sulla via che lo avrebbe portato presto o tardi a trascurare la pericolosità altrettanto profonda, per il suo stesso monastero, della nuova liturgia. Don Paul Aulagnier lo sottolinea con ragione: «Non è forse una modifica fondamentale della vita del monastero lasciarvi celebrare la nuova messa[10]?». Per porre nella giusta prospettiva la biografia di Yves Chiron, con l’omaggio di cui è espressione, rileggiamo anche, senza cambiare una sola riga, a venticinque anni di distanza, l’Editoriale firmato dallo stesso don Paul Aulagnier, allora Superiore del Distretto di Francia della Fraternità San Pio X: «Non era forse sotto la vostra responsabilità di padre, Abbas, Pater», scrive rivolgendosi a Dom Gérard, di lasciare piuttosto ai vostri monaci «un esempio di fermezza, di perseveranza, di fedeltà»[11]?
- Né la fermezza, né la perseveranza, né la fedeltà potrebbero qui essere senza fallo, perché Dom Gérard non ha visto «la malizia di questi errori», errori mortiferi del Concilio Vaticano II. «Non è un’inezia a contrapporci» diceva ancora Mons. Lefebvre parlando del Concilio. «Non basta che ci dicano: voi potete dire la vecchia messa [è quello che afferma il Motu Proprio Summorum Pontificum di Benedetto XVI nel 2007] ma bisogna accettare questo [questo: gli errori del Vaticano II; è quello che dice la Lettera ai vescovi di Benedetto XVI nel 2009]. No, non è questo a contrapporci. È la dottrina. È chiaro. È ciò che è grave in Dom Gérard ed è quello che lo ha perduto»[12]. L’omaggio postumo richiederebbe qui un po’ di temperanza.
- Perché questa inversione? Come è possibile che dopo aver, nell’estate 1988, rifiutato come una rottura l’insegnamento conciliare sulla libertà religiosa[13], Dom Gérard abbia finito per vedervi l’eco della Rivelazione divina? «Credo che quello che ha contribuito a perdere Dom Gérard», spiega Mons. Lefebvre, «sia la sua preoccupazione di aprirsi a tutti quelli che non sono con noi e che possono approfittare anch’essi della liturgia tradizionale. È ciò che scriveva in sostanza nella Lettera agli amici del monastero, due anni dopo il suo arrivo a le Barroux. Noi vogliamo provare, diceva, a non avere più questo atteggiamento critico, sterile, negativo. Ci sforzeremo di aprire le porte a tutti coloro che eventualmente, pur non avendo le nostre idee, amino la liturgia per far profittare anche loro dei benefici della vita monastica. Fin da quel periodo mi ero preoccupato di quello che consideravo come un’operazione molto pericolosa. Era l’apertura della Chiesa al mondo e si è poi dovuto constatare che è stato il mondo a convertire la Chiesa. Dom Gérard si è lasciato contaminare da quest’ambiente che ha ricevuto nel suo monastero»[14]. C’è una legge inscritta nel più profondo della natura umana, essendo l’uomo fatto per vivere in società. La società infatti è quell’ambiente nel quale l’uomo riceve, inevitabilmente, il proprio modo di pensare e agire, ambiente di cui può difficilmente evitare di divenire parte, ricevendo da altre parti i suoi orientamenti fondamentali.
- Lefebvre sapeva bene di che cosa parlava, perché aveva ben riflettuto e la sua riflessione era approdata proprio a questa «Esposizione della situazione riguardante ciò che Roma chiama riconciliazione», stesa in vista della riunione tenuta a le Pointet il 30 maggio 1988[15]. Di fronte all’eventualità di una reintegrazione canonica delle opere della Tradizione, aveva fatto la seguente constatazione: «Eravamo finora protetti in modo naturale, la selezione si faceva da sé data la necessità di una rottura con il mondo conciliare; ora, bisognerà fare dei controlli continui, difendersi senza tregua dagli ambienti romani, dagli ambienti diocesani. È per questo che vogliamo tre o quattro vescovi e la maggioranza nel consiglio romano. Ma fanno orecchie da mercante. Hanno accettato solo un vescovo e sotto minaccia continua, e hanno rimandato la data. Ritengono inconcepibile che li si tratti come un ambiente contaminato, dopo tutto quello che ci accordano. Dunque per noi si pone un problema morale. Bisogna assumersi il rischio di contatti con questi ambienti modernisti nella speranza di convertire qualche anima, di difendersi con la grazia di Dio e la virtù di prudenza e rimanere così uniti a Roma legalmente, secondo la lettera, dato che lo siamo in verità secondo lo spirito? O bisogna prima di tutto preservare la famiglia tradizionale per mantenere la sua coesione e il suo vigore nella fede e nella grazia considerando che il legame puramente formale con la Roma modernista non può essere messo a confronto con la protezione di questa famiglia che rappresenta ciò che resta della vera Chiesa cattolica? Che cos’è che Iddio, la SS.ma Trinità e la Vergine di Fatima ci chiedono come risposta a questa domanda?».
- La storia non è mai stata scritta in anticipo e di rado si ripete allo stesso modo, tanto le circostanze possono essere mutevoli. Ma le leggi della natura umana non cambiano. Ne derivano sovente delle probabilità molto forti. Rimanere integro in un ambiente contaminato è molto spesso un’impresa votata al fallimento, un sogno impossibile. Fu il sogno di Dom Gérard, e fu pure il suo fallimento. Dopo aver dichiarato che il suo rifiuto dello «scisma» e la sua integrazione nella Confederazione benedettina non erano accompagnati «da alcuna contropartita dottrinale o liturgica» e che «nessun silenzio sarebbe stato imposto alla sua predicazione antimodernista»[16], Dom Gerard doveva dichiarare in capo a qualche anno: «Noi accettiamo tutto il magistero della Chiesa, di ieri, di oggi e di domani. Eccone la prova: abbiamo redatto e pubblicato nel 1993 l’opera Sì! il Catechismo della Chiesa cattolica è cattolico! in risposta a coloro che vi ravvisano l’esposizione della fede modernista della Chiesa conciliare[17]. Se veramente rigettassimo quasi tutto il Concilio, ci saremmo presi la briga di difendere questo catechismo, sintesi magnifica di tutta la dottrina della Chiesa, includendo necessariamente il Concilio Vaticano II?»[18]
- Dunque, «Che ne è di questa fedeltà?». È ancora don Paul Aulagnier a porre la questione. Perché i fatti sono lì. Dom Gérard non ha trasmesso fedelmente le tradizioni della sua famiglia monastica. La specificità della sua opera non fu «l’attaccamento alla dottrina monastica come l’avevano vissuta Padre Muard, Dom Romain Banquet e Madre Marie-Cronier», né «l’attaccamento alla liturgia tradizionale»[19]. No, perché un tale attaccamento ha il dovere di escludere le novità contrarie alla fede e al culto della Santa Chiesa cattolica. Lontano allo stesso modo dall’adulazione e dall’animosità[20], lo storico ha il dovere di essere giusto e di rendere al Padre di Barroux ciò che merita. Il libro di Yves Chiron mette in evidenza gli aspetti belli e nobili della vita di Dom Gérard. Ma vi manca il grande rimprovero, che una Storia degna di tale nome non potrà ignorare a lungo: quello di avere alla fine abbassato la guardia davanti all’«Eresia del XX secolo».
Don Jean-Michel Gleize, «Courrier de Rome», avril 2018
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[1] Per esempio, p. 462, a proposito del discorso pronunciato da Dom Gérard a le Barroux, domenica 2 agosto 1987 oppure a p. 486-487 quando riferisce della cerimonia della consacrazione, che si svolse giovedì 30 giugno 1988 ad Écône.
[2] CHIRON scrive: «Non è sicuro che il giorno delle consacrazioni Dom Gérard abbia ancora totalmente misurato la gravità dell’atto compiuto da Mons. Lefebvre» (p. 487).
[3] CHIRON, pp. 497-502.
[4] YVES CHIRON lo testimonia, p. 575-576. Il lettore potrà riferirsi ai due articoli di Michel Beaumont pubblicati nella rivista Fideliter, «La dégringolade de Dom Gérard» (numero 107 di settembre-ottobre 1995, pp. 52-55) e «Les concélébrations de Mgr Wach et de Dom Gérard» (numero 108 di novembre-dicembre 1995, pp. 42-47).
[5] CARDINALI OTTAVIANI E BACCI, «Prefazione a Papa Paolo VI» nel Breve esame critico del Novus Ordo Missæ, Écône, p. 6.
[6] DON PAUL AULAGNIER, Recensione del libro di Yves Chiron nella Rivista Item del 28 aprile 2018.
[7] Su tale questione, il lettore potrà riferirsi ai numeri di marzo e ottobre 2014 del Courrier de Rome. PADRE BASILIO continua la sua opera ed il risultato è stato pubblicato in questi ultimi anni presso le Edizioni Artège: Quel œcuménisme? La difficulté d’unir les chrétiens (2011); L’Eglise au dèfi des religions: évangélisation, conflit ou dialogue? (2013).
[8] BERNARD TISSIER DE MALLERAIS, Marcel Lefebvre, une vie, Clovis, 2002, p. 548.
[9] MONS. LEFEBVRE, «Porrò delle condizioni ad una eventuale ripresa dei colloqui con Roma» in Fideliter n°66 di novembre-dicembre 1988, p. 14.
[10] PADRE PAUL AULAGNIER, Recensione del libro di Yves Chiron nella Rivista Item del 28 aprile 2018.
[11] PADRE PAUL AULAGNIER, «Colui che mi ha consegnato a te è colpevole di un peccato maggiore», Editoriale pubblicato nel numero 96 della rivista Fideliter di novembre-dicembre 1993, pp. 1-6.
[12] MONS. LEFEBVRE, «Porrò le mie condizioni ad una eventuale ripresa dei colloqui con Roma» in Fideliter n° 66 di novembre-dicembre 1988, p. 14.
[13] Cfr. CHIRON, p. 462: «La nuova dottrina consiste nel lasciare l’errore pullulare col pretesto della libertà».
[14] MONS. LEFEBVRE, «Porrò le mie condizioni ad una eventuale ripresa dei colloqui con Roma» in Fideliter, n. 66 di novembre-dicembre 1988, pp. 14-15.
[15] Cfr. Fideliter numero fuori serie 29-30 giugno 1988 e Mons. Bernard Tissier de Mallerais, Marcel Lefebvre, une vie, Clovis, 2002, pp. 587-589.
[16] Dichiarazione del 18 agosto 1988, citata da Chiron, p. 498.
[17] Allusione al numero della rivista Fideliter n° 91 di gennaio-febbraio 1993, che pubblicò i due articoli «Il Catechismo della nuova età dell’uomo», pp. 3-7, di don Michel Simoulin, allora Direttore del Seminario San Pio X di Écône e «Mons. Lefebvre giudica il Nuovo Catechismo», pp. 8-12, di don Alain Lorans, allora Rettore dell’Istituto Universitario San Pio X di Parigi.
[18] «Risposta a René Rémond» apparsa in Ouest France dell’11 e 12 febbraio 1995 e riprodotta in Fideliter n° 105 di maggio-giugno 1995, p. 70.
[19] Chiron, p. 646.
[20] Chiron, p. 16.
Fonte: Europa Cristiana