Sono trascorsi già vent'anni da quel 25 marzo 1991, Festa dell'Annunciazione, giorno nel quale si concluse l'esistenza terrena dell'Arcivescovo Marcel Lefebvre. Due decenni certamente non sono nulla se rapportati alla bimillenaria storia della Chiesa, non sono pochi, tuttavia, se considerati nell'ottica della nostra umanità, specialmente in quest'epoca contemporanea dove tutto sembra accelerare, dalla comunicazione ai trasporti, dalle mode effimere in campo artistico, al linguaggio "pastorale" sempre mutevole dei documenti magisteriali.
Potrebbe allora apparire anacronistico o velleitario soffermarsi a ricordare la vita di quest'uomo senza dubbio "diverso" ed in netto contrasto con tutti gli orientamenti più moderni ed attuali del mondo che ci circonda.
La sua memoria sembrò allora destinata ad un inesorabile oblìo: fascista ed oscurantista per i laicisti, disobbediente e scismatico per i cattolici, intollerante ed antisemita per gli ebrei, quantomeno presuntuoso e nostalgico per quasi tutti. Scomunicato dalla Chiesa e dal mondo! Destino davvero insolito questo se è vero, come è vero, che queste due entità dovrebbero, secondo quanto insegnato dal Vangelo, sempre opporsi l'una all'altra senza poter condividere nè gli amici nè i nemici.
Ma le profezie di allora, che preannunciavano una "damnatio memoriae" o quanto meno un rapido oblìo sembrano oggi tutt'altro che compiute. In questo ventesimo anniversario sicuramente torneranno a confrontarsi aspramente coloro che, nel rapportarsi alla sua figura storica, ne mettono in evidenza critica solo l'aspetto dell'apparente disobbedienza, e gli altri, non pochi in verità, che tendono sempre più a sottolinearne il coraggio e la lungimiranza nel mezzo di una crisi del cattolicesimo senza precedenti.
Tutto questo è scontato e facilmente prevedibile. Esistono però alcuni aspetti, ovvi e forse proprio per questo ignorati dai più, che non possono essere sottovalutati a cuor leggero da un osservatore che intenda essere sereno ed imparziale.
In primo luogo non si può negare che la figura di Mons. Lefebvre, a venti anni dalla sua scomparsa, continua a suscitare interesse e dibattito. Il suo nome non può lasciare indifferenti. Basta scrivere un articolo su di lui o sulla congregazione religiosa che ha lasciato, e subito si scatenano gli animi di estimatori ed oppositori irriducibilmente contrapposti.
Se guardiamo infatti i commenti sui blog vicini al mondo della tradizione cattolica non è difficile rendersi ben conto di tale realtà.
Ma anche il mondo laicista si mostra particolarmente sensibile ogni volta che, direttamente o indirettamente, è costretto ad occuparsi di questo personaggio pericoloso. La sollevazione mediatica, certo ben architettata, messa in scena in occasione della revoca delle scomuniche nel 2009, testimonia ampiamente dell'importanza attribuita in determinati ambienti alla "questione tradizionalista" di cui, volenti o nolenti, l'Arcivescovo francese continua ad incarnare l'emblema ad ogni latitudine. Mons. Lefebvre dunque come segno di contraddizione? Nominarlo in senso positivo significa, in altre parole, provocare reazioni simili a quelle avutesi, a suo tempo, con padre Pio o, ancora adesso, per la ventilata beatificazione di Pio XII.
Quanto fino ad ora considerato però è un fatto che, più o meno, si è mantenuto costante dal 1991 ai giorni nostri. Più stupefacente appare invece il risveglio di attenzione culturale verificatosi negli ultimi anni sia verso le vicende della sua vita come anche nei confronti delle idee professate.
A partire dalla biografia pubblicata l'anno scorso da Cristina Siccardi, sono poi usciti in libreria altri volumi dedicati ad aspetti specifici dell'opera di Mons. Lefebvre. Si sono mossi in tal senso anche editori insospettabili di eresia come Marietti.
Ma l'attualità del personaggio la si può altresì misurare anche in relazione al recente dibattito sul valore magisteriale dei documenti emanati dal Concilio Vaticano II e alla ricostruzione storiografica della grande assise ecclesiale degli anni '60.
In tale prospettiva i riferimenti ai discorsi ed agli scritti dell'ex superiore dei padri Spiritani si rivelano quanto mai centrali e ricchi di implicazioni dottrinali.
Confrontando infine la maggior parte delle previsioni del 1991 rispetto alle risultanze odierne appare di tutta evidenza la fallacità di molti osservatori del tempo i quali, tuttavia, anche oggi non perdono spesso il vizio di voler pontificare senza il benchè minimo ripensamento autocritico.
La Fraternità San Pio X, tanto per fare un esempio, si è rafforzata e non disgregata. Sono nate sì alcune congregazioni uscite dal suo seno ma, complessivamente, la FSSPX appare assai più solida e credibile rispetto ad allora.
La Tradizione inoltre continua ad attrarre un gran numero di giovani in barba a tutti coloro che accusavano Mons. Lefebvre di "nostalgie" adatte solo a vecchi incartapecoriti e prossimi all'estinzione fisica. Chi si sta invece estinguendo è caso mai la figura patetica del prete conciliare, prete-operaio, prete-animatore, prete-aggiornato: basta dare uno sguardo alle statistiche sulle ordinazioni in Europa!
E che dire infine della S. Messa di sempre, vera e propria "bandiera" della lotta di mons. Lefebvre? Sento ancora nelle orecchie i risolini di compatimento di certi grandi sociologi della religione: La Messa Tridentina, a loro qualificato giudizio, non aveva futuro. Rimanere attaccati a questo rito del passato significava non rispettare il Papa e, soprattutto, peccare di estetismo fine a sè stesso.
Il "Summorum Pontificum" dunque, nei passaggi che sanciscono che l'antico rito non è mai stato abrogato, ha rappresentato una grande vittoria per Mons. Lefebvre. Una vittoria che crediamo egli abbia potuto vedere dal cielo.
Speriamo quindi di poter leggere, in occasione di questo ventesimo anniversario, altre previsioni come quelle del passato. Ci sarà probabilmente da divertirsi anche nel 2031!